Attenzione alla contaminazione batterica delle carni

Scritto da: Marina Morelli
Fonte : http://takecareblog.iljournal.it/

Gli alimenti freschi acquistati al supermercato sono spesso una scelta sana per i pasti della famiglia. Diverse varietà di pollo, manzo e carne varia possono trovarsi facilmente.

Tuttavia, si dovrebbe comunque stare attenti. Prodotti alimentari che si pensa essere sani possono essere invece un pericolo per la salute. Uno studio inglese ha scoperto che uno su cinque dei polli freschi venduti nei supermercati presentano batteri che causano intossicazioni alimentari.

I risultati dell’indagine effettuata dalla UK Food Standards Agency (FSA) ha trovato che il 18% dei polli nel Regno Unito era contaminato da Campylobacter, mentre il 17% presentava la Leisteria. E nell’1,5% dei campioni di carne fresca è stata trovata salmonella.

Il Campylobacter è stato accusato di oltre 370 mila casi di avvelenamento da cibo in Gran Bretagna. Le indagini sono state effettuate su 192 campioni di carne di pollo fresca in alcuni noti supermercati come Aldi, Asda, The Co-operative, Lidl, Marks & Spencer, Morrisons, Sainsbury, Tesco e Waitrose.

Queste contaminazioni non sono presenti solo in Gran Bretagna ma anche negli Stati Uniti dove in alcuni distributori di carne in Maine sono stati trovati una tonnellata di carne bovina sospetta di essere contaminata da E.coli.

Che fare allora? non mangiarla?

Non vi diciamo di arrivare a questo ma fate molta attenzione quando acquistate la carne. Controllate la colorazione, controllate la scadenza, controllate anche eventuali odori.

IL NORD SI RISVEGLIA FRONTIERA DI MAFIA

Scritto da : Antonio Siracusano
Fonte: http://www.gazzettadelsud.it

Ci fu un tempo in cui le cattedre morali “nordistoidi” erano bocche di fuoco schierate a batteria, sempre caricate a sentenze inappellabili di condanna. Imputato unico, recidivo e rassegnato, il Sud fradicio di mafia, imbevuto dei sette vizi capitali, offriva il fianco e porgeva la guancia, convinto di un abissale ritardo antropologico che affondava le radici in una tara razziale. Gli esordi leghisti – ben prima di “Roma ladrona” – hanno trovato terreno fertile in un Mezzogiorno pustoloso e irredimibile, sanatorio da recidere per scongiurare il dilagare dell’infezione.

Si sa come sta andando a finire. Il capovolgimento di fronte, con il giudice degradato a imputato, ci consegna un Paese unito dai disvalori. Le distanze si annullano, le pretese etiche arretrano e si conferma quella pericolosa deriva populista che spiana la diversità, rendendola inoffensiva e quasi macchiettistica.
Eppure le cronache giudiziarie degli ultimi anni inducono a osservare uno spartiacque che continua a dividere le reazioni civili, tra un Nord acquiescente (ma se salissimo su quelle cattedre morali potremmo anche dire accogliente) e un Sud che negli anni ha costruito una memoria di resistenza etica al virus della mafia. Le recenti inchieste hanno svelato la colonizzazione criminale – con la ‘ndrangheta sempre più pervasiva – di una “Padania” che improvvisamente si ritrova avvinta dal volto oscuro delle cosche, più o meno nelle retrovie rispetto all’infiltrazione economica e politica.
Una macchia ombreggiante che si è insinuata attraverso frontiere sociali e culturali sguarnite (accomodanti?). Almeno questa è l’impressione che gli stessi inquirenti hanno ricavato dalle loro indagini, non mancando di rilevare come l’avanzata dei capitali sporchi, le collusioni con i faccendieri dei clan e il controllo del territorio, si siano imposti senza dissonanze, come un fiume limaccioso che non trova ostacoli.
In questi anni – di fronte alla ramificazione degli interessi mafiosi – la diagnosi leghista si è limitata a vittimizzare un Nord in purezza costretto a importare la feccia sudista, spedita al soggiorno obbligato.
Una chiave di lettura folcloristica e demagogica che non può certo reggere la cifra di un progressivo “incistamento”, dovuto anche a una preoccupante friabilità (dalla cattedra morale, invece, si vede una strisciante complicità) del tessuto civile connettivo.
Ora sarebbe facile invitare i declamatori nordisti, in questo periodo un po’ smarriti e pallidi, a visitare le nostre memorie dell’antimafia, a studiare (senza scorciatoie) gli esempi di uomini che si sono fatti argini e anticorpi, che hanno donato il loro sangue per ridare vita a una coscienza civile dominata e in letargo.
Grazie a quei sacrifici oggi è possibile, in queste terre di Sicilia e Calabria, raccontare il coraggio e la resistenza, la dignità e la rivolta morale. E non per mettere i piedi su quella cattedra eretta a monumento separatista, ma per riequilibrare il peso di sentenze sbrigative e speculative. Dal ritratto di una “Padania” incontaminata affiorano lineamenti un po’ più rugosi e sfioriti. I segni della realtà non fanno sconti.

IRA: i combattenti per la libertà dell’Irlanda

Scritto da: Manuel Zanarini
Fonte: Arianna Editrice

“Siamo stanchi del vostro passato, dateci il nostro futuro” (murales a Derry)

“Oggi siamo stati sfortunati, ma noi dovremo essere fortunati una volta sola, tu dovrai esserlo per sempre” (rivendicazione attentato fallito alla Thatcher)

 

 

L’IRA (in Inglese Irish Repubblican Army, in Gaelico Oglaigh na hEireann), nasce nel 1918, in seguito alla Rivolta di Pasqua e inizierà a combattere nella guerra d’indipendenza del 1919, inizialmente con il nome di volontari irlandesi.

La storia dell’indipendentismo irlandese è molta antica, ma in epoca moderna, si può far iniziare con la Rivolta di Pasqua del 1916, quando, il 24 Aprile (Lunedì di Pasqua), i Volontari Irlandesi, guidati da Michael Collins, occupano il centro di Dublino, issando sul “General Post Office” la bandiera tricolore e proclamando l’indipendenza. La rivolta dura però poco, e non riesce a conquistare il popolo, che anzi insulta i prigionieri fatti sfilare per le vie del centro.

Nel 1917/18, però, anche i più moderati partecipano agli scontri successivi alla leva obbligatoria per combattere per il Regno Unito nelle trincee della I Guerra Mondiale.

Tornati i capi dai campi di concentramento del Galles, prendono le redini del Sinn Feinn (in Gaelico Noi da Soli), un piccolo partito nazionalista guidato da Eamon de Valera, non fucilato durante la rivolta del ’16 perché di cittadinanza americana.

Il 27 Ottobre 1917, si tiene, in concomitanza con una riunione del Sinn Feinn, il primo tentativo di organizzare una struttura militare permanente,l’Esercito della Repubblica Irlandese (l’IRA), e la sua guida viene affidata a Collins.

Le prime operazioni di guerriglia, note col termine di “flying columns”, consistono nell’attaccare caserme inglesi isolate nella campagna irlandese. Il risultato sarà quello di costringere l’esercito britannico nelle città, lasciando sguarnite le piccole città di campagna.

Nel 1918 si tengono le elezioni del Regno Unito, e il Sinn Feinn conquista la maggioranza assoluta dei seggi assegnati all’Irlanda. In seguito a questo risultato, i suoi deputati abbandonano il Parlamento britannico, occupano la “Mansion House”di Dublino e proclamano la Repubblica d’Irlanda. Ma anche stavolta l’esercito britannico riporterà gli insorti alla calma!

Intanto si fa sempre più accentuata la spaccatura tra l’ala militare capitanata da Collins e Richard Mulcay, e quella politica guidata da De Valera.

La mattina del 21 Novembre 1920, l’IRA uccide 19 agenti britannici a Dublino, per risposta l’esercito inglese entrerà allo stadio di Croke Park, durante una partita di calcio gaelico e uccide 14 civili.

Nell’Aprile del 1921 l’IRA si riorganizzerà su base regionale, anche perché in molte città del Nord, Belfast per esempio, la maggioranza dei cittadini è protestante e unionista, quindi la necessità primaria è difendere la popolazione cattolica. Intanto viste le difficoltà economiche di quel periodo storico, l’IRA assumerà un aspetto fortemente socialista.

A Maggio, i capi politici ordinano l’attacco al palazzo della dogana, gesto che costerà 5 morti e 80 feriti tra le fila dell’IRA, risultando un vero suicidio per l’ala politica.

Per sua fortuna, nell’estate del ’21 verrà dichiarata una tregua, cosa che consentirà ai nazionalisti di riorganizzarsi.

Ma, nel Dicembre del 1921, la storia dell’Irlanda cambierà per sempre. Avverrà la “partition”, la divisione dell’isola in “Libero Stato d’Irlanda” all’interno del Commonwelath al sud, e la creazione dell’Irlanda del Nord (o il territorio delle 6 contee), sotto il controllo dell’Inghilterra e guidata dai protestanti unionisti.

La leadership dell’IRA si dividerà, finendo con l’accusare Collins, inviato da De Valera alle trattative con l’Inghilterra, di essersi venduto.

La situazione degenererà fino a sfociare nella guerra civile, che vedrà contrapposte l’IRA, contraria al trattato, e l’ “Irish National Army”, l’esercito ufficiale del neonato stato guidato da Michael Collins e Richard Mulcay.

Nel Maggio del 1923 Frank Aiken, il capo armato dell’IRA, dichiara il cessate il fuoco, ponendo fine alla guerra civile.

Nel 1926 De Valera fonda il partito “Fianna Fail” (in Gaelico “Soldati del Destino), e nel 1932 vincerà le elezioni, divenendo il primo Presidente dell’Irlanda.

L’IRA però non riconosce lo stato del Sud, considerato uno strumento asservito all’Impero Britannico, rifiutandosi di prestare giuramento,anzi occupa 11 caserme della polizia, facendo scattare una feroce represisone.

In questo periodo la guida dell’IRA è nelle mani di Maurice Tomwey, che la spingerà su posizioni marxiste, cosa che le impedirà di fare breccia tra la maggioranza della popolazione, nazionalista e fortemente cattolica. Inoltre darà vita a scontri, quasi sempre non armati, con le “Blueshirts”, un’associazione fascista irlandese guidata da Eoin O’Duffy.

Durante la II Guerra Mondiale, l’IRA otterrà l’appoggio della Germania Nazista, ma il tentativo di far arrivare l’isola numerose munizioni fallirà.

In seguito l’IRA opererà soprattutto nelle “6 Contee” del Nord.

 

Durante gli anni ’60 l’IRA, che intanto ha assunto il nome di “Official IRA”, avrà forti tendenze marxiste, rifiutando scontri con la popolazione irlandese protestante, rifiutando la logica dello scontro etnico, da sostituire con la lotta di classe contro l’imperialismo capitalista inglese. Questo provocherà la fuorisuscita della corrente più tradizionalista e nazionalista.

Nel 1966 venne fondata, a casa di un avvocato cattolico e repubblicano del South Derry, Kevin Agnew, la Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), organizzazione che si proponeva di chiedere riforme e che fece il suo debutto ufficiale il 24 agosto 1968 con una marcia da Coalisland a Dungannon, nella contea di Tyrone. I loro cortei,in cui la popolazione civile cattolica, pacificamente chiedeva i diritti civili negati dalla maggioranza protestante, venivano spesso attaccate dai gruppi paramilitari e dall’eserciti unionisti.

L’epicentro degli scontri era la città di Derry, dopo una notte di scontri particolarmente violenti, sul muro di una casa di St.Columb’s Well, all’ entrata del Bogside (il principale quartiere cattolico della città), comparve una scritta destinata a entrare nella storia del conflitto e che si può vedere ancora oggi, nonostante rimanga in piedi solo il muro: You are now entering Free Derry (State entrando nella Derry libera. In risposta alla toponomastica britannica che definiva la città come Londonderry).

Il 12 agosto 1969, in occasione della marcia annuale degli “Apprentice Boys”(organizzazione massonica orangista ) di Derry, che celebra la resistenza protestante all’ assedio della città da parte delle truppe di Giacomo II nel 1689, ci furono scontri molto violenti e la Royal Ulster Constabulary (RUC), la polizia della provincia, tentò di entrare nel Bogside, dove erano state erette delle barricate. Cominciarono così 48 ore di battaglia, con i residenti del Bogside che tiravano pietre alla RUC che rispose usando, per la prima volta nel Regno Unito, il gas CS (il gas lacrimogeno).

Seguirono numerosi scontri tra protestanti e cattolici, culminati la notte del 14 Agosto a Belfast, quando alcuni gruppi di estremisti protestanti, in alcuni casi con l’ aiuto (o quantomeno il tacito assenso) della RUC, misero a ferro e fuoco le vie abitate dai cattolici che conducevano alla Shankill Road, l’ arteria che attraversa i quartieri della working class lealista, roccaforte degli estremisti protestanti. I cittadini cattolici furono costretti a fuggire dalle proprie case per rifugiarsi in altri quartieri cattolici di West Belfast come Andersonstown e Ballymurphy. Il giorno dopo il governo britannico decise di inviare un folto contingente di truppe per ristabilire l’ ordine.

I giorni seguenti sui muri dei ghetti cattolici “spopolati” i protestanti scrissero “IRA= I Run Away”(IRA= io scappo).

Questo segnò la fine dell’ Official IRA, che comunque resterà in vita fino al 1972 quando dichiarerà il cessate il fuoco, accusata di non essere in grado di opporsi alle “armate protestanti”. Così nacque la “Provvisional IRA”, non più posizionata su posizioni così di “sinistra” (“non esisteranno più ismi in Iralnda (riferendosi al marxismo) tranne quello del repubblicanesimo) e che tornerà a spingere sulla battaglia etnica contro i protestanti.

Fino ai primi mesi del 1971 la PIRA si occupò principalmente di difendere i quartieri cattolici delle principali città dell’Irlanda del Nord (Belfast e Derry) e di addestrare le reclute che volevano entrare nell’organizzazione; dopo questa fase iniziò una vera e propria offensiva militare contro le truppe britanniche, attaccate quotidianamente sia nelle aree urbane che nelle zone rurali (specialmente nelle aree di East Tyrone e South Armagh), e contro i cosiddetti “obiettivi economici”, come pubs, ristoranti e fabbriche, che venivano fatti saltare in aria con regolare frequenza.

Il 30 Gennaio 1972, avvenne la seconda Bloody Sunday, quando i paracadutisti britannici spararono su una manifestazione per i diritti civili a Derry, uccidendone 13 sul colpo e uno in seguito a causa delle ferite riportate.

Nel 1974 i leaders dei Provvisionals accettarono la proposta di una tregua, ma i lealisti uccisero decine di civili cattolici per farla saltare. Così, la vecchia leadership favorevole agli accordi, venne sostituita da elementi più giovani e più combattivi, Martin Mc Guinness e Jerry Adams.

I giovani si misero subito in luce e il 27 agosto 1979: al mattino la PIRA, al largo di Mullaghmore (Eire), fecero saltare in aria la barca di Lord Louis Mountbatten, cugino della regina d’Inghilterra, uccidendolo con altre 3 persone, mentre il pomeriggio, due esplosioni ravvicinate causarono la morte di 18 soldati inglesi a Warrenpoint, nella contea di Down. La sera stessa, a Belfast, lungo la Falls Road, l’ arteria stradale sulla quale si affacciano i quartieri cattolici di West Belfast, comparve la scritta “13 gone and not forgotten, we got 18 and Mountbatten”(“i 13 non sono stati dimenticati, ne abbiamo beccati 18 e Mountbatten”, riferendosi ai 13 morti del Bloody Sunday).

La capacità militare della PIRA aumentò notevolmente verso la fine degli anni ottanta grazie al sostegno della Libia di Muammar Gheddafi che inviò in Irlanda almeno 4 navi cariche di armamenti moderni (tra cui alcune tonnellate del micidiale esplosivo Semtex). I Provvisional erano diventati così forti che di fatto avevano raggiunto la “potenza di fuoco” dell’esercito britannico.

A questo punto, inizia una fase che si alterna tra colloqui segreti di pace e attentati per tenere alta la tensione, finché il 19 Luglio 1997, l’IRA dichiara la cessazione di ogni attività militare, dando il via al difficile e controverso cammino per la pace in Irlanda, che ha portato agli accordi di Stormont del 10 Aprile 1998. Finchè nel 2005, i Provvisionals hanno annunciato definitivamente l’addio alla lotta armata, pur non sciogliendo l’organizzazione, e si sono detti pronti ad utilizzare strumenti pacifici di lotta, fino alla riunificazione dell’isola.

Questa decisione ha però provocato la formazione di altre due formazioni contrarie agli accordi di pace.

La Real IRA, fondata da Micky “Micky” McKevitt, ex Quartiermastro Generale (responsabile per l’approvvigionamento e la distribuzione di armi ed esplosivi) dell’IRA e marito di Bernadette Sands (sorella di Bobby Sands, morto durante lo sciopero della fame del 1981 nel carcere di Long Kesh) e Liam Campbell, importante figura della Brigata South Armagh. Il gesto più clamoroso è stata la strage di Omagh nell’ Agosto del 1988, in cui un’ autobomba uccise 29 persone. (l’attentato singolo che ha causato più vittime nella storia dei Troubles). A seguito della repressione seguente ha dichiarato il cessate il fuoco, poi a seguito degli arresti dei suoi leaders, si è aperta una faida interna che l’ha praticamente resa inoffensiva.La Contnuity Ira, nasce nel 1986, per opera di due capi storici dei Provvisionals, Ruairi O’Bradaigh e Daithi O’Connell, essendo in disaccordo con la politica di Adams di partecipare alle elezioni sia nel Nord che nel Sud dell’isola. Ma è un movimento di modeste dimensioni, che non si manifestò fino al 1996, un attentato dinamitardo a Killyhevlin nel Fermanagh, per paura di ritorsioni dell’IRA. Nonostante questo, è l’unica organizzazione repubblicana irlandese a non aver mai dichiarato il cessate il fuoco.

Da segnalare anche l’INLA (Irish National Liberation Army ), organizzazione di estrema sinistra nata come scissione dell’Official IRA. L’attentato più clamoroso è stato quando fece saltare in aria a pochi passi dal Parlamento la macchina di Airey Neave, amico personale di Margaret Thatcher e portavoce del partito Conservatore per l’ Irlanda del Nord, che morì per le ferite riportate. Però le continue faide interne hanno lentamente ma progressivamente indebolito il movimento, che ha dichiarato il cessate il fuoco subito dopo l’attentato di Armagh nel 1998.

Hotel Aliah di San Paolo: quando il lusso è ecosostenibile

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it

Sarà pronto nel 2014 per i Campionati Mondiali di Calcio in Brasile, l’hotel Aliah di San Paolo, il cui progetto è stato affidato ai lavori congiunti di Hiperstudio e Arkiz.

Lo commissiona Aliah, un’azienda che si dedica alla realizzazione di opere con scopo di lucro ma profondamente rispettose dell’ambiente. Si tratterà di un hotel di lusso, ma ecosostenibile, concepito come luogo di avvicinamento tra l’uomo e l’habitat naturale. Nell’enorme struttura il paesaggio sarà protagonista, con varie zone verdi dedicate a contemplazione, passeggio e meditazione. Una piazza-belvedere sarà il punto focale del complesso, attorno ad essa sarà organizzato il resto della struttura, che si adatterà alla topografia naturale del luogo. Vari corridoi aperti porteranno alle stanze abbracciando idealmente un patio centrale ricco di vegetazione.

Saranno ovviamente utilizzati biomateriali e rispettate le regole di risparmio ed efficienza energetica, secondo i principi dell’architettura bioclimatica (che sfrutta la ventilazione e la luce naturale). Le strutture murarie saranno coperte da tetti verdi ed orti. Per irrigare le piante e le colture sarà utilizzata l’acqua piovana.

Pakistan alleato strategico del governo Monti

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

Stati Uniti e Nato lo guardano con diffidenza per le troppe ambiguità nella lotta al terrorismo di matrice islamica. Potenza nucleare, una lunga guerra a bassa intensità con la vicina India, il “democratico” Pakistan è vigilato a vista dall’esercito e dagli onnipotenti servizi segreti. Ciononostante sta per divenire uno dei più affidabili partner politico-militari dell’Italia nel continente asiatico.

Alla vigilia delle feste pasquali, il consiglio dei ministri ha discusso e approvato un nuovo accordo di cooperazione con i militari pakistani. “La ratifica dell’accordo nel settore della difesa – riferisce il portavoce dell’esecutivo – si inquadra in una fase particolarmente positiva dei rapporti tra i due Paesi, confermata anche dal recente incontro tra il Presidente Monti e l’omologo pakistano Gilani, in Cina, a margine del Forum dell’Asia a Boao”. Obiettivo chiave del partenariato sarà quello di “sviluppare la cooperazione bilaterale tra le forze armate dei due Paesi, nell’intento di consolidare le rispettive capacità difensive e di migliorare la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”. Sempre secondo il Governo, una volta in vigore, l’accordo assicurerà anche un’adeguata cornice giuridica e istituzionale per “l’ulteriore progresso di programmi di cooperazione industriale, a beneficio dei settori produttivi e commerciali d’Italia e Pakistan”. Il paese asiatico è già un discreto cliente del complesso militare industriale italiano. Secondo l’ultimo rapporto della Presidenza del Consiglio sull’esportazione dei materiali da guerra, nel 2010 il valore delle operazioni con il Pakistan ha raggiunto i 53,3 milioni di euro ed ha interessato un variegato stock di strumenti di morte (munizioni, bombe, siluri, missili, apparecchiature elettroniche e per la direzione del tiro, veicoli terrestri, navi da guerra, aeromobili, software, ecc.).
L’affare più lucroso per Finmeccanica & socie riguarda la consegna di dieci batterie del sistema di difesa aerea “Spada 2000 Plus” prodotte da MBDA Italia, società per azioni con sede a Roma, interamente controllata dal consorzio europeo missilistico Matra BAE Dynamics Alenia – MBDA di cui la holding italiana detiene il 25% del pacchetto azionario. Dotato dei missili terra-aria a medio raggio Aspide 2000, con esplosivo a frammentazione e guida radar semiattiva, il sistema “Spada 2000” è in grado di funzionare in qualsiasi condizione climatica, sia di giorno che di notte. Opera congiuntamente con un radar di rilevamento tridimensionale, il RAC-3D prodotto da Selex Sistemi Integrati, altra azienda di Finmeccanica, capace di intercettare e tracciare sino a 100 bersagli simultaneamente dentro un raggio d’azione di 60 km.
Il valore della commessa supera i 415 milioni di euro più le spese di realizzazione a Karachi delle infrastrutture necessarie all’assemblaggio delle munizioni. “L’addestramento dei militari pakistani ha preso il via alla fine del 2009 e alcuni ufficiali hanno visitato in più occasioni le sedi di MBDA in Italia”, ha spiegato Antonio Perfetti, presidente del Cda di MBDA Italia. Le operazioni sono seguite passo dopo passo da personale specializzato dell’Aeronautica militare. L’efficienza del sistema è stato sperimentato con numerosi test nel poligono di Salto di Quirra (Sardegna), alla presenza di una delegazione delle forze armate pakistane, mentre una delegazione militare italiana ha seguito le prime prove di lancio in Pakistan (luglio 2010).
Un altro strumento di guerra “made in Italy” entrato a far parte degli arsenali del Pakistan è il sofisticatissimo aereo senza pilota “Falco UAV”. Realizzato dalle officine di Selex Galileo (già Galileo Avionica), il “Falco” è un velivolo che vola a medie altitudini, ha un raggio di azione di 230 km, un’autonomia superiore alle dodici ore e può trasportare carichi differenti come sensori radar ad alta risoluzione e bombe a caduta libera. L’ordine delle forze armate pakistane risale alla fine del 2008 e comprende venticinque velivoli senza pilota, un’unità di volo di riserva e le stazioni di controllo terrestri (GCS). Il battesimo sul campo è avvenuto in occasione della grande offensiva lanciata nella Swat Valley nell’autunno 2009: come ammesso dalle autorità militari locali, i “falchi” italiani sono stati lanciati per localizzare e bombardare “tutti i tipi di obiettivi, inclusi depositi munizioni, bunker, nascondigli e altre infrastrutture utilizzate dagli insorti”.
Selex Galileo ha in programma di vendere al Pakistan una versione più avanzata del velivolo (il “Falco Evo”) che consentirà un’autonomia di volo sino a 18 ore, una capacità di trasporto sino a 120 Kg e la possibilità di ospitare a bordo bombe e missili teleguidati. L’azienda del gruppo Finmeccanica ha inoltre prodotto i radar installati in alcuni dei cacciabombardieri in dotazione all’aeronautica militare pakistana. Si tratta dei “Grifo” nella versione 80 e 200, operativi in banda X e in grado di supportare il lancio dei missili aria-aria e aria-superficie sempre più utilizzati nelle azioni di guerra contro i gruppi anti-governativi.
La “guerra sporca” delle forze armate pakistane nella regione del nord-ovest e in Balucistan ha causato lo scorso anno la morte di centinaia di civili e oltre due milioni di sfollati. Amnesty International ha ripetutamente denunciato le gravi violazioni dei diritti umani perpetrati dai militari e le esecuzioni extragiudiziali di presunti insorti da parte delle milizie tribali “sostenute dall’esercito ma prive di un appropriato addestramento o controllo”. La Commissione per i diritti umani del Pakistan (Human Rights Commission of Pakistan – Hrcp), organizzazione non governativa, ha documentato il ritrovamento di 282 corpi di sospetti insorti, tra la fine delle operazioni militari nella Swat Valley, nel luglio 2009 e maggio 2010. Anche in questo caso le uccisioni sarebbero state eseguite dalle forze di sicurezza nazionali. “Molti attivisti impegnati in campagne contro le sparizioni forzate in Balucistan sono scomparsi o sono stati uccisi”, aggiunge Amnesty International. Vittime innocenti che non sembrano per nulla turbare i sogni dei mercanti d’armi e dei ministri-banchieri del governo Monti.

Cosa si nasconde dietro il sequestro dei marò

Fonte: http://osservatorioitaliano.org/read.php?id=99329

Appare ormai chiara la gestione politica da parte delle autorità indiane della vicenda dei due pescatori uccisi, accorsa peraltro in acque internazionali e “asseritamente” da militari italiani, volta a strappare una promessa e forse qualcosa di più a Bruxelles. In gioco c’è un progetto indiano di realizzare una polizia navale antipirateria, in grado di fronteggiare il sempre più drammatico fenomeno presente prevalentemente nell’oceano indiano. Tale progetto vedrebbe un coinvolgimento con responsabilità diretta delle autorità indiane che dovrebbero contare su cospicui finanziamenti da parte dell’UE. Va inoltre considerato che vi sono oggi trenta militari indiani sequestrati da pirati, che agiscono in un’area marittima che si estende soprattutto nelle acque territoriali indiane. New Delhi cerca da tempo di avere un ruolo maggiore nella lotta internazionale alla pirateria, con un quadro giuridico sostanziale e correlati strumenti finanziari. Da tempo è stata presentato all’ONU lo studio realizzato dal Governo indiano sulla strategia di lotta alla pirateria, con una flotta e un organismo con potere giudiziario, da affiancare alle attuali missioni UE e NATO. In tal senso, la creazione di un caso controverso, come quello del sequestro dei due militari italiani, costituisce il casus belli ideale, ponendo il problema dell’inesistenza di un quadro giuridico efficace o di un braccio armato per contrastare tale fenomeno. Le stesse notizie trapelate nella giornata del 2 aprile, secondo cui il Premier della regione di Kerala avrebbe anticipato quello che sarà il verdetto della corte suprema, ovvero che il processo si terrà in India, e la successiva decisione della stessa corte di rinviare ancora di due settimane tale decisione, lascia intendere la volontà di quelle autorità di esercitare una maggiore pressione sulla diplomazia italiana, ed europea in particolare, per rendere attuabili le richieste che la diplomazia indiana sta trattando. E’ probabile che non conosceremo mai la verità ufficiale dell’accaduto, perché non sembra che ci sia questa volontà, quasi che il tutto risponda ad un disegno strategico destinato ad approfittare di una malaugurata circostanza. Tra campagna elettorale e geopolitica internazionale, l’India ha dato inizio ad un giocoforza con l’Europa, facendo leva su uno dei suoi anelli più deboli. Un simile azzardo non avrebbe avuto lo stesso esito con navi russe, cinesi o inglesi, che non avrebbero fatto un solo passo al di fuori delle acque internazionali. La guerra diplomatica nelle alte sfere potrebbe, quindi, costare molto all’Italia, soprattutto in termini di immagine e di autorevolezza all’estero.

Le stagioni dei mercati e il tramonto della crescita

Scritto da: Alessandro Farulli
Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=15384

Tra le poche cose che abbiamo capito di economia, e di economia finanziaria in particolare, c’è quella che nonostante ci si diverta a paragonare gli andamenti della borsa con gli eventi climatici, le due cose non abbiano proprio nulla a che spartire. Lo ricordiamo perché oggi Napolitano ha detto che si assiste a un «Ritorno al clima invernale anche sui mercati. Speriamo che possa essere rapidamente superato», paragonando così il martedì nero e lo spread in rialzo al freddo di questi giorni dopo il capolino delle temperature estive e una ripresina che aveva già fatto affermare al premier Monti che la crisi era superata.

La realtà delle cose è ben diversa, ma nulla ha a che farci dal nostro punto di vista la crisi spagnola, né i dati sulla disoccupazione americana, né la discussa e discutibile riforma del lavoro italiana annacquata dopo lo scontro tra le parti. O meglio, per i mercati queste sono certamente cose che creano tensione e minano la fiducia, tuttavia il nodo è la crescita. Lo è in quanto tale e lo è in quanto totem. I mercati vorrebbero rigore dei conti pubblici e crescita spinta – che ricorda molto la botte piena e la moglie ubriaca – visto che per ottenere i primi, non si esce da un sacrificio della seconda e viceversa.

Uno “stato stazionario” come dice Guido Vaciago sul Sole24Ore di oggi è percepito «dai suoi cittadini come un gioco a somma zero dove inesorabilmente se qualcuno cresce è ‘a spese’ di qualcun altro: dove continuamente ci sono vincitori e vinti. Insomma, una Unione in cui conviene essere stati, ma non conviene più restare in futuro». E questo è il caso dell’Italia e dell’Europa e non è una ‘percezione’, visto che dal default greco la Germania finora ci ha solo guadagnato…

Il paradosso del paradosso è però un altro: quello che i mercati volevano, come detto, conti in regola e crescita, è impossibile da ottenere e i primi a capirlo sono proprio i mercati, che infatti hanno portato giù le borse e su lo spread. Può darsi che serva una nuova iniezione di moneta oppure, come dice Andriani sull’Unità, lavorare con l’inflazione. Tuttavia il problema resta, lo ribadiamo, la crescita.

Questa da tempo almeno in Italia è un lumicino e tra l’altro è la normalità delle economie mature.

Non è pensabile che l’Italia un giorno possa correre con percentuali tipo Cina e questa è l’unica cosa che tutti hanno capito. Bisogna quindi cambiare il modello di sviluppo, perché la strada della crescita è un cul de sac. Se non si declina cosa e come deve crescere, con il Pil siamo spacciati. E non è solo una questione di occupazione, perché che la crescita porti occupazione quando la si vuole ottenere con l’aumento dell’età pensionabile e della produttività, si rischia esattamente quello che sta già avvenendo: emorragia di posti di lavoro e basta.

Non si dica poi come fanno Giavazzi e Alesina che il problema sono gli investimenti esteri perché un imprenditore non mette i soldi in uno Stato dove a decidere sulle sorti dei suoi lavoratori ci pensa un giudice e non lui stesso, perché l’Ikea che sposta due produzioni dall’Asia proprio in Italia dimostra esattamente il contrario (e non cambierebbe il ragionamento neppure se tra un mese l’Ikea rivedesse la sua decisione, perché semplicemente il mercato funziona così e a licenziare si è sempre in tempo).

Napolitano quindi ha ragione quando afferma «C’è urgente bisogno di dare maggiore attenzione al disagio sociale che risulta chiaramente dai dati e che coinvolge la famiglia, i nuovi poveri e i giovani non occupati», un fenomeno che «non può non allarmarci» e dunque «se ne tenga conto in Parlamento al momento in cui si discuterà la riforma del mercato del lavoro».

Come ha ragione quando aggiunge che di fronte alla crisi che pare riaccendersi «non basta invocare la crescita, come se non ci volesse altro che volontà e determinazione», una invocazione «talvolta un po’ fastidiosa e vacuamente polemica, come se ci fossero sordità al riguardo e fosse chiuso il capitolo dell’austerità». Il fatto, ha concluso il presidente della Repubblica, è che «non c’è crescita che possa reggere senza l’innovazione in tutti i suoi aspetti e non meno importante è la coesione sociale». Ma qui invece non convince.

Dal nostro punto di vista il mondo è cambiato, lo abbiamo detto tante volte, si è spostato l’asse terrestre e non si torna indietro. I Paesi dell’Ue devono fare i conti con la crescita dei Brics e dei Paesi in via di sviluppo universalmente intesi consci che la politica depredatoria di energia e materia portata avanti dall’occidente e che gli ha permesso di ottenere i successi del passato, è semplicemente finita.

Bisogna dare nuove regole a tutto il sistema e per di più non le dettiamo e detteremo più noi. Servono accordi internazionali e – come spiega il Wuppertal Institut – sia i vari campi della produzione (cosa e come si produce) sia l’entità e poi gli impieghi dei profitti devono superare il banco di prova della sostenibilità. Dobbiamo uscire dalla logica dell’economia finanziaria, per riappropriarci dell’economia reale e riconvertirla all’ecologia. Questo aiuterebbe l’economia e l’ambiente, ma attenzione, non è detto che porti maggiore benessere e più occupazione. Almeno non quello che si intende oggi, ovvero derivato dall’accumulazione di merci. Bisognerà far prevalere il ben-essere sul ben-avere e la crisi quindi – ancorché sistemica oppure proprio perché sistemica – è ancora un’opportunità.

Come dice sempre il Wuppertal Institut «le opportunità della modernizzazione ecologica sono nel ridimensionamento dei mercati di attività ecologicamente rischiose e nella cresciuta selettiva dei mercati dei beni sostenibili del futuro». Cosa serve dunque? «Quello che serve alla sostenibilità della vita può e deve crescere (…) dovrà invece diminuire ciò che favorisce lo sfruttamento eccessivo della natura, nonché ciò che genera e trasferisce rischi su altri soggetti e ciò che danneggia la coesione sociale». Ciò che può crescere è l’efficienza energetica e dei materiali, energie rinnovabili, agricoltura biologica, commercio equo e solidale. Cosa deve ridursi? «Il traffico stradale e aereo ad alta intensità, l’energia nucleare, i prodotti finanziari speculativi o dell’indebitamento dei paesi poveri».

Può l’Italia percorrere questa strada da sola? No, ma può partire e vedere chi la segue. Ribadiamo che una grande opera di manutenzione del territorio affiancata da un’industria manifatturiera che sfrutti la materia seconda intesa come materia rinnovabile sono due obiettivi alla portata e che certamente danno un contributo allo sviluppo e un’idea almeno di un modello di sviluppo diverso.

Un modello fatto anche di una nuova equità sociale e di un’ecologia della politica (altrimenti non è possibile una politica ecologica) delle quali né il governo tecnico di Monti che applica le indicazioni di mercati schizofrenici, nè i partiti immersi negli scandali dell’insostenibilità della politica del pensiero unico, sembrano in grado di prospettare.

I Santi taumaturghi e le malattie mentali

Fonte: http://www.parodos.it/curiosita%2024.htm

Nel Medioevo la perdita delle antiche certezze e l’angosciosa ricerca di verità e conoscenza portarono l’arte medica a percorrere nuove strade per il raggiungimento del sapere; ma per quanto riguarda la cura delle malattie mentali si assiste ad una involuzione del pensiero medico: infatti i disturbi della sfera psichica sono relegati nell’area religiosa con la conseguenza che gli interventi terapeutici diventano oggetto di esame e cura esclusiva dei ministri della fede. La follia era ritenuta un vizio giustificato dall’intervento del demonio; così per cacciare il maligno dall’anima, gli amuleti e le terapie usati nell’antichità vengono sostituiti con altri riti religiosi come il segno della croce, l’aspersione dell’acqua benedetta, l’intercessione dei Santi Taumaturghi. I santuari in cui si conservano le reliquie dei Santi considerati protettori delle malattie nervose, diventano meta continua di pellegrinaggi per ottenere la guarigione. Nei trattati di medicina si tenta comunque di dare alcune spiegazioni dei diversi turbamenti cerebrali: a seconda della gravità del disturbo, i folli vengono sottoposti a percosse e ad esercizi coercitivi. Un esempio significativo dei medicamenti più comuni per la cura delle malattie mentali è il trattato di Pietro Ispano (1226-1277) conosciuto sotto il nome di THESAURUS PAUPERUM. In un’epoca in cui dilagava la terapia preziosa con l’utilizzo dell’oro e delle pietre preziose, Ispano cercò di fornire un manualetto di rimedi a poco prezzo, facili da trovare e alla portata di tutti. Si trattava di una medicina empirica ma non certo immune da credenze superstiziose. La carne del lupo, per es., era considerata un toccasana per guarire i “ fantastici “ ma nei casi di pazzia conclamata, l’unica cura possibile era l’esorcismo; convinzione ancora radicata nel Seicento in una parte dell’ambiente medico, sicuro che questo tipo di malattia fosse da imputarsi a possessioni demoniache.

Secondo la medicina popolare, la malattia proveniva da forze malvagie provocata dall’invidia e dal malocchio o conseguenza dell’ira divina per i peccati commessi. In questi casi si ricorreva all’opera del guaritore dotato di “fluido benefico” o al mago capace di interrogare le stelle e creare amuleti apotropaici. A tale riguardo segnaliamo che forse l’amuleto apotropaico più famoso è l’Occhio di Santa Lucia; indossato, portato al collo o inserito nei brevi scaccia il “mal occhio” ( è una conchiglia che sezionata assomiglia ad un occhio). Quando il medico, l’erborista, la medichessa, il guaritore o il mago avevano fallito, al poverino non rimaneva che affidarsi con fiducia all’intercessione di qualche Santo Taumaturgo specializzato nella guarigione del suo disturbo. La fede riposta nelle immaginette devozionali (santini), nelle medagliette sacre, negli scapolari o nei “ brevi” sono una antica usanza pagana, frutto di superstizione, che opera un potente effetto “placebo” portando al miglioramento dei disturbi nervosi e talvolta, producendo il “miracolo”. I brevi, o brevetti, sono dei sacchetti di stoffa contenenti frammenti di pane, canfora, cenere di olivo, immagini sacre ecc. Ma spesso la vera fede cede il passo a pratiche magico-religiose come per es., l’usanza legata ai talismani eduli (edulus, commestibile). Queste piccole immagini sacre raffigurate su sottilissimi foglietti di carta erano chiamati dal popolo “ bocconcini “ , perché venivano mangiati in caso di malattia.

Cosma e Damiano

Cosma e Damiano sono stati designati come Santi Patroni della Medicina e di altre professioni legate all’arte del guarire in virtù dei loro grandi poteri taumaturgici. Si conoscono tre coppie di Santi con i nomi di Cosma e Damiano: i martiri di Roma lapidati, i martiri arabi decapitati e infine, gli Anargiri provenienti dall’Asia che morirono di morte naturale. I martiri di Roma furono accusati di magia ma avendo curato una lussazione dell’imperatore Carino (283 d.C.), questi prese a stimarli. Il loro maestro, invidioso, con la scusa di raccogliere erbe , li lapidò a morte. Per quanto riguarda i martiri arabi, si racconta che fossero gemelli, che dopo aver studiato medicina in Siria, si stabilirono a Egea. Qui, rispettati dalla popolazione, diffusero la fede cristiana attraverso il loro lavoro acquistando grande notorietà. Ma la fama del loro talento di guaritori raggiunse anche Lisia, governatore romano al tempo delle persecuzioni religiose ordinate da Diocleziano (284-305 d.C.), che li fece arrestare. Come molti altri cristiani, i Santi si rifiutarono di accogliere e osservare le pratiche pagane e perciò furono condannati a morte. Il loro martirio fu atroce: nonostante fossero stati bruciati, lapidati, crocefissi e tagliati in due, sopravvissero per morire infine decapitati. Per quanto riguarda gli Anargiri provenienti dall’Asia e morti di morte naturale, si narra che, educati dalla madre Theodota, perché il padre era morto quando ancora erano bambini, si fecero ben presto notare curando e guarendo uomini e animali, meritandosi il nome di Anargiri ( in greco: senza argento ) per l’abitudine di rifiutare compensi in cambio dei loro servizi.

Una leggenda narra che una donna di nome Palladia, dopo aver consumato un patrimonio in rimedi inefficaci, chiese a Damiano aiuto offrendogli come compenso tre uova; questi dapprima rifiutò, ma poi, per non offendere la donna , le accettò. Quando Cosma scoprì il fatto, si irritò a tal punto da dichiarare di non voler essere seppellito insieme a Damiano. Morti i due fratelli , si discusse a lungo sul che fare delle spoglie. Il dilemma fu risolto da un cammello – un tempo curato dai due Anargiri – che miracolosamente parlò, affermando che Damiano doveva essere sepolto con Cosma: infatti egli aveva accettato il dono per rispetto dei sentimenti della donna e senza alcuna ambizione personale di guadagno. I fatti storici legati a questi due medici sono oscuri e confusi: a giudicare dalle varie leggende probabilmente Cosma e Damiano erano due fratelli di fede cristiana, vissuti in Asia verso la fine del III sec. e divenuti celebri grazie ai loro poteri taumaturgici. Ben presto cominciarono a circolare notizie di miracolose guarigioni accadute presso la loro tomba sita a Ciro, nel nord della Siria, sede di un tempio di Esculapio, il dio greco della Medicina, trasformata in Santuario, la cui fama si propagò rapidamente nel mondo cristiano orientale e occidentale. Lungo i secoli le immagini di Cosma e Damiano sono state riprodotte su tela, pietra, legno, vetro, metalli preziosi e monete, in quanto mediatori della divina arte del guarire. Le numerose leggende che circondano queste figure e i miracoli a loro attribuiti hanno dato origine a una ricca iconografia in Europa, Oriente e Nuovo Mondo. Il più noto dei miracoli postumi attribuiti ai S.S. Cosma e Damiano, frequente nell’iconografia spagnola, narra di un uomo con una gamba cancerosa, che giunto al Santuario a Roma , a loro dedicato da papa Felice IV, chiese la guarigione e dopo aver pregato ai piedi del loro reliquario, si addormentò. I Santi gli apparvero in sogno, amputarono l’arto malato e lo sostituirono con un altro, appartenente ad un Moro deceduto. Quando l’uomo di svegliò e si ritrovò sano, gridò al miracolo. Gli amici increduli non solo videro la gamba di colore perfettamente trapiantata, ma si affrettarono a controllare la bara del Saraceno, dove trovarono un corpo intatto ma privo di quell’arto.

Bibliografia

Santi Taumaturghi, Nigel Allan

La leggenda aurea, J. da Varagine

Malattia mentale nella storia, M.L. De Nicolò e G. Berretta – 1998

Treviso. Abitazioni costruite con la cenere anzichè con il calcestruzzo

Scritto da : Davide Pelanda
Fonte: http://www.articolotre.com

Usate ceneri nocive degli inceneritori. E’ successo in provincia di Treviso, e potrebbe accadere ancora….

3 aprile- 2012- Incredibile ma vero: a Musestre, in provincia di Treviso, qualche settimana fa è stata abbattuta una nuova abitazione per via del cemento che aveva una qualità scarsa, anzi scarsissima. E’ in infatti risultato insufficientemente robusto per reggere l’edificio della dottoressa Elisabetta Merloni, la farmacista del paese, che si stava facendo costruire la casa dall’impresa Cfr sas di Rizzo & C., che a sua volta aveva acquistato il cemento dalla Mac Beton spa.

Questa sconcertante scoperta grazie a 5 perizie tecniche le quali hanno evidenziato che il cemento usato, cosiddetto “magrone”, era di qualità scadente con la presenza di ceneri, diossine, metalli pesanti, sostanze tossico nocive che avrebbero dovuto essere smaltite in discariche speciali e che invece erano finite nei muri di quella casa. A tal punto da costringere all’abbattimento dell’intero edificio.

L’avvocato Vincenzo Todaro, difensore della farmacista, ha chiesto un milione di danni a Cfr ed analogo provvedimento verrà replicato nei confronti della Mac Beton.

«Ci troviamo di fronte – ha raccontato l’avvocato al Gazzettino di Treviso – ad un caso simile a quello di San Giuliano, la scuola dove morirono 27 persone, delle quali la maggior parte bambini».

Questa casa fortunatamente non era ancora abitata e si è potuta scongiurare la tragedia.

Ma il dubbio agli abitanti di quelle terre venete è venuto, soprattutto quando continuano a vedere quei teloni verdi che da parecchio tempo nascondono 100 mila tonnellate di ceneri del vecchio inceneritore della zona, ancora senza destinatario ed affrancatura.

Una dislocazione momentanea che dura da 11 anni, lì vicino alla tangenziale Nord: forse che venga utilizzata di quella cenere nei cementifici per fare mattoni per le case, le scuole, gli uffici? A pensar male…

Perché l’impatto ambientale delle ceneri residue dai processi di incenerimento, studiato da anni ha risultati sconcertanti: si riteneva infatti che le ceneri pesanti fossero, in seguito al processo termico ad alte temperature, inerti e stabili. Oggi invece è appurato che il lisciviato delle ceneri pesanti contiene, oltre che metalli pesanti, anche composti organici tossici.

Nelle ceneri pesanti e leggere, ad esempio, prodotte da cinque inceneritori francesi nei primi anni del 2000, sono stati trovati composti organici in una concentrazione compresa tra 2 e 50 g/kg peso secco (fonte: Rendek E, Ducom G, Germain P. Assessment of MSWI bottom ash organic carbon behavior: A biophysicochemical approach. Chemosphere 2007;67:1582-1587.).

A Milano, altro esempio, nelle ceneri leggere di un inceneritore operativo (dati pubblicati nel 2005) sono stati trovati cloro-organici: penta cloro benzene (31 ng/g), esacloro benzene (34 ng/g), orto trifenil benzene (72 ng/g) e meta trifenil benzene (4.4 ng/g); questi composti sono stati trovati anche nei lisciviati, dopo test di lisciviazione con acqua di queste stesse ceneri leggere (fonte: Korenkova E, Matisova E, Slobodnik J. Application of large volume injection GC-MS to analysis of organic compounds in the extracts and leachates of municipal solid waste incineration fly ash. Waste Manag 2006;26:1005-1016.).

E se tutte queste ceneri venissero per davvero messe nel calcestruzzo delle nostre case, potremo assistere anche ad un avvelenamento a lungo termine del territorio.

Tornando per un attimo alla brutta avventura della farmacista della provincia di Treviso, il danno è stato valutato dall’esperto della Procura della Repubblica in 500 mila euro «ma – ha riferito sempre l’avvocato Todaro al Gazzettino di Treviso – senza tenere conto dei costi di smaltimento dei calcinacci (in discarica speciale, ndr) e dei disagi della proprietaria dell’immobile».

Il tecnoguerrirero

Fonte: http://freenfo.blogspot.it/2012/04/il-tecnoguerrirero.html

Nessun disimpegno delle forze armate italiane in missioni all’estero, queste le parole del servo di corte, nonché capo del governo italiano. Nessuna questione da valutare se si tratta di guerre o finte missioni umanitarie, anche perché il mandato del nuovo ordine è chiaro: distruggere lo stato sociale italiano in tempi brevissimi, ma lasciare le questioni strategiche e politiche ai veri mandanti e padroni. Per questo ci ritroviamo così in basso nella scala della dignità umana, per questo ci meritiamo queste persone a governare la baracca, fin quando non capiremo che la spina alla baracca la possiamo staccare immediatamente, scegliendo di essere consumatori intelligenti, uomini e donne non votanti, semplicemente esseri liberi. Utopie della vigilia di Pasqua che non si realizzeranno in uno Stato che ancora crede che prima o poi ci rialzeremo e l’economia tornerà a livelli di crescita. La parabola discendente è appena iniziata, non ci resta che attendere gli eventi programmati da chi ci ha sempre tenuto per le palline…