Magma gonfia l’isola di Santorini

Fonte: http://phys.org/news/2012-09-giant-balloon-magma-inflates-santorini.html
Tradotto da: http://www.ditadifulmine.com/2012/09/magma-gonfia-lisola-di-santorini.html

Santorini, conosciuta anche come Thera, è un’isola che si trova nel bel mezzo del Mar Egeo, a circa 200 km dalla costa greca. L’isola è ciò che rimane di un antico vulcano che, nel II° millennio a.C., fece registrare un’eruzione di proporzioni catastrofiche, classificata al livello 6-7 del Volcanic Explosivity Index.
Il vulcano che si trova sotto a Santorini, infatti, è noto per la sua attività ad intervalli regolari, con eruzioni esplosive che hanno modellato l’isola nel corso di milioni di anni.
L’evento chiamato “eruzione minoica” fu di proporzioni bibliche: sollevò una colonna di cenere alta 30-35 km, seguita da un’eruzione di vapore causata dal contatto del magma con l’acqua. Lo tsunami causato dall’eruzione sollevò il Mar Egeo da 35 a 150 metri, arrivando a colpire la costa di Creta, a 110 km di distanza.
L’eruzione minoica scagliò nell’atmosfera circa 100km cubi di sedimenti, superando di quattro volte il materiale espulso dall’eruzione del Krakatoa.
L’isola di Santorini ospita infatti una serie di camere magmatiche particolarmente attive che, nell’arco dell’ultimo anno, sembrano essere aumentate di un volume pari a 10-20 milioni di metri cubi, l’equivalente di 15 volte l’Olympic Stadium londinese.
La crescita di questa massa di magma è testimoniata dall’innalzamento dell’isola di 8-14 centimetri tra il gennaio 2011 e l’aprile 2012. La ricerca che si è preoccupata della raccolta dei dati sull’evoluzione del vulcano di Santorini, finanziata dal Natural Environment Research Council britannico, ha sfruttato un sistema di ricevitori GPS per rilevare al millimetro i movimenti della crosta terrestre.
Nel gennaio 2011, una serie di piccole scosse sismiche, rilevabili solo da sismografi molto sensibili, ricordarono che il vulcano di Santorini era ancora attivo, nonostante un silenzio lungo 25 anni.
Contemporaneamente a queste scosse, le immagini satellitari mostrarono piccoli movimenti della superficie dell’isola. “Durante la mia visita a Santorini nel 2011” spiega Michelle Parks of Oxford University, “fu evidente che molti degli abitanti locali erano ben consapevoli del cambiamento nell’attività del vulcano. Le guide turistiche, che visitano il vulcano diverse volte al giorno, mi aggiurnavano sui cambiamenti del gas maleodorante che veniva emesso dalla cima del vulcano, o dei cambiamenti del colore dell’acqua in alcune baie attorno all’isola”.

“Un giorno, nell’aprile 2011” continua la Parks, “due guide mi hanno riferito di aver sentito un terremoto mentre si trovavano sul vulcano, e che il movimento del terreno li ha fatti saltare. I residenti che lavorano nei ristoranti sull’isola di Thera percepiscono l’aumento dell’attività sismica dalle vibrazioni dei bicchieri dei loro locali”.
“La gente era consapevole del fatto che stesse accadendo qualcosa al vulcano” spiega Juliet Biggs della Bristol University, “ma solo quando abbiamo visto i cambiamenti nel GPS, e i sollevamenti del terreno nelle immagini radar, ci siamo resi conto che veniva immessa roccia fusa in un livello inferiore dell’isola. Molti vulcanologi studiano le rocce prodotte dalle antiche eruzioni per capire cosa accadde in passato, per cui è eccitante usare queste tecnologie satellitari per capire cosa stia accadendo ora nel sistema vulcanico”.
Il team ha calcolato che la quantità di roccia fusa giunta nella camera magmatica di Santorini nel corso dell’ultimo anno è l’equivalente della quantità che il vulcano immagazzina normalmente in 10-20 anni.
Questo non significa necessariamente che Santorini sia destinata a subire un’eruzione potenzialmente catastrofica: nel corso degli ultimi mesi, infatti, l’attività sismica sembra essere sensibilmente diminuita, anche se non è un dato in grado di cancellare ogni dubbio o preoccupazione.

L’enigma di Rosslyn

Fonte: http://www.antikitera.net/libri.asp?ID=163&TAG=Templari&page=

La cappella di Rosslyn è una “enciclopedia di pietra” del sapere esoterico, nota da sempre agli appassionati, al pari di Rennes-le-Chàteau, e assurta a meta obbligata di migliaia di pellegrini moderni da quando Dan Brown vi ha ambientato il suo Codice Da Vinci. Venerata dai massoni, frequentata dai templari moderni, la cappella scozzese voluta nel XV secolo dalla famiglia dei Sinclair conserverebbe autentici tesori, dalle testimonianze di viaggi precolombiani nelle Americhe a importanti reliquie quali il Santo Graal e la testa di Cristo. In questo libro Philip Coppens ne ripercorre l’incredibile vicenda storica e introduce il lettore a un appassionante viaggio nei misteri di questa straordinaria architettura gotica.

Una nuova promessa contro la tubercolosi

Scritto da: Valentina Murelli
Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/

Si chiama epimerasi e potrebbe essere la chiave di volta della lotta contro la tubercolosi. È un enzima coinvolto nella sintesi della parete cellulare di Mycobacterium tubercolosis, il microrganismo responsabile della malattia. La buona notizia è che un gruppo di biologi strutturali dell’Università di Pavia è riuscito a descrivere in dettaglio la struttura molecolare dell’enzima e ora che questa è nota si può cominciare a disegnare farmaci mirati contro la molecola, per metterla ko uccidendo il batterio.

L’annuncio, pubblicato su Science Translational Medicine, arriva in un momento cruciale della battaglia contro la tubercolosi, una malattia che continua a uccidere due milioni di persone all’anno, anche grazie alla comparsa di forme resistenti a molti dei farmaci utilizzati per combatterla, se non a tutti. D’altra parte, la ricerca è stata ferma per moltissimo tempo e solo nell’ultimo decennio ha ripreso vigore, identificando nuove, potenziali armi farmacologiche. Tra queste spiccano i benzotiazinoni ed è proprio da loro che prende le mosse la nuova linea di ricerca .

Tutto è cominciato tre anni fa, quando l’équipe di microbiologi di Giovanna Riccardi, sempre dell’Università di Pavia e in collaborazione con altri membri del consorzio internazionale New Medicines for Tuberculosis, ha individuato il bersaglio cellulare di uno dei benzotiazinoni, il BTZ043. Si trattava appunto dell’epimerasi, un enzima chiave per la vita del batterio e dunque candidato ideale a diventare bersaglio non solo di BTZ043 (che è molto efficace in vitro, ma meno in vivo), ma anche di altri farmaci. Per il design di nuove molecole, però, occorre avere la struttura del bersaglio e per ottenerla Riccardi ha chiesto una mano ai colleghi cristallografi Andrea Mattevi e Claudia Binda.

Il gruppo ha determinato la struttura sia dell’epimerasi da sola, sia dell’enzima legata al suo inibitore BTZ043: un caso decisamente raro nell’ambito degli studi antitubercolari, dove sono ancora molto scarse le conoscenze sui meccanismi di interazione tra i farmaci e il batterio. Ora però sembra proprio che qualcosa sia destinato a cambiare: gli studiosi si aspettano grandi risultati dalla ricerca di nuovi agenti diretti contro l’epimerasi. E nel frattempo, continua la sperimentazione clinica di una decina di altri nuovi farmaci antitubercolari.

Immagine: American Red Cross

Altro che declino: per il World Economic Forum l’Europa, se sostenibile, è in testa al mondo

Scritto da: Luca Aterini
Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=17664

Le potenzialità del continente restano intatte: le prime 8 posizioni in classifica sono tutte europee

La sostenibilità è il nuovo, fondamentale parametro. E premia il Vecchio continente

Il World Economic Forum, la fondazione svizzera celebre per l’organizzazione degli incontri che riuniscono a Davos ogni 12 mesi il gotha politico ed economico mondiale, ha pubblicato la sua classifica annuale sulla competitività dei Paesi del mondo, proseguendo in una tradizione che continua da più di 30 anni. Per esprimere il verdetto finale, il Wef ha incrociato valutazioni su vari parametri, tra i quali la bontà delle infrastrutture, della capacità d’innovazione, della cooperazione nelle relazioni sindacali, degli investimenti in ricerca e sviluppo, dei bilanci pubblici, della qualità della concorrenza, della collaborazione tra università e industrie, dell’efficienza istituzionale.

Ebbene, tra le prime dieci nazioni in classifica, sei sono europee. Nord europee, per la precisione: dalla Spagna alla Grecia, passando per l’Italia e il Portogallo, si va invece dalla 36esima pozione alla 96esima. Klaus Schwab, direttore esecutivo del Wef, vede proprio in queste profonde discrepanze nella competitività tra regioni, «specialmente in Europa», come l’origine «della profonda turbolenza che stiamo vivendo oggi». Ecco che esorta dunque i governi «ad agire con decisione attraverso l’adozione di misure a lungo termine per migliorare la competitività e riportare il mondo su un percorso di crescita sostenibile». Con una posizione chiara, il Wef – che non è certo un covo di socialisti sovversivi – riconosce in buona sostanza la necessità di una programmazione politica per le dinamiche economiche mondiali, ponendo particolare accento sul tema della sostenibilità.

È proprio su questo punto che il Wef spinge di più l’acceleratore. Fuori dalla cassa di risonanza dei grandi media, quest’anno la fondazione ha presentato per la prima volta il Sustainability-Adjusted Global Competitiveness Index (GCI), misurando con questo «l’insieme delle istituzioni, delle politiche e dei fattori che permettono ad una nazione di restare produttiva nel lungo termine, garantendo nel contempo la sostenibilità sociale e ambientale», i due pilastri introdotti dal nuovo indice e declinati in 20 diverse valutazioni, dalla qualità dell’ambiente naturale alla disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nella popolazione.

Osservano la classifica dei Paesi stilata secondo i parametri del GCI – classifica «preliminare e provvisoria», essendo all’esordio –  gli Stati europei escono a maggior ragione vincitori nel confronto, occupando le prime 8 posizioni; nelle prime 20 posizioni, solo 5 sono occupate da nazioni extraeuropee. Anche l’Italia migliora la sua pur ignominiosa posizione, passando dalla 42esima della classifica “tradizionale” alla 38esima. Lo spazio per migliorare è ancora tanto, ma questo significa che – banalmente – abbiamo ancora qualcosa da fare, piuttosto che lagnarci della stagnazione dell’economia. Tramite politiche mirate, il progresso è ancora una volta a portata di mano, e da europei abbiamo la fortuna (e la responsabilità, soprattutto) di poter partire già dalla prima fila.

In una recente intervista al settimanale Der Spiegel, è il filosofo francese André Glucksmann ad affermare che «l’Europa è ancora un parco giochi delle idee»: in effetti, e lo si vede benissimo dalla profonda titubanza con la quale il continente ha finora gestito la crisi – tra rigurgiti nazionalisti e mancanza di vera solidarietà – l’Unione europea non ha ancora affatto chiaro quale sia la sua identità, e soprattutto che cosa intende fare da grande. È un vero peccato, perché al contrario di gran parte del comune sentire, l’Europa nel suo complesso mantiene ancora salda la testa dell’economia globale, ed avrebbe tutte le carte in regola per rimanere in sella ancora per molto tempo.

Rasputin. Il diavolo santo

Fonte: http://www.primoraggio.it/libri_consigliati/libri_politica_esoterismo.htm

di René Fülöp-Miller – Odoya Edizioni
Una bella biografia su una tra le più controverse figure storiche del Novecento, tra depravazione e intrighi politici, misticismo ed estrema umanità. Già da adolescente scopre di possedere un carisma speciale, in particolare nei confronti delle donne. Il suo sguardo intenso e profondo possiede qualcosa di magnetico e diviene presto famoso come guaritore. Secondo la setta dei Chlisty, di cui ha fatto parte per un periodo, l’uomo può purificarsi dal peccato solo in un modo, abbandonandovisi totalmente e, attraverso il pentimento che ne segue, ascendere alla catarsi. Fisicità e religiosità si sposano in questo credo eretico che fa del rito erotico e delle congiunzioni carnali, anche di gruppo, il suo fondamento. Magia Sessuale e Tantrismo in anticipo di cento anni. Sarà un personaggio temuto – e soprattutto molto invidiato dagli altri cortigiani che arriveranno a ucciderlo – essendo un semplice contadino che si stabilisce alla corte dello zar dal 1905, quando guarisce l’erede al trono, il figlio della zarina Alessandra, influenzando in maniera importante le decisioni politiche imperiali.

Sequestrate le armi della “polisia veneta”

Scritto da: Alessandro Mognon
Fonte: http://www.ilgiornaledivicenza.it

L’INCHIESTA. Parte da Treviso l’operazione che ieri ha portato alla denuncia per associazione paramilitare di 18 aderenti al Movimento per la liberazione del Veneto. Nelle case dei 3 vicentini coinvolti gli agenti della Digos hanno trovato pistole, fucili e carte  di identità con scritte in dialetto.

Vicenza. Quando gli agenti della Digos ieri si sono presentati alla porta non hanno fatto resistenza ma tutti avevano la stessa frase pronta: «Non riconosco l’autorità dello Stato italiano». Poi hanno lasciato che i poliziotti si portassero via pugnali, pistole, proiettili, carabine (tutti con regolare permesso), documenti e carte d’identità “venete”. Loro sono i 18 aderenti al gruppo separatista Movimento di liberazione nazionale del popolo veneto finiti nell’inchiesta della Direzione centrale della polizia di prevenzione del ministero dell’Interno e della Procura di Treviso, epilogo di circa sei mesi di indagini della Digos della questura di Treviso. Un’inchiesta che oltre a 13 trevigiani, un padovano e un veronese ha coinvolto tre vicentini, accusati di associazione paramilitare. Con tanto di creazione di un corpo armato, la “polisia veneta”. Un po’ come i Serenissimi che con il tank artigianale assaltarono piazza San Marco nel 1997. Si tratta di Davide Giaretta, operaio di 28 anni residente a Trissino; Giancarlo Carlesso, 32 anni, autotrasportatore del Bassanese e Luciano Benetti, 54 anni, piccolo imprenditore di Montecchio Maggiore.  A Carlesso sono stati sequestrati documenti, 4 pugnali da 30 centimetri, 50 coltelli, uno sfollagente, una carabina ad aria compressa e adesivi del Mlnv. Dall’abitazione di Benetti i nove agenti coordinati dal capo della Digos di Vicenza Nevio Di Vincenzo hanno portato via una pistola Beretta 9,21 con 2 caricatori (uno vuoto), una Beretta cal. 22 con il caricatore vuoto, 24 proiettili, una carabina semiautomatica Remington da tiro sportivo e varie scatole di proiettili, un fucile ad aria compressa e due carte “d’identità e licensa de guida de la Repubblica veneta” con tanto di foto. Infine a Giaretta sono state sequestrate una tessera con foto (dove si definisce capodipartimento), un coltello da lancio tipo ninja, una spilla con una svastica e 291 vademecum dove si spiega “come comportarsi in caso di controlli della polizia”.  Come ha spiegato il questore di Treviso Carmine Damiano si tratta della prosecuzione di un’inchiesta di tre anni fa con armi sequestrate e 13 indagati (alcuni sono gli stessi). Ma l’iter giudiziario si era arenato un anno dopo a causa dell’abolizione del reato di costituzione di associazione paramilitare decisa nel 2010. Processo cancellato, fino a quando nel febbraio scorso il Governo Monti ha reintrodotto il reato. Così le indagini sono ripartite e «anzi – spiega sempre Damiano – c’è stata un’esasperazione verso il fanatismo e l’introduzione di elementi comunicativi che lasciavano intendere uno sviluppo pericoloso».  Come quel “monito” al presidente della Repubblica Napolitano in occasione della sua visita in Veneto che compare sul sito web del movimento: «La sua sicurezza e incolumità personale non saranno garantite, fermo restando il legittimo ricorso al diritto di rappresaglia. Il Veneto non xe la to italia, ocio». Forse anche da qui la decisione di intervenire.

LA MALEDIZIONE DELL’ORO NERO COLPISCE ANCHE SIRIA E LIBANO. di ROGER AKL

Scritto da: Antonio de Martini
Fonte: http://corrieredellacollera.com/

 

Presento un altro documento in lingua francese ( a fondo articolo) da parte di un noto esperto libanese e cristiano vivente in Francia: Roger AKL, ex ufficiale di Marina, ex vice capo di SM della Marina Libanese.
Anch’egli ripercorre la maledizione dell’Oro Nero che – camuffata da conflitto religioso – che colpisce il suo paese e la vicina Siria.

 

La sua testimonianza, non tradotta per mantenerla ” pulita” si aggiunge a quelle di Nachik Navot ( Israele) e a quella di Alain Chouet( Francia) che ho già pubblicato in questo blog, per aiutare gli amici de ” IL CORRIERE DELLA COLLERA” a capire la situazione, oltre che tramite i miei post che comunque mi pare abbiano descritto e documentato fedelmente la situazione.
Quel che avrete certamente notato, è che tutti gli intervenuti nel dibattito sono, come dire,” di sicura fede Atlantica ” e tutti criticano lealmente ed apertamente la politica americana nel mediterraneo, giunta ai limiti del surreale.
Il secondo elemento evidente a tutti, è che tutti i “poteri”- nessuno escluso – che in una forma o nell’altra intervengono a fianco dell’America in questo conflitto, sono poteri NON democratici: governi tecnici, bande raccogliticce di mercenari, quando non addirittura seguaci di organizzazioni terroristiche catalogate come tali dalle stesse autorità USA.
Il terzo elemento palese a tutti, riguarda l’Italia e la sua supina adesione alla politica USA, al punto che è il solo paese dell’occidente a partecipare a tutte le iniziative mediterranee degli angloamericani , mentre la Spagna si è ritirata dall’Afganistan, la Germania e la Turchia hanno rifiutato di intervenire in Libia, la Francia sta ritirando i suoi uomini dal guazzabuglio afgano e gli inglesi stanno alla larga da Somalia e Yemen, mentre la Grecia ha smesso di bere i comunicati stampa NATO.
Un esempio tra tutti : l’Organizzazione Siriana per i diritti Umani con base a Londra che fornisce i media di notizie quotidianamente inattendibili, NON ha nulla a che vedere con la quasi omonima organizzazione che tutti conoscono e apprezzano.
Per scopiazzature meno essenziali di questa, la scorsa settimana, la Samsung è stata costretta a pagare oltre un miliardo di dollari di multa.
Questa organizzazione fasulla, viene presa come oro colato in tutte le sue fantasie.

Continuo a insistere sulla questione siriana a costo di irritare, perché è solo rendendosi conto ogni giorno di quel che accade, possiamo essere informati ed informare,perché la guerra che si sta combattendo oggi, in Europa, è quella per la conquista delle intelligenze. Le vostre.

 

“Ce que j’écris sur la Syrie je dérange beaucoup de mes camarades français, à tel point que l’un d’eux m’a blessé au plus profond de moi-même en m’écrivant : « Mais comment, toi qui est chrétien, peux-tu défendre ce ”dictateur” qui massacre son propre peuple ».
30 AVRIL 2012

J’ai beaucoup réfléchi à toutes ces questions de religions et de politique au Moyen-Orient, d’instrumentalisations religieuses à buts stratégiques et politiques par des États occidentaux supposés chrétiens, qui agissent en États athées, excitant les fanatismes et s’alliant avec les théocraties islamiques du Golfe pour renverser des chefs d’État arabes laïques, tandis qu’en Occident, ils excitent les populations contre l’Islam présenté comme religion fanatique. Tout en encourageant parallèlement les riches autorités du Wahhabisme pétrolier à envahir le monde occidental et arabe et à y répandre les thèses extrémistes de l’Islam [1].
Révoltes arabes, intégrismes et prix du pétrole
Il faut se rappeler que, depuis que Nixon a annulé la couverture or du dollar, la valeur de cette monnaie est assurée par le pétrole que le monde entier doit payer en dollars et donc en avoir des réserves suffisantes. Bien sûr, les États-Unis n’ont qu’à faire marcher leur planche à billets pour s’approvisionner en énergie. C’est pour cela que, dès le début, ils s’étaient assuré que les pays du Golfe ne vendraient leur pétrole qu’en dollars. Ils avaient en plus promis de protéger leurs monarchies contre toute tentative de les renverser. Ils avaient même, dans les années cinquante, renversé la seule démocratie de la région en Iran pour y installer le Shah et monopoliser ainsi la vente du pétrole au monde entier. À ce moment-là, l’Islam des théocraties extrémistes pétrolières les dérangeait si peu que le fait qu’ils foulaient aux pieds les droits de l’Homme était secondaire à leurs yeux et à ceux de leurs alliés européens.
La guerre du Liban et l’utilisation de la religion pour des buts stratégiques
En 1948 et 1967, Israël, avec l’aide de l’Occident et surtout des chefs d’États arabes, sous protectorat ou influence restante des mandats anglais et français, avait chassé les Palestiniens de leurs maisons, leurs terres et leurs villages et les avait chassés dans les pays environnants ; un grand nombre dans le pays le plus faible, car le plus pacifique et le plus démocratique, le Liban, où le pouvoir était partagé entre ses différentes communautés, mais surtout entre les chrétiens et les sunnites. Les réfugiés palestiniens y étaient nombreux ; et de plus en plus révoltés contre le comportement de tous les États arabes qui ne les avaient jamais vraiment protégés, car dirigés par des gens asservis aux puissances coloniales, qui avaient planifié l’exode des Palestiniens, en leur commanditant une tragi-comédie de guerre israélo-arabe qu’ils devaient perdre sur ordre. La présence de ces réfugiés palestiniens, en quasi totalité musulmans sunnites, déstabilisa le Liban en divisant les Libanais, entre partisans sunnites des Palestiniens d’un côté et chrétiens libanais de l’autre. Ces derniers sous prétexte de protéger l’indépendance du pays, étaient encouragés par les Occidentaux à s’allier avec l’ennemi israélien pour « se défendre ».
Tout cela permettait de susciter une guerre de religion à la frontière Sud de l’Union Soviétique athée, tandis qu’Israël, allié du Shah d’Iran, allait profiter du chaos général, pour s’attaquer aux Palestiniens réfugiés dans le Sud du Liban et bombarder en même temps les villages chiites de la région.
Le Shah fut renversé et remplacé par la République Islamique d’Iran.
Ainsi, les États-Unis firent d’une pierre deux coups. La guerre contre le Liban avait réussi, d’une part à susciter des guerres religieuses dans tout le Moyen-Orient, au Sud des républiques musulmanes de l’Union Soviétique, et d’autre part à créer un ennemi islamique chiite iranien pour alimenter les peurs et la haine des populations sunnites du monde arabe contre lui, de façon à ce qu’Israël n’apparaisse plus comme l’ennemi principal.
C’est ainsi qu’Al-Qaeda fut créé en s’appuyant sur l’Arabie saoudite et le Pakistan, et que Saddam Hussein, homme de main de la CIA, déclencha la guerre contre l’Iran et souleva encore plus les peurs et les haines entre les deux rives du Golfe. Saddam Hussein fut encouragé par l’ambassadrice des États-Unis elle-même à envahir le Kuwait. Ainsi Al Qaeda, après avoir contribué à déstabiliser l’Union soviétique, se serait retournée contre les États-Unis, ceux-ci se « vengeant » en intervenant en Afghanistan et, surtout, en occupant l’Irak avec pour objectif de le diviser en petits États communautaires rivaux ; ce qui devait permettre aux États-Unis de contrôler la ligne de fractures eurasiatique allant de la Chine à la Méditerranée, en passant surtout par le Golfe pétrolier. À cette époque, il n’était question ni de droits de l’Homme, ni de protection des innocents. Résultat : il y eut plus d’un million de morts et de sans-abris innocents victimes des guerres menées par les États-Unis.
Pourquoi les États-Unis ont-ils renversé en Irak un dictateur, ancien homme de main de la CIA, qui leur avait rendu le service d’attaquer l’Iran ? Parce que Saddam Hussein a par la suite désobéi en voulant vendre son pétrole en une autre monnaie que le dollar.
Et pour l’Iran, comme disent les militaires, même motif, même punition. Il voulait vendre ou vend déjà son pétrole en d’autres monnaies que le dollar, empêchant ainsi le dollar d’être la monnaie de réserve du monde entier. Mais ce n’est pas la seule raison. Il fallait susciter au sein des populations sunnites arabes la peur d’une prétendue menace qui les jetterait dans les bras de leurs monarques alliés aux États-Unis et, bien sûr, dans les bras d’Israël, selon le dicton « l’ami de mes amis est mon ami » et de son pendant « l’ennemi de mes ennemis est mon ami ».
Tout le battage médiatique et gouvernemental des pays occidentaux, sur la prétendue bombe nucléaire iranienne et la prétendue « défense des droits de l’Homme », dans les pays du Printemps arabe, n’est qu’un rideau de fumée cachant des intérêts beaucoup plus matériels.
La Syrie, le Liban, leurs champs de gaz et la lutte pour la mainmise sur l’énergie
Qui peut encore croire que l’Occident combat pour défendre les droits de l’Homme en Syrie, au Liban, en Palestine ou dans le monde ?
Car, comment peut-on défendre les droits de l’Homme quand on manipule des peuples anciennement colonisés en les assujettissant à des régimes criminels, qui, dès 1948 et en accord avec les pays occidentaux, ont planifié la défaite et l’exode subséquent des Palestiniens et la victoire d’Israël ; et quand on s’allie avec les pires dictatures théocratiques et fanatiques du Golfe ; et quand on qualifie la Turquie de « démocratie », alors qu’elle a nettoyé et nettoie toujours ethniquement ses minorités et qu’on veut lui faire reprendre pied et assurer les droits de l’Homme dans les territoires où elle a autrefois perpétré ses crimes ?
Ceux qui se demandent ce qui pousse l’Occident à lancer les théocraties contre la Syrie ont pensé que son objectif était d’affaiblir l’Iran et le Hezbollah libanais, et de construire un oléoduc pour le pétrole du Golfe, lui permettant d’éviter le Détroit d’Hormuz rendant ainsi l’Europe moins tributaire de la Russie pour ses approvisionnements énergétiques.
Tout cela est vrai. Mais le plus important est que le Liban et la Syrie détiennent des réserves gazières énormes dans leurs eaux territoriales, et que le Sud-Liban regorge d’un pétrole que l’Occident et Israël convoitent en secret depuis des décennies et dont ils interdisent l’exploitation. Or, il se trouve que la Russie et la Chine sont aujourd’hui aux côtés de ceux qui veulent aider ces deux pays à exploiter leurs richesses et que cela ne fait pas l’affaire de l’Occident, de la Turquie et des théocraties du Golfe.
Kofi Annan et les 300 observateurs de l’ONU arriveront-ils à calmer le jeu ? Ou tragiquement les bandes armées et les livraisons d’armes continueront-elles à déferler sur ces deux pays, subissant la malédiction de l’Or Noir ?

 

 

Kosovo del nord, un anno dopo la crisi

SAcritto da: Tatjana Lazarević
Fonte: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-del-nord-un-anno-dopo-la-crisi-122089

I due valichi di Jarinje e Brnjak, presidiati dalle forze internazionali, separano oggi di fatto la Serbia centrale dal Kosovo del nord. La distanza tra Pristina e Mitrovica, tuttavia, non è diminuita, e il recente terremoto politico a Belgrado rappresenta un’incognita sulla ripresa dei negoziati tra serbi e albanesi. La crisi dei valichi di confine, un anno dopo

Un anno dopo l’inizio della crisi dei valichi nel nord del Kosovo, la situazione rimane difficile. Nonostante la violenza sia diminuita negli ultimi mesi in confronto alle tensioni della prima metà dell’anno, non è escluso possa tornare ad esplodere in autunno. Una nuova tornata di colloqui Belgrado-Pristina, sponsorizzati da Bruxelles e centrati esclusivamente sul nord Kosovo, riprenderà dopo una lunga pausa durante la quale Belgrado ha vissuto un terremoto politico.

L’ex presidente Tadić ha perso le elezioni, e il governo è cambiato. Il nuovo presidente Tomislav Nikolić e i suoi alleati di governo hanno annunciato la personale partecipazione ai colloqui. In tal caso, sarà la prima volta in dodici anni che le massime cariche politiche di Belgrado e Pristina dialogheranno ufficialmente.

La controversa questione della sovranità su questa parte del Kosovo rimane dunque nella futura agenda del governo di Pristina e dei suoi sponsor internazionali. Improvvise esplosioni di violenza potrebbero però provocare repentini cambiamenti nel calendario politico.

BarricateLe diverse parti coinvolte interpretano la crisi secondo le proprie percezioni e i propri interessi. Per alcuni la situazione sul campo è cambiata enormemente, per altri non abbastanza. La maggior parte dei serbi locali ammette, dodici mesi dopo, che l’immenso dispiego di milizie internazionali e polizia ai due valichi verso la Serbia centrale, Jarinje e Brnjak, mirato a far rispettare la giurisdizione di confine, è di fatto una separazione del Kosovo settentrionale dalla Serbia centrale. Le forze Kfor sono state dispiegate anche in paesi e villaggi, cercando di controllare i movimenti della popolazione, ma anche di controllare tutte le strade alternative.

“Hanno fatto in dodici mesi quello che non erano riusciti a fare in dodici anni. Vedi questo posto di blocco enorme al confine?! E a Jarinje è ancora più grande”, dice Bojan V. (34), guidando lentamente verso Brnjak, lungo il lago Gazivode. È estate, fa caldo, e un folto gruppo di amici, come molti residenti di Mitrovica, si dirige “dall’altra parte del fiume” per pescare e prendere il sole. Il veicolo si ferma al segnale di stop KFOR, poi prosegue lentamente al gesto del soldato, e si ferma da un agente di polizia Eulex. Al primo sguardo si tratta di una procedura di routine. Soldati e agenti di polizia sono calmi e cortesi, i viaggiatori collaborano. Ma sotto la superficie, gli abitanti del luogo sono infelici e arrabbiati.

“Ci hanno portato via la nostra terra e hanno bloccato quella che era una strada per la Serbia”, aggiunge Bojan.

Il posto di blocco con militari e polizia, circondato da filo spinato e sacchi di sabbia, e completo di torre di guardia, sembra davvero grande. Una nuova procedura, da mesi annunciata come “presto in vigore”, richiederà ai viaggiatori di presentare una carta d’identità kosovara. Si tratterebbe di un accordo fra Pristina e Belgrado, raggiunto dal precedente governo serbo, ma che la stessa Belgrado continua sporadicamente e con poca convinzione a dire che non è valido.

Confini etnici e confini di Stato

“Siamo nella situazione in cui era il sud del fiume Ibar nel 1999, fisicamente separato dalla Serbia”, afferma Bojan. Anni di pressione politica e militare della comunità internazionale contro la divisione tra serbi e albanesi hanno spostato il nodo della questione della divisione fra i serbi del nord Kosovo e i loro concittadini in Serbia centrale a Jarinje e Brnjak.

I cumuli di detriti e la tenda con i simboli serbi sbiadita dal sole continuano a bloccare il ponte principale per il traffico veicolare. L’ultimo progetto politico di Pristina, però, prevede la sostituzione della divisione etnica con la creazione di confini tra i due paesi.

Serbi del Kosovo – buoni o cattivi?

Dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza nel 2008, la strategia politica di Pristina, fortemente appoggiata dai suoi sponsor internazionali, è consistita in workshop politici impreziositi dalla partecipazione e dall’integrazione dei serbi del Kosovo. La violenza contro anziani ritornanti serbi, tuttavia, negli ultimi mesi  è in aumento.

La maggioranza dei serbi del Kosovo continua ad essere sul libro paga di Belgrado, attraverso la partecipazione alle istituzioni sponsorizzate dalla Serbia su entrambe le sponde dell’Ibar. A sud, tuttavia, alcune piccole aree serbe sono ufficialmente e di fatto politicamente controllate da Pristina, con alcuni serbi fedeli al governo del Kosovo che spesso criticano le azioni dei serbi del nord.

I serbi del nord sono ormai spesso negativamente ritratti come facinorosi fuorilegge, pericolosi per la pace e la prosperità del Kosovo. Questa immagine negativa nel pubblico occidentale si è fortemente intensificata negli ultimi mesi, dopo l’erezione di posti di blocco su tutte le strade da sud a nord per contrastare le azioni di Pristina. Per la prima volta in dodici anni, tale immagine negativa è sostenuta anche da voci vicine a Belgrado.

A differenza dei serbi di Belgrado, che spesso hanno definito i loro concittadini come “quella gente laggiù”, il primo ministro del Kosovo Thaci però ha esercitato un’attenta retorica politica, riferendosi ai serbi nel nord del Kosovo come ai “nostri cittadini”. In linea con tale retorica, molti internazionali in Kosovo e funzionari albanesi parlano ora di “un pugno di criminali che tiene in ostaggio la maggioranza di cittadini onesti”.

La Serbia rimane in nord Kosovo

Il desiderio dei serbi del nord di vivere “una vita decente, libera e tranquilla con più posti di lavoro e un’economia ben sviluppata” è stato spesso male interpretato da alcuni rappresentanti internazionali a Pristina come un desiderio di integrarsi nella nuova società del Kosovo. Sulla base di valutazioni di intelligence preparate da alcuni consulenti internazionali, si era così erroneamente previsto che il piano Rosu, l’anno scorso, sarebbe stato completato con successo, e seguito a breve dalla piena attuazione del piano Ahtisaari e della strategia per il nord del Kosovo, che prevedeva maggiori fondi internazionali per investire nell’economia del nord del Kosovo e nella società civile.

Da questo punto di vista, il governo del Kosovo e i suoi sostenitori internazionali non hanno di che gioire. Il piano Ahtisaari resterà non implementabile per anni. L’Ufficio civile internazionale, a cui è stato fino ad oggi negato platealmente l’accesso a nord, interromperà la sua missione al più presto. L’Eulex non ha mai osato lasciare la propria sede per pattugliare le strade del nord. I serbi continuando ad usare le strade alternative dalla Serbia centrale per il trasporto di merci. A dispetto dei piani per il nord, ad oggi non sono previste nemmeno le elezioni, per ora c’è  solo la recente installazione di un controverso ufficio amministrativo del governo kosovaro. Mancano anche gli ambiziosi piani d’investimento per il nord, per ora si sono visti solo investimenti mordi-e-fuggi con molti dubbi circa la trasparenza dei flussi di cassa.

D’altro canto, le istituzioni serbe rimangono operative, con alcuni adattamenti per le circostanze createsi dopo il 1999, e la comunità locale rimane loro pienamente fedele. Nonostante gli sforzi di Pristina di cancellare i confini etnici tra serbi e albanesi dichiarandoli tutti kosovari e, contemporaneamente, instaurare un altro confine statale tra il nord del Kosovo e la Serbia, i serbi del Kosovo rimangono ancora lontani dall’adesione alla nuova società desiderata dal governo di Pristina. Questi sono i veri problemi nelle valigie di chi andrà a negoziare a Bruxelles.

Russia, Siberia. La mummia tatuata della Principessa Ukok

Scritto da: Edoardo Capuano
Fonte: http://notizie.antika.it/0012563_russia-siberia-la-mummia-tatuata-della-principessa-ukok/

 

Nelle alture dei monti Altai, in Siberia, non lontano dalla linea di confine tra Russia e Mongolia, alcuni ricercatori hanno ritrovato il corpo mummificato di una donna ricoperto di tatuaggi che secondo gli archeologi hanno un aspetto incredibilmente moderno.

La donna, apparentemente di circa venticinque anni di età, è stata sepolta qualcosa come 2.500 anni fa e ritrovata nel 1993. Molto probabilmente apparteneva alla tribù dei Pazyryk, un’etnia di nomadi che hanno abitato in quelle zone per secoli. Perfettamente conservata dalle temperature glaciali del permafrost, secondo gli scienziati il corpo si sarebbe mantenuto tanto bene da permettere di individuare sulla sua epidermide intricati tatuaggi di animali e di quelle che sembrerebbero essere delle divinità.

Natalia Polosmak, a capo dell’équipe di ricerca, ha dichiarato che in paragone ai tatuaggi trovati dagli archeologi in tutto il mondo, quelli ritrovati sulle mummie degli appartenenti alla tribù dei Pazyryk sono i più elaborati nonché i più belli, dimostrando quanto questa popolazione fosse avanzata nell’arte del tatuaggio.

La Principessa Ukok è stata seppellita in un remoto plateau insieme a sei cavalli, molto probabilmente le sue guide spirituali per il viaggio nell’oltretomba, e due uomini, con tutta rpobabilità dei guerrieri. Anche i corpi degli uomini riportano dei tatuaggi.

Secondo la Polosmak esistono esempi di tatuaggi ancora più antichi: ad esempio Oetzi, il famoso uomo dei ghiacci proveniente dal lontano 3.300 a.C. e ritrovato nelle Alpi italiane aveva delle piccole linee parallele sulle gambe e sulla parte inferiore della schiena, anche se queste non erano di certo delle decorazioni corporali così elaborate come quelle che vanta la principessa Ukok.

Sempre secondo quanto dichiara la Polosmak, la giovane donna ha un tatuaggio sulla spalla sinistra con la raffigurazione di un animale mitologico: una renna con il becco di un grifone e le corna di un capricorno. Sul suo polso è raffigurata una renna con corna molto elaborate. La stessa renna col becco di grifone appare anche nel corpo dell’uomo ritrovato più vicino alla principessa, che gli copriva la maggior parte della parte destra del corpo.

Con tutta probabilità i tatuaggi erano realizzati con tinte ricavate da piante bruciate, ricche di potassio. La pelle doveva poi essere stata perforata con un ago o con un altro tipo di oggetto appuntito, e strofinata con una miscela di fuliggine e grasso.

Nonostante la principessa Ukok abbia vissuto almeno 500 anni prima di Gesù, la Polosmak ha affermato che alcune cose non sono affatto cambiate, ad esempio la tendenza delle persone a rendersi sempre più interessanti e attraenti, in questo caso con i tatuaggi.

La mano della Principessa Ukok con tatuaggi sulle dita. È stata recuperata dal ghiaccio 19 anni fa ed è ora in mostra presso la Repubblica dell’Altai.

 

I tatuaggi di uno dei due guerrieri ritrovati nell’antico sepolcro di permafrost sul Plateau Ukok, a qualcosa come 2.500 metri sul livello del mare vicino alle frontiere della Russia con la Mongolia, la Cina e il Kazakhistan.

Le banche greche stanno scappando con i contanti in vista dell’uscita dall’euro

Scritto da: Debora Billi
Fonte:http://crisis.blogosfere.it/

La Grecia è sull’orlo dell’uscita dall’euro, e le banche scappano portando via tonnellate di contante. Intanto in Alaska…

Sembra una di quelle notizie catastrofiste, allarmiste, con scarso fondamento, che ispirano i commentatori ad invocare “Le fonti? Le fonti?”. Beh, la fonte stavolta è RaiNews24 che cita il New York Times. Ecco qua:

Le aziende americane si stanno preparando per quello che tempo fa era impensabile: al fatto che la Grecia possa essere presto costretta a lasciare l’eurozona. (…) Le filiali di Bank America e  Merrill Lynch stanno preparando piani per riempiere camion di contante da mandare fuori da confini della Grecia.

Heirner Leistein, della Boston Consulting Group di Colonia che, come altre societa’ di analisti, ha stimato che l’annuncio di un eventuale uscita dall’euro di Atene potrebbe avvenire di venerdì notte, quando i mercati globali sono chiusi.

Uh beh. Le banche scappano dalla Grecia portandosi via camion pieni di contante (si, quello che noi invece non possiamo usare perché è peccaminoso), e probabilmente lasciando sguarniti di contante gli sportelli greci e di conseguenza i cittadini del Paese. A cui toccherà un corralito, ovvero la limitazione dei prelievi: d’altronde voci di corridoio narrano che già quest’estate i cittadini greci riscontravano grosse difficoltà a prelevare contanti dai bancomat.  (foto:infophoto)

Insomma, malgrado i proclami dei leader europei, si stanno preparando tutti all’uscita della Grecia dall’euro e al ritorno alla dracma o quel che sarà. D’altronde, noi fessi preferiamo credere alle tranquillizzanti promesse, ma banche e imprese internazionali non sono così sprovvedute da aspettare e lasciarsi cogliere impreparate.

Intanto, sempre per la serie “notizie catastrofiche incredibili”, ne arriva un’altra dall’Alaska. La fonte è Bloomberg-Business Week, quindi non prendetevela con me. Il governatore dello Stato USA più a nord ha deciso di creare enormi capannoni per lo stoccaggio di cibo per la popolazione. Lo stoccaggio comincerà a dicembre, e l’obiettivo è avere alimenti di scorta per sfamare almeno 40 mila persone. Il motivo? Potrebbero accadere catastrofi quali terremoti o eruzioni vulcaniche, e l’Alaska si trova in una posizione fragile in quanto lontana dai rifornimenti.

Chissà come mai il governatore se ne è accorto solo ora. Eppure, la cartina geografica è la stessa da diverse migliaia di anni.