Lo zafferano può aiutare in caso di Alzheimer

Scritto da: Andrea Piccoli
Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=14179

Le sostanze naturali spesso riservano sorprese e proprietà benefiche inaspettate. È il caso anche dello zafferano, una spezia che secondo uno studio dell’Irccs Santa Lucia di Roma avrebbe un effetto positivo in caso di morbo di Alzheimer.
L’estratto della spezia “favorisce la degradazione della proteina beta-amiloide, la proteina tossica principale indiziata di causare la malattia di Alzheimer, almeno nel nostro studio condotto su cellule di pazienti in provetta”, spiega Antonio Orlacchio, direttore del Laboratorio di Neurogenetica del Centro europeo di ricerca sul cervello (Cerc) del Santa Lucia e professore di Genetica medica all’Università di Perugia.
Orlacchio, prima firma dello studio apparso sul Journal of the Neurological Sciences, precisa: “Questo tipo di studio, effettuato per ora a livello cellulare, potrebbe essere alla base di nuovi farmaci mirati contro questa malattia che colpisce nel mondo una persona ogni tre secondi. L’estratto è risultato in grado di attivare uno specifico enzima degradativo, catepsina B, rendendolo più efficiente”.
Studi precedenti avevano segnalato il potenziale neuroprotettivo della spezia, che contiene antiossidanti e molecole bioattive come le crocine e le crocetine. Lo studio ha coinvolto 22 pazienti, uomini e donne, affetti da Alzheimer, ai quali è stata somministrata trans-crocetina.
La sostanza si è rivelata in grado di potenziare l’attività fisiologica di degradazione della proteina beta-amiloide grazie all’attività di un enzima di degradazione cellulare chiamato catepsina B.
“Il tutto – continua Orlacchio – senza che a livello cellulare sia emersa alcuna forma di tossicità. I nostri dati suggeriscono che dallo zafferano si potrebbe dunque ricavare un farmaco anti-Alzheimer. Il prossimo step sarà quello di allargare lo studio a livello cellulare prima di passare, spero a breve, a un trial clinico sull’uomo. Un lavoro sui pazienti, per verificare l’effetto di questo approccio. Naturalmente occorrerà evitare anche i possibili effetti collaterali, ma i risultati visti a livello laboratoristico ci fanno ben sperare. Si tratta di un filone che viene esplorato anche negli Usa”, conclude il ricercatore.

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