Le ampie arcate del soffitto, che ricordano i costoloni di uno scafo, riflettono la luce che penetra dalle enormi finestre e accarezza le navi di Caligola. Giochi di luce e ombre e riflessi che a seconda dell’ora del giorno colorano le pareti di sfumature che vanno dal giallo al rosa. Due scale a chiocciola s’inerpicano verso il ballatoio fino a portare alla grande terrazza, da cui ammirare la valle nemorense amata dall’imperatore romano, che lì decise di far edificare la sua villa.
Il Museo delle Navi romane di Nemi, prima ancora del suo contenuto – quelle immense navi romane rinvenute nel lago tra il 1929 e il 1931 e poi fatalmente distrutte in un incendio nel 1944, di cui oggi è visibile solo una copia in scala 1:5 – stupisce per il contenitore. Progettato tra il 1934 e il 1940 dall’architetto Vittorio Morpurgo, uno dei più raffinati esponenti della scuola romana del razionalismo – sua la teca in vetro e cemento per l’Ara Pacis Augustae, poi sostituita nel 2003 dal Museo di Richard Meier – il museo nasceva per dare una casa alle due imbarcazioni recuperate grazie una complessa operazione d’ingegneria idraulica che comportò l’abbassamento del livello del lago di Nemi. Nella sua struttura ariosa, i grandi lucernari e la passeggiata prospettica verso la sponda del bacino, l’architetto voleva esaltare la bellezza dei Colli Albani, offrendo al pubblico uno spazio culturale che dialogasse armoniosamente con il paesaggio circostante.
Dopo il rogo il Museo venne chiuso fino al 1953, rimase aperto fino al 1962, poi chiuso fino al 1988 quando riaprì definitivamente le porte, e nonostante fosse divenuto sostanzialmente il Museo dell’opera architettonica di Vittorio Morpurgo, ormai da anni versava nel degrado. Pesanti infiltrazioni d’acqua, spazi suggestivi come il ballatoio e la terrazza chiusi al pubblico e diventati nel tempo magazzini archeologici, la strada di collegamento al lago sbarrata da un cancello e invasa dai rovi, solo alcuni dei tanti problemi che rendevano il Museo delle Navi un luogo in decadenza, quasi una terra di nessuno.
“Quando sono entrata in carica, nel 2015, era appena uscito un dossier che denunciava le pessime condizioni del Museo – spiega la direttrice del Polo Museale del Lazio, l’archietta Edith Gabrielli – un peccato per un’opera architettonica di grande pregio”. Grazie ai fondi di programmazione triennale messi a disposizione per i 43 siti del Polo, è stato avviato un progetto di recupero inaugurato ieri. “Abbiamo preso in mano i disegni originali di Morpurgo e lavorato seguendo la sua sensibilità”, continua Gabrielli. Una serie di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e un riallestimento hanno finalmente restituito tutti gli spazi del Museo, che oltre alle copie delle navi
espone una sezione archeologica sulla protostoria e sugli insediamenti nel territorio lacustre in età repubblicana. “Questo è solo l’inizio – dice Gabrielli – vogliamo portare eventi qui e far sì che il Museo torni ad essere un polo culturale in un territorio di clamorosa bellezza come questo”.
Il Museo delle Navi romane di Nemi, prima ancora del suo contenuto – quelle immense navi romane rinvenute nel lago tra il 1929 e il 1931 e poi fatalmente distrutte in un incendio nel 1944, di cui oggi è visibile solo una copia in scala 1:5 – stupisce per il contenitore. Progettato tra il 1934 e il 1940 dall’architetto Vittorio Morpurgo, uno dei più raffinati esponenti della scuola romana del razionalismo – sua la teca in vetro e cemento per l’Ara Pacis Augustae, poi sostituita nel 2003 dal Museo di Richard Meier – il museo nasceva per dare una casa alle due imbarcazioni recuperate grazie una complessa operazione d’ingegneria idraulica che comportò l’abbassamento del livello del lago di Nemi. Nella sua struttura ariosa, i grandi lucernari e la passeggiata prospettica verso la sponda del bacino, l’architetto voleva esaltare la bellezza dei Colli Albani, offrendo al pubblico uno spazio culturale che dialogasse armoniosamente con il paesaggio circostante.
Dopo il rogo il Museo venne chiuso fino al 1953, rimase aperto fino al 1962, poi chiuso fino al 1988 quando riaprì definitivamente le porte, e nonostante fosse divenuto sostanzialmente il Museo dell’opera architettonica di Vittorio Morpurgo, ormai da anni versava nel degrado. Pesanti infiltrazioni d’acqua, spazi suggestivi come il ballatoio e la terrazza chiusi al pubblico e diventati nel tempo magazzini archeologici, la strada di collegamento al lago sbarrata da un cancello e invasa dai rovi, solo alcuni dei tanti problemi che rendevano il Museo delle Navi un luogo in decadenza, quasi una terra di nessuno.
“Quando sono entrata in carica, nel 2015, era appena uscito un dossier che denunciava le pessime condizioni del Museo – spiega la direttrice del Polo Museale del Lazio, l’archietta Edith Gabrielli – un peccato per un’opera architettonica di grande pregio”. Grazie ai fondi di programmazione triennale messi a disposizione per i 43 siti del Polo, è stato avviato un progetto di recupero inaugurato ieri. “Abbiamo preso in mano i disegni originali di Morpurgo e lavorato seguendo la sua sensibilità”, continua Gabrielli. Una serie di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e un riallestimento hanno finalmente restituito tutti gli spazi del Museo, che oltre alle copie delle navi
espone una sezione archeologica sulla protostoria e sugli insediamenti nel territorio lacustre in età repubblicana. “Questo è solo l’inizio – dice Gabrielli – vogliamo portare eventi qui e far sì che il Museo torni ad essere un polo culturale in un territorio di clamorosa bellezza come questo”.