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L’ombra disperata di Abercorn Street (Real Ghost Stories) – di Gordon Miles

Fonte:http://www.sogliaoscura.org/lombra-disperata-abercorn-street-real-ghost-stories-gordon-miles/

L’immagine che trovate qui sotto sembrerebbe mostrare una bambina disperata che guarda fuori dalla finestra.
La fotografia è stata scattata al 432 di Abercorn Street  a Savannah (USA), dove si trova una casa strutturata su quattro piani e che ha una sinistra storia nel suo passato.
L’edificio è noto nella cittadina per essere infestato da fantasmi e infatti più di un testimone racconta di suoni, bisbigli, pianti e passi pesanti che si possono udire tra quelle vecchie mura.
E’ superfluo aggiungere che al momento dello scatto non era presente nessuno al suo interno.

La casa fu costruita nel 1868 per il generale Benjamin J. Wilson, un veterano della Guerra Civile e quando la moglie del militare cedette alla febbre gialla, si trovò costretto ad allevare da solo la figlia.

Proprio di fronte alla casa c’è la Massey School, una delle più antiche scuole pubbliche di Savannah, attiva ancora oggi.
La figlia del generale amava giocare con i bambini che frequentavano la Massey School, ma suo padre disapprovava tali frequentazioni. Ignorando le severe ammonizioni del padre, la bambina continuò a correre dall’altra parte della strada per divertirsi coi suoi coetanei.
La leggenda racconta che il generale Wilson, abituato a farsi rispettare dalle sue truppe e frustrato dal fatto che la piccola ignorasse i suoi divieti,  in un impeto di crudeltà  punì sua figlia legandola su una sedia vicino alla finestra del soggiorno. Poteva vedere gli altri bambini divertirsi fuori, senza però partecipare ai giochi.
Dopo alcuni giorni, la ragazzina morì per un colpo di calore e disidratazione. Infatti, le estati a Savannah sono molto torride e la posizione vicino alla finestra risultò fatale.
Il folle generale morì qualche tempo dopo, apparentemente per cause naturali. Ma forse la sua anima e quella della sfortunata figlia, non se ne sono mai andate da lì…

Iran, a bordo dell’aereo precipitato

Scritto da: Monica Mistretta
Fonte: http://www.articolotre.com/2018/03/iran-a-bordo-dellaereo-precipitato/

È giovedì 1 marzo. In un incidente stradale nella provincia di Bushehr, sul Golfo Persico in Iran, muoiono due fratelli. La notizia affiora su qualche giornale locale, sembra un fatto di cronaca come tanti altri. Ma Mohammad Bagher e Mohammad Sadegh Yusefi non sono due iraniani qualsiasi. Sono due studiosi dell’ambiente, gli ultimi a morire in una lunga catena di decessi nelle fila degli amanti della natura in Iran.

A sollevare i dubbi sull’incidente stradale che toglie la vita ai due fratelli è l’associazione ambientalista iraniana Battito della Terra che parla apertamente di omicidio.

Poco più di dieci giorni prima in Iran erano morti altri sedici ambientalisti. Erano tutti a bordo del volo 3704 della Aseman Airlines precipitato il 18 febbraio nell’area montuosa di Semirom, a 4.000 metri di altitudine, nella zona centro meridionale dell’Iran. Erano partiti da Teheran ed erano diretti a Yasuj, una città a 2.000 metri sui monti Zagros, poco distante dal luogo dell’impatto.

Nell’incidente aereo non c’erano stati superstiti. I soccorsi erano arrivati solo due giorni dopo. Causa maltempo, avevano detto le autorità. Ma Davood Karimi, dissidente iraniano, racconta un’altra storia: l’aereo sarebbe stato fatto precipitare con tutti i 65 passeggeri a bordo per disfarsi dell’equipe di ambientalisti.

I dubbi sul disastro aereo avevano cominciato a circolare già dalle prime ore dell’incidente. Quel giorno, secondo l’agenzia iraniana Irna, diversi voli erano stati cancellati per il mal tempo. Non è chiaro perché il volo 3704 avesse ricevuto luce verde. Di sicuro, aveva destato notevoli perplessità il fatto che le autorità avessero immediatamente dato per morti tutti i passeggeri prima di aver ritrovato i resti dell’aereo. I familiari delle vittime sostenevano di aver potuto parlare a cellulare con alcuni sopravvissuti nei minuti successivi all’incidente.

A poche ore dal disastro anche il ministro iraniano Mohammad Reza Tabesh, legato alla commissione ambientale del Parlamento di Teheran, aveva fatto notare l’alto numero di ambientalisti deceduti sull’aereo della Aseman Airlines.

Non risulta che sul luogo dell’incidente siano stati recuperati i corpi delle vittime. “Le autorità iraniane hanno trovato solo pochi pezzi di carne umana, che hanno portato via in due zainetti” ci fa sapere Karimi.

Sul perché questi ambientalisti fossero così scomodi per il governo iraniano è possibile fare solo ipotesi. Lavoravano nella stessa equipe del professor Kavous Seyed Emami, noto ambientalista. Anche lui deceduto agli inizi di febbraio. Era morto nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran. Suicida, diceva il comunicato ufficiale.

Emami, passaporto iraniano e canadese, era stato arrestato il 24 gennaio con l’accusa di spionaggio. Era un appassionato della fauna selvatica. Era direttore della Persian Wildlife Heritage Foundation. Insegnava sociologia all’Università Imam Sadegh, dove vengono istruiti i nuovi dirigenti del regime. Karimi racconta che la moglie, quando ha ricevuto la salma del marito, ha dovuto firmare un documento nel quale prometteva di non rilasciare interviste sul caso. A lei le autorità avrebbero consegnato anche un breve filmato nel quale si vedeva che Emami era in procinto di suicidarsi.

Il professore aveva installato alcune telecamere nei boschi e nei campi per osservare gli effetti delle sperimentazioni militari e missilistiche iraniane sulla fauna selvatica e sulla popolazione. Con la sua equipe studiava anche l’inquinamento delle acque sotterranee. Aveva mandato alla Commissione parlamentare per l’Ambiente di Teheran una relazione con il frutto delle sue scoperte poco prima dell’arresto. Secondo l’accusa, passava informazioni a Israele e agli Stati Uniti. Il procuratore di Teheran, Abbas Jafari-Dolatabadi, ha accusato Emami di raccogliere informazioni classificate nel settore della difesa e dei missili: lo faceva con le telecamere installate nei boschi.

Con la sua morte il computo dei decessi tra gli ambientalisti sale a diciannove. Due sono morti nell’incidente stradale di pochi giorni fa. Sedici sull’aereo precipitato. Di alcuni di loro e degli studi sull’ambiente che stavano conducendo, ci sono tracce sul web: Mohammad Fahimi, Ali Farzaneh, Seyed Reza, Fatemi Talab, Ahmad Ciarmiani, Khalil Ahangaran, Mojgan Nazari, Behnam Barzegar, Ahmad Nazari, Gholamali Ahmadi, Salman Sharifazari, Mehdi Javidpoor, Hamed Amiri, Seyed Behzad Siadati, Ardeshir Rad, Mostafa Rezai, Ali Zare.

Intanto in Iran ci sono stati altri arresti tra le file degli ambientalisti. L’elenco è lungo. Morad Tahbaz, con passaporto iraniano e americano, è membro della direzione ‘Mirase Parsian’, ‘Eredi dei Persiani’.  Human Jokar è il direttore progetto ‘Tutela dello Juspalange Asiatico’. Il giovane scienziato Taher Ghadirian, fa parte dell’associazione dell’Unesco ‘L’uomo e la terra’. Sam Rajabi è un esperto ambientale. Amir Hossein Khaleghi e Niloofar Bayani sono due studiosi della fauna selvatica. La signora Sepideh Kashani è la moglie del direttore delle ricerche ed ex consigliere del Progetto ambiente dell’Onu, Human Jokar.

A Teheran la notizia delle morti degli studiosi sta circolando su qualche giornale locale e nei bollettini delle associazioni ambientaliste. Per il resto, tutto tace. Questa storia di morti, ambiente e presunto spionaggio per ora resta un mistero. Qualcosa ha detto il ministro iraniano Reza Tabesh. Molto ha raccontato il dissidente Karimi. Sui media internazionali solo qualche breve accenno.

Due guanti da boxe Romani scoperti a Vindolanda

Fonte: https://ilfattostorico.com/2018/03/03/due-guanti-da-boxe-romani-scoperti-a-vindolanda/

The Vindolanda Trust

The Guardian

Gli unici guanti da boxe sopravvissuti dell’Impero romano. Agli occhi moderni appaiono più come “protezioni per le mani” che “guanti” (The Vindolanda Trust)

Nel sito archeologico di Vindolanda, gli archeologi hanno scoperto due eccezionali guanti da boxe in cuoio, probabilmente gli unici esemplari di epoca romana sopravvissuti. Risalgono al 120 d.C. e sono così ben conservati da poter essere ancora indossati; uno di loro conserva addirittura l’impressione delle nocche del suo antico indossatore.

Vindolanda si trova a sud del Vallo di Adriano, vicino alla città di Hexham (Inghilterra). Fu un forte di truppe ausiliarie, oggi famoso per la quantità di ritrovamenti di oggetti personali e militari lasciati dai soldati e dalle loro famiglie circa 2000 anni fa.

I guanti sono simili a fasce imbottite di cuoio, piuttosto che ai guantoni da pugilato odierni. A differenza di quelli attuali, erano disegnati per proteggere solo le nocche durante l’impatto. Al loro interno dei materiali naturali, come dei rotoli di cuoio, ne attenuavano i colpi. Patricia Birley, l’ex direttrice del Trust Vindolanda che li ha studiati, ha dichiarato: «Per quanto ne sappiamo, non ne sono mai stati trovati altri esemplari nell’Impero romano. È sempre molto emozionante scoprire qualcosa che si conosce attraverso altre fonti – dipinti murali, vasi… – ma vederlo dal vivo è qualcosa di unico, si impara molto di più. Per esempio, il più grande dei due guanti era stato riparato. È quel tocco umano che si può notare solo con l’oggetto davanti». La boxe antica, sia greca che romana, è ben documentata: nell’esercito romano si praticava la boxe per migliorare il combattimento e la forma fisica, e includeva gare con gli spettatori. «Ho visto i guantoni romani scolpiti nelle statue di bronzo, nei dipinti e nelle sculture, ma avere il privilegio di trovarne due di vera pelle è qualcosa di assolutamente speciale», ha detto il direttore degli scavi, Andrew Birley.

guanti boxe romani vindolanda

I guanti sono simili per stile e funzionalità, sebbene non facessero parte della stessa coppia (The Vindolanda Trust)

Una scoperta del genere è estremamente rara. Il cuoio dei guanti si sarebbe già dovuto decomporre dopo 2.000 anni, eppure in questo caso è sopravvissuto poiché sepolto in un ambiente privo di ossigeno. Gli archeologi hanno trovato i guanti sotto al pavimento di calcestruzzo di un forte romano, dove prima vi era una loro caserma di cavalleria abbandonata da circa 30 anni. I Romani posarono quel pavimento nel 120 d.C. circa, all’incirca nello stesso periodo in cui costruirono il vicino Vallo di Adriano (122 d.C.). Tra gli altri reperti recuperati ci sono delle rare spade complete, pezzi di lega di rame di finimenti per cavalli, scarpe di cuoio, pettini e dadi. I guanti sono ora in mostra presso il Museo di Vindolanda, mentre gli scavi riprenderanno ad aprile. La campagna del 2017 aveva già portato alla luce 25 tavolette romane con dei testi ancora leggibili.

 

Studio promuove il mais ogm. Ceccarelli: «Non è così che si analizza il problema»

Fonte: http://www.terranuova.it/News/Alimentazione-naturale/Studio-promuove-il-mais-ogm.-Ceccarelli-Non-e-cosi-che-si-analizza-il-problema

Una revisione dei dati esistenti ha portato quattro ricercatori pisani a concludere che il mais ogm non comporta rischi per la salute umana e l’ambiente. Ma il professor Salvatore Ceccarelli replica: «Conclusione frutto di un esame parziale del problema. Gli ogm fanno malissimo alla biodiversità e all’ambiente e ci sono ormai solide evidenze su questo».

È destinato a sollevare critiche e polemiche lo studio pubblicato su “Scientific reports” da quattro ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che hanno considerato i dati esistenti sulle coltivazioni ogm. L’analisi ha concluso che per il mais transgenico le rese sarebbero superiori ai raccolti convenzionali e che il suo utilizzo non comporterebbe rischi per la salute umana e l’ambiente. A replicare prontamente è il professor Salvatore Ceccarelli, già docente di genetica e miglioramento genetico all’università di Perugia e oggi consulente per diversi progetti di miglioramento genetico nel mondo. 

«Premetto che ad oggi esiste una mole significativa di evidenze che attestano i rischi che gli ogm recano all’ambiente e la letteratura sta producendo ricerche anche in merito agli effetti sulla salute – spiega Ceccarelli – ma voglio soffermarmi soprattutto sul fatto che non si possono avere pretese di affermazioni conclusive o definitive quando si considera solo una parte di un problema estremamente complesso».

«Come si fa spesso e come fanno spesso, bisogna dirlo, dalla parte opposta anche taluni ambientalisti, si considera sempre l’aspetto che più colpisce emotivamente l’opinione pubblica, che più ha efficacia sull’immaginario collettivo, cioè quello della nutrizione e della salute. Ma non si può dimenticare che, come ormai è stato dimostrato e sperimentato ovunque nel mondo si coltivino ogm, queste colture contaminano ciò che sta intorno e agiscono in maniera molto negativa sugli equilibri ambientali. Pensiamo, per esempio, alle erbe infestanti e agli insetti: chi produce e coltiva ogm lo fa per contrastare sia le une che gli altri. Ma, come vuole una ineluttabile legge biologica, gli organismi viventi si “organizzano” per nascere e crescere e se ciò viene loro impedito, in qualsivoglia modo, non faranno altro che modificarsi per resistere ai nuovi contesti così generati. Per gli ogm significa che si hanno, e questo accade già ed è già chiarissimo, erbe infestanti e insetti che si sono evoluti e modificati in modo da resistere alle nuove colture e a erbicidi e pesticidi impiegati di conseguenza. Quindi è un circolo vizioso, è un business che risponde perfettamente alla logica dell’obsolescenza programmata e che ci rende schiavi del bisogno di nuovi ogm per combattere sempre nuovi infestanti e parassiti. Nel totale spregio della biodiversità naturale che così viene irrimediabilmente compromessa. Per non parlare della schiavitù che si genera negli agricoltori, completamente succubi delle multinazionali che producono sementi ogm e relativi erbicidi e pesticidi. È così che vogliamo trasformare l’agricoltura? Ci sono molte alternative e soluzioni differenti che non hanno questi altissimi costi da pagare. Peraltro, con il diffondersi oggi delle tecniche di gene editing, tornare a promuovere i vecchi ogm suona quasi come anacronistico».

Tornando al tema della salute, il professor Ceccarelli aggiunge: «Riflettiamo anche sugli studi che oggi si stanno conducendo e pubblicando sul microbioma umano la cui preziosa importanza per il nostro sistema immunitario si fonda sulla ricchezza nutrizionale e la diversità di ciò che mangiamo. Come facciamo a mangiare diversità se si coltiva uniformità? È bene quindi fare molta attenzione prima di trarre conclusioni sulla base di analisi effettuate senza considerare attentamente tutti gli aspetti di problemi estremamente complessi».

Si legga anche lo studio comparso su Lancet nel 2015 che afferma come non ci sia consenso scientifico sulla sicurezza degli ogm

Un’altra lettura utile: “Ogm, vent’anni di fallimenti”

Molto interessante anche l’intervento del dottor Pietro Perrino in replica allo studio pisano

Sulla base dell’analisi di Infogm , nel 2017 la superficie europea coltivata con piante transgeniche è diminuita rispetto al 2016, passando da 136.338 ettari e a 130.571 ettari.

Interviene anche Greenpeace sottolineando come le colture OGM, «considerate una panacea per la produzione di cibo, costituiscano in realtà un freno per l’innovazione ecologica in agricoltura. Sottopongono l’agricoltura al controllo e ai brevetti di poche aziende agrochimiche e a rischi imprevedibili, a danno della biodiversità e del nostro made in Italy».

«La maggioranza delle colture OGM ha come caratteristica principale la resistenza agli erbicidi o a determinati parassiti, ma la vera sfida per l’agricoltura del futuro è la capacità di adattarsi a un clima che cambia, svincolandosi dall’uso di sostanze pericolose” dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «Mentre mancano colture OGM “resilienti” ai cambiamenti climatici, esistono tecniche di selezione molto più all’avanguardia ed efficaci come la Mas (Marker Assisted Selection – Selezione Assistita da Marcatori), che sfrutta la conoscenza del Dna per identificare le caratteristiche migliori delle diverse varietà, per effettuare gli incroci più convenienti, senza le problematiche degli OGM. La Mas sta già avendo brillanti risultati come varietà di frumento resistenti alla siccità e varietà di riso resistenti alle inondazioni, già coltivate dagli agricoltori» prosegue Ferrario.

«Bisogna investire fondi (pubblici e privati) per una ricerca che serva a sviluppare pratiche e soluzioni sostenibili e l’agroecologia sta già dimostrando il suo potenziale, come riconosciuto anche dai 400 scienziati di fama mondiale, membri dell’International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD), finanziata dall’ONU. La protezione delle colture deve avvenire con un approccio a più livelli: aumentando l’eterogeneità e la diversità dei paesaggi agricoli, tutelando gli habitat degli impollinatori e favorendo i naturali meccanismi di lotta biologica agli infestanti».

Ascolta l’intervista a Gianni Tamino su Radio Onda d’Urto

Gianni Tamino è docente di biologia generale e di fondamenti di diritto ambientale all’Università di Padova; è altresì docente del corso di perfezionamento in bioetica.

Tenersi per mano aiuta ad alleviare il dolore, parola della scienza

Scritto da: Dominella Trunfio
Fonte: https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/26817-tenersi-per-mano-dolore

 Tenersi per mano aiuta ad alleviare il dolore soprattutto in alcuni momenti particolari della vita. A dirlo è un team di scienziati dell’Università del Colorado che ha pubblicato un nuovo studio sulla rivista Pnas che prova la sincronizzazione cerebrale fra coppie.
Una scoperta innovativa: tenersi per mano tra innamorati ridurrebbe le sofferenze del 34%. I neuroscienziati guidati da Pavel Goldstein hanno condotto un esperimento teso a dimostrare che insieme il dolore si supera meglio. E non è una questione di suggestione.

La ricerca  parla dell’empatia che si viene a creare tra innamorati che sincronizzano le onde cerebrali aiutando così chi sta soffrendo a patire di meno.

Lo studio

Sono state reclutate 22 coppie eterosessuali fra i 23 e 32 anni per dimostrare che può esistere una sorta di accoppiamento cerebrale in risposta al dolore fisico.

Alle donne è stato poggiato su un braccio un metallo caldo, secondo gli scienziati coloro che stringevano la mano al proprio partner, hanno sentito meno dolore rispetto a quelle che erano distanti dal compagno. Per Goldstein, la sofferenza fisica è stata addirittura inferiore del 34% .

Per arrivare a questa conclusione, l’esperimento è stato ripetuto in situazioni diverse e ogni volta il dolore è stato quantificato sia attraverso la testimonianza diretta della volontaria, sia avvalendosi dell’occhio esterno della controparte maschile.

Le registrazioni dell’attività elettrica dell’encefalo (EGG) di tutti i soggetti coinvolti, hanno poi fatto emergere che l’elettroencefalogramma delle donne che avevano sperimentato bassi livelli di dolore era quasi identico a quello dei rispettivi partner. Per questo, gli scienziati ipotizzano che tenersi per mano possa favorire il rilascio di sostanze chimiche nel cervello, che fungano da analgesici endogeni.

Leggi anche: Tenersi per mano: il modo in cui lo fate rivela che tipo di coppia siete

La ricerca tuttavia ha portato con sé qualche scetticismo. Flavia Mancini del Computational and Biological Learning Lab dell’università di Cambridge, ad esempio dice che occorrerebbe capire se il tutto funzioni sia con dolori brevi e profondi che con quelli cronici.

“Ciò che conta davvero è la connessione sociale non dovremmo lasciare gli altri soffrire nell’isolamento, con o senza un partner affianco”, spiega al Times Mancini.

Egitto: la sua influenza nella cultura globale

Fonte: https://www.nibiru2012.it/egitto-influenza-nella-cultura-globale/

Egitto cristianesimo

L’Egitto dei Faraoni ha gettato le basi di tutto quello che è avvenuto dopo sia nella tradizione cristiana che in molti stereotipi culturali architettonici.

Agli albori della storia, migliaia di anni prima di Cristo, una civiltà chiamò a raccolta le sue forze per costruire i monumenti più grandi della terra: le piramidi di Giza.

13 milioni di tonnellate di blocchi di pietra, sufficienti a costruire la città di Londra, furono trasportati attraverso il deserto. Perchè? Quale visione del mondo giustificava una simile impresa? Gli esponenti del pensiero archeologico classico affermano che si trattava di tombe per tre faraoni.

Robert Bauval, scrittore e ricercatore inglese, nato ad Alessandria d’Egitto, ha passato gran parte della sua vita all’ombra delle grandi piramidi.

Egli ritiene che uno scopo molto più elevato sia alla base della loro costruzione e negli ultimi vent’anni ha cercato di scoprire quel significato di cui si avverte l’eco in antiche storie che parlano di stelle, di divinità discese sulla terra e della creazione come la concepivano gli egizi.

La creazione nella mitologia mondiale

All’inizio tutto era avvolto dalle tenebre e regnava il caos. Poi dal caos emerse un monte e su di esso spuntò Ra, il sole. Infine, un uccello fiabesco: la fenice si alzò in volo e il prime verso che emise fece muovere il mondo. In quel luogo, in seguito, sorse la città di Eliopoli, attorno ad una colonna sormontata dalla sacra pietra Benben, simbolo del monte all’origine della creazione.

Eliopoli era considerata una delle città più sacre del mondo antico. Il nome Eliopoli era rappresentato da un geroglifico: un pilastro sormontato da una croce. Gli antichi egizi la chiamavano “Innu Mehret”, “la colonna settentrionale”, simbolo di uno dei pilastri della Terra.

Sappiamo, da antiche iscrizioni, che lì si ergeva, infatti, un obelisco, molto tempo prima che a Giza fossero costruite le piramidi. Sappiamo anche che in cima alla stele era collocata una sacra reliquia: la pietra Benben.

Questa pietra era a forma di cono o di piramide, e per gli antichi egizi era come la croce per la cristianità, il più sacro dei simboli. Questo simbolo è custodito nel museo del Cairo ed è la pietra di coronamento di una piramide.

I sommi sacerdoti di Eliopoli erano secondi solo al faraone ed erano noti come costruttori, maghi, guaritori e astronomi. Di uno di loro si conosce il nome: Imhotep. In seguito sarà venerato dai greci come “Asclepio”, per i romani “Esculapio”, inventore della medicina. Ma Asclepio è noto anche per la sua conoscenza delle stelle e come ideatore delle grandi piramidi

egitto

La vita dopo la morte

Migliaia di anni prima dell’era cristiana, nell’antico Egitto si parlava del giudizio dopo la morte. I peccati di un uomo venivano pesati opponendoli a ciò che quella persona era stata realmente nel corso della sua vita, a quello che ne rimaneva dopo aver scartato tutto il resto. Quella egizia, insomma, era una civiltà in cerca di una verità interiore.

“Oggi, la visione del mondo che ci viene trasmessa dagli scienziati, ci dice che la verità è fuori di noi e dobbiamo cercarla all’esterno. Per gli egizi, invece, la verità va cercata all’interno, nel nostro mondo interiore, in noi”, spiega Robert Bauval su History Channel.

“Credevano che in ogni individuo ci fosse una scintilla del divino. Allo scopo di imparare ad espandere questa scintilla, portarla al massimo dello splendore, era necessario parlare con essa, interiormente, in un linguaggio che chiamavano “linguaggio degli dei”.

Come percepivano questo linguaggio? Se si fa parte del cosmo, bisogna comunicare con esso, e loro comunicavano percependo con i sensi, raccogliendo messaggi portati dal vento, dalle stelle, dalla luna, dalla fertilità del suolo, dalle stagioni, dalla nascita dei figli.

Questa è la lingua della natura, la lingua del cosmo e cominciarono a capire che si poteva codificare questo linguaggio, in un linguaggio sacro e simbolico, legato ai principi cosmici. Questo è il motivo per cui fu inventata la “scrittura sacra”. I miti egizi ci dicono che gli inventori di questa scrittura sacra furono gli dei.

Il mito di Osiride

Nei secoli che seguirono la costruzione delle grandi piramidi, religioni che veneravano altri dei sorsero e si diffusero nel mondo allora conosciuto.

Ma il mito di Osiride sfidò il tempo, anche se il nome stesso di Osiride sparì, sostituito da quello di Serapide. Numerosi templi a Osiride e Serapide, furono edificati in regioni molto distanti tra loro, quali erano l’Inghilterra, la Germania e la Francia.

Nel I secolo a.C., il culto si diffuse il tutto l’Impero Romano, competendo con la supremazia della nascente religione cristiana e finendo, persino, di influenzarla. All’interno del movimento cristiano, si sviluppo una fazione la quale fece propria l’idea che, al fine di giungere alla condizione divina, l’uomo dovesse acquisire al conoscenza mediante la ricerca interiore. Questa idea veniva direttamente dalla religione iniziatica egizia.

Alessandria d’Egitto fu, per molto tempo, luogo di iniziazione per i convertiti a questa nuova fede religiosa: qui, i primi cristiani venivano qui per ricevere la “gnosi“, ovvero la conoscenza mediante l’iniziazione, per cercare Dio in se stessi e la verità interiore.

Gesù, per questa corrente cristiana, era colui che li guidava a scoprire in loro la scintilla divina e per questo, non avevano bisogno né di chiese, né di gerarchie. La religione praticata dai primi cristiani ad Alessandria, rappresenta il collegamento fra il culto misterico dell’antico Egitto e la religione gnostica.

Influenza sul cristianesimo

La cultura e la mitologia egizia hanno influenzato anche lo sviluppo delle religione cattolica? Alcuni indizi possono essere scovati all’interno del vangelo di Matteo, nel quale si parla della natività di Gesù Cristo, bimbo divino nato dalla vergine Maria, collegando questo avvenimento con l’Egitto.

Il vangelo di Matteo è unico per tre cose importanti collegate alla storia della natività: la prima riguarda la sacra famiglia che scappa in Egitto per sfuggire alla strage degli innocenti voluta da Erode e che trova rifugio ad Eliopoli.

In una chiesa cristiana vicina a Eliopoli, è raffigurata la fuga in Egitto della Sacra Famiglia. La seconda si riferisce alla stella che indicava il luogo della nascita di Gesù; la terza riguarda proprio i Re Magi, figure misteriose che venivano dall’oriente. Che cosa voleva dire l’evangelista Matteo con questi dettagli?

La vergine e il bambino

Siccome sappiamo che il vangelo di Matteo, molto probabilmente, è stato redatto ad Alessandria d’Egitto, Robert Bauval ipotizza che Matteo abbia creato l’immagine di Maria e di Gesù Bambino per parlare agli egizi, ai quali, un’immagine del genere, era molto familiare, in quanto richiama l’immagine più potente della religione egizia: quella della dea Iside che reca in braccio un fanciullo divino.

E’ chiaro dunque che si cercò di fare accettare una nuova religione, un nuovo culto, a persone che per tre millenni aveva visto nell’infante divino il figlio della dea Iside.

In un certo senso, Matteo rubò agli egizi il mito stellare di Iside, di Horus e della stella Sirio e lo trapiantò nella mitologia cristiana. E’ plausibile pensare che i primi cristiani d’Egitto, considerassero Iside come la madre di Gesù. Solo in seguito la vergine assunse l’identità di Maria.

La stella nel cielo

C’è però un simbolo ancora più potente attraverso il quale i primi cristiani cercarono di veicolare il mito di Iside nella nuova religione. Il riferimento è alla stella di Betlemme.

E’ essa la stella di Iside, l’antica stella di origine divina? Dopo 3 mila anni, a causa del fenomeno delle precessione, è cambiato il tempo in cui Sirio sorge e tramonta.

Durante l’epoca dell’antico Egitto, la stella Sirio sorgeva durante il periodo del solstizio d’estate. All’epoca della nascita di Gesù, invece, questa stella appariva in cielo, più o meno, nel periodo del solstizio d’inverno, intorno al 25 dicembre, precisamente dopo il tramonto del sole.

Ora, siccome sappiamo che per gli ebrei e i primi cristiani il giorno cominciava al crepuscolo, il 25 dicembre vedevano sorgere la costellazione di Orione e subito dopo la stella Sirio spuntare all’orizzonte.

Questa era la stessa immagine che gli Egizi osservarono per migliaia di anni, quando celebravano la nascita di Horus, l’infante divino durante il solstizio d’estate. E’ lecito dunque ipotizzare che la stella della divinità sia stata presa da un antico mito egizio e fatto proprio dalla religione cristiana.

I Re Magi

Anche i magi che si mettono in viaggio per seguire la stella potrebbe essere il tentativo di uniformarsi a un altro antico mito egizio. La costellazione di Orione, con le sue tre stelle splendenti che formano la cintura, sorgendo sembrano annunciare la nascita di Sirio. Ebbene, è solo Matteo che parla dei Re Magi. Possiamo ipotizzare che le tre stelle della cintura di Orione siano diventati i “tre” magi del vangelo di Matteo?

Sul finire dell’epoca classica, gli ultimi gnostici sopravvissuti affidarono alla scrittura i loro vangeli e la filosofia antica, per sottrarli ai loro persecutori.

I testi religiosi degli gnostici sono riapparsi solo di recente, ma quelli filosofici erano venuti alla luce alcuni secoli fa a Firenze, culla del rinascimento.

Nel 1460, un monaco consegnò a Cosimo De’ Medici un pacco di manoscritti. Si trattava dell’”Ermetica”, una raccolta delle ultime parole di Ermete Trismegisto, ovvero del dio egizio Thoth. Cosimo De’ Medici chiese a Marsilio Ficino di mettere da parte la traduzione delle opere di Platone e di dedicarsi a quella degli scritti ermetici.

Improvvisamente, gli intellettuali europei entrarono in contatto con la saggezza degli egizi e questo divenne un fatto di notevolissima importanza culturale, tanto che nei trecento anni che seguirono, servi da stimolo agli artisti europei d’avanguardia, agli intellettuali e ai filosofi.

Alla base del Corpus Haermeticum c’è l’idea della forza dei simboli, l’idea che i simboli non sono solo qualcosa grazie alla quale si riconosce qualcuno o qualcosa, ma che hanno un significato più profondo e che il simbolo stesso possa portare all’iniziazione.

L’ermetismo diventò così popolare che perfino Rodrigo Borgia (papa Alessandro VI) fece decorare i suoi appartamenti nel Vaticano con scene in cui sono raffigurati Iside, Osiride e Thoth Ermes, così come li immaginavano i pittori del rinascimento. Si stava diffondendo una religione molto più antica, e da alcuni ritenuta più saggia, di quella di Mosè e della Bibbia.

Nella cattedrale di Siena si può ammirare un’immagine di Ermete Trismegisto, ovvero del dio Thoth, che trasmette la saggezza dell’Egitto e della Fenice, simbolo della città di Eliopoli.

I papi disseminarono Roma di simboli dell’antichità e di obelischi provenienti dall’Egitto. Stranamente, i papi scelsero l’antico simbolo di Eliopoli e cioè, un pilastro sormontato da un croce e lo posero proprio nel cuore della cristianità. E’ curioso che tutti coloro che vanno in Piazza San Pietro, vengano anche ad ammirare questo antico simbolo dell’Egitto pagano.

Studiosi, quali il gesuita Athanasius Irkere, studiarono gli enigmi egizi, ma la Chiesa cominciò ad avvertire il pericolo. L’ermetismo stimolava prese di posizioni personali, lontani da quelli che erano i suoi interessi. Le nuove idee furono, quindi, bandite e i libri bruciati.

Nel 1600, l’ermetismo venne fatto tacere con la forza e Giordano Bruno, principale sostenitore, fu trascinato davanti a un tribunale ecclesiastico. Malgrado le orrende torture che gli vennero inflitte, il filosofo rinunciò di abbandonare le proprie idee.

La Chiesa aveva un solo modo per porre fine a tutto questo e accadde l’impensabile: il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno fu portato in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Fino all’ultimo momento della sua vita, il filosofo cercò di non guardare la croce che gli veniva posta davanti agli occhi da un membro dell’inquisizione. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere. Dopo questi tragici eventi, l’ermetismo divenne un fatto culturale clandestino.

Influenza sulla Massoneria

L’ermetismo trovò rifugio nelle società esoteriche, quali il movimento dei rosacrociani e la massoneria. La grande loggia di Londra, cuore e quartier generale della Massoneria pullula di antichi simboli. Gli affiliati vengono iniziati ai segreti, ai riti e ai simboli.

Secondo Michael Baigent, non c’è dubbio che l’ermetismo, partito dall’Egitto, si sia ramificato fino a influenzare anche il ritualismo e il simbolismo delle società segrete: la piramide, l’occhio onniveggente e la stella. I simboli egizi più sacri sono entrati a far parte dei misteri massonici. Le stesse istituzioni americane risultano “contaminate” dall’antico simbolismo egizio.

I fondatori degli Stati Uniti, George Washington, Benjamin Franklin e altri, erano in maggioranza dei massoni e fecero costruire e decorare la Casa Bianca con un’abbondanza di immagini che richiamano la massoneria. La costituzione stessa degli Stati Uniti è un’estensione dei principi della massoneria, con il suo porre fortemente l’accento sulla democrazia, sul sapere e sugli incentivi da dare alla scienza.

Egitto

Nel tempio massonico dedicato a George Washington, c’è un altro simbolo familiare: Washington e altri padri fondatori sono raffigurati con il “grembiule dei muratori“.

Anche il dollaro, simbolo della potenza americana, mostra il alto sconosciuto dello stemma americano: la piramide con l’occhio onniveggente con la promessa di un Nuovo Ordine Mondiale.

Egitto

E oggi, a più di duecento anni di distanza, possiamo ammirare in alcune delle città più importante dell’occidente, la presenza degli obelischi, simboli antichissimi di un’altra civiltà.

Da anni e anni, milioni di persone vi girano attorno, osservandoli distrattamente, di colpo, però, catturano l’attenzione di qualcuno, il quale si chiede: “Che cosa ci fanno qui?”, cercando di evocare la magia del passato e capire il significato di questi simboli, che al pari dei geroglifici, hanno bisogno di essere decodificati.

Firenze, la culla del Rinascimento

Scritto da: Fabio Forlano
Fonte:http://www.panoramitalia.com/it/travel/article/firenze-la-culla-del-rinascimento/1955/

Capitale dell’arte dal XV secolo, la città custodisce i tesori di grandi maestri come Botticelli, Michelangelo e Brunelleschi

Come tutto è iniziato

Convenzionalmente, gli storici fanno coincidere la fine del Medioevo con la scoperta dell’America (1492) da parte di Cristoforo Colombo. In realtà il cambiamento nel mondo occidentale era in atto già da qualche decennio, tra la fine dell’Impero bizantino e il divampare della riforma protestante. In tutto questo, Firenze viveva un periodo di lenta crescita, governata dalle famiglie borghesi della città. Le uniche minacce alla pace dei fiorentini arrivavano dalle mire espansionistiche dei Visconti, signori di Milano. La svolta avvenne con la presa del potere da parte della famiglia de’ Medici. Prima Cosimo e poi Lorenzo, detto il Magnifico, garantirono un periodo di pace e prosperità, finanziando l’opera di artisti e pensatori tra i più grandi della storia.

L’uomo al centro del mondo

Il Rinascimento affonda le proprie radici nel superamento dell’ideologia medievale. Al centro di ogni discorso venne posto l’uomo, soggetto capace di autodeterminarsi e dominare la natura con la propria volontà. La ricerca del piacere e della felicità non sembravano più essere un peccato. Così come il confronto e l’impegno sociale furono intesi quali percorsi obbligati verso il miglioramento della condizione umana.

Chiese e palazzi

L’impronta che il periodo rinascimentale ha lasciato su Firenze si nota soprattutto in ambito architettonico. Una passeggiata tra le chiese e i palazzi più belli della città mostra chiari i segni dello stile quattrocentesco, quando la riscoperta dell’armonia e delle forme geometriche di stampo romano chiusero definitivamente l’esperienza gotica. Il primo grande architetto del nuovo corso fu Filippo Brunelleschi, che già nella Cupola del Duomo aveva anticipato alcuni elementi del cambiamento.

Tuttavia è con lo Spedale degli Innocenti, e poi con le basiliche di San Lorenzo e Santo Spirito, che il Brunelleschi raggiunse il momento più compiuto dell’architettura rinascimentale fiorentina. Altre testimonianze importanti dell’epoca sono le facciate di Palazzo Ruccellai e di Santa Maria Novella, di Leon Battista Alberti, e Palazzo Medici Riccardi, di Michelozzo.

I grandi mecenate

Molta della produzione artistica del ‘400 fiorentino si deve alle commissioni dei grandi mecenate presenti in città: su tutti quelli della famiglia de’ Medici. Quando Cosimo tornò dall’esilio nel 1434 manifestò subito un gusto spiccato per il raffinato: per lui Donatello realizzò il David, sua opera più celebre che oggi è conservata nel Museo Nazionale del Bargello.

La stessa propensione ha accompagnato il governo di Piero e Lorenzo de’ Medici. Negli anni ‘70 del XV secolo in città si contavano decine di botteghe e laboratori. E Lorenzo, come a voler ripercorrere il mito di Atene, cercò di diffondere l’arte fiorentina in tutta Italia inviando i suoi migliori artisti nelle corti più ricche della Penisola. Il pittore simbolo del periodo laurenziano è Sandro Botticelli, capace di rendere gli ideali classici di armonia e bellezza in capolavori come la Primavera e la Nascita della Venere, entrambi custoditi presso la Galleria degli Uffizi.

L’età dei geni

Dopo la caduta dei Medici e la travagliata esperienza di Girolamo Savonarola, Firenze tornò alla calma sotto il gonfalonierato di Pier Soderini. In quegli anni ripresero le grandi committenze e in città lavorarono, seppur per un breve periodo, tre grandi maestri come Leonardo, Michelangelo e Raffaello.

Al periodo fiorentino di Leonardo da Vinci risale la realizzazione della Gioconda, ritratto di Lisa Gherardini moglie del mercante Francesco del Giocondo. Sebbene sia l’emblema del Rinascimento italiano, la Monna Lisa non ha mai avuto una collocazione stabile in città, essendo stata portata in Francia dallo stesso Leonardo già nel 1516.

Michelangelo Buonarroti, invece, tornò a Firenze nel 1501, ritrovando il clima dei suoi primi anni toscani. Il segno più evidente del suo secondo periodo fiorentino è senza dubbio il David, l’enorme statua di marmo oggi esposta nella Galleria dell’Accademia. Dal 1910, per ricordare la collocazione originaria dell’opera, in piazza della Signoria campeggia una copia del David, che riproduce fedelmente i lineamenti perfetti scolpiti dal Buonarroti.

Ultimo e più giovane dei tre geni che hanno servito Firenze all’inizio del XVI secolo fu Raffaello Sanzio. Marchigiano d’origine, Raffaello ha lasciato alla città la magnifica serie delle Madonne tra cui spicca la Madonna del Baldacchino, visitabile presso la Galleria Palatina.