Il Forum Finanziario Asiatico

Fonte: www.asianfinancialforum.com
Traduzione per la patatina fritta : Anna Nicoletti

Il Forum Finanziario Asiatico (AFF) riunisce assieme, ogni mese di Gennaio, alcuni dei più influenti membri della finanzia e degli affari internazionali per discutere gli sviluppi e le tendenze dei dinamici mercati asiatici. Il quinto AFF, tenutosi a Gennaio 2012, ha attirato un numero record di 2016 partecipanti da 32 stati e regioni, convenuti per conoscere le ultime opportunità e sfide asiatiche da più di 70 leaders, noti a livello internazionale, nei settori del governo, della finanzia e dell’economia. Il prossimo appuntamento AFF si terrà il 14-15 gennaio 2013.

Il programma delle 2 giornate

AFF 2012 ha analizzato gli sviluppi, le tendenze, le opportunità e le sfide che l’Asia sta affrontando, coprendo una varietà di questioni finanziarie prevalenti:
– Nuovi equilibri del potere economico globale
– Riforma del sistema finanziario globale
– Iniziative di crescita sostenibili
– Opportunità economiche per il mercato della Cina
– Ricostruzione del Giappone post-terremoto
– Opportunità di investimento in ASEAN, Corea, Russia … e molto altro

AFF Flusso dell’offerte

Durante questa unica sessione  di presentazione dell’offerta , vengono organizzati incontri uno-a-uno  in modo da accompagnare la proposta di offerta al finanziamento . Nel 2012 sono stati organizzati più di 350 incontri che hanno coinvolto ideatori di progetti di investimento, investitori e fornitori di servizi professionali.

Le opinioni dei partecipanti

“Il modo in cui è stato organizzato è meraviglioso … è una grande occasione per imparare da ciò che sta accadendo in altre parti del mondo “.
UK Sinha, Presidente, Securities and Exchange Board of India.
“La varietà ed il calibro dei relatori ha assicurato un interscambio di elevata
qualità “.
Pauline Vamos, CEO, The Association of Superannuation Funds of Australia Limited

“Quello che mi ha impressionato maggiormente è stata  la grandezza della manifestazione ed il numero delle persone … …..alcuni contenuti sono  stati molto, molto utili. ”
Chandran Nair, Founder & CEO, Global Institute for Tomorrow.

“Penso sia molto importante che noi europei siamo giunti ​​a questo evento, perché tutti noi sappiamo che la crescita futura è qui in Asia. ”
Tilman Lueder, Tilman Lueder, Head of Unit Asset Management, Directorate General for Internal Market and Services, European Commission

Nicolas le balloté, ovvero l’intelligenza della storia. La umiliazione di Sarkozy riapre tutti i giochi .

Scritto da : Antonio De Martini
Fonte : http://corrieredellacollera.com/

La partita non è ancora chiusa, ma la lezione inflitta dai francesi al presidente uscente, produrrà ugualmente i suoi effetti chiunque sia il vincitore. Un popolo appartenente all’unione europea è finalmente stato interpellato direttamente – non con sondaggi – ed ha bocciato le scelte politiche che hanno caratterizzato l’ultimo tormentato periodo del vecchio continente: le scelte bellicose e gli impegni militari a rimorchio degli Stati Uniti nel mondo, il ruolo di ” brillante secondo” a rimorchio della Germania in Europa e la politica di colonialismo finanziario nei confronti dei partners europei meno avvertiti.
Gli Europei vogliono quel che questo blog predica da due anni: concentrarsi sul benessere dei cittadini e sulla la lotta alla disoccupazione all’interno, evitare l’uso delle armi verso i paesi mediterranei che sono ormai parte di noi.

Mario Monti, consulente ufficiale della prima ora di Sarkozy, non può non rendersi conto che la campana sta suonando anche per lui, come per la badessa dell’UE Angela Merkel.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a casi patologici di insicurezza personale che hanno preteso – come Berlusconi – di occupare entrambe le cariche apicali di governo e di partito, nella convinzione che , l’intera Europa avrebbe creduto al loro stesso autoinganno.

Altri europei vorranno certamente far sentire la loro voce – speriamo anche l’Italia- e far conoscere la loro volontà di non continuare a subire passivamente delle politiche monetarie deflazionistiche vantaggiose unicamente per un pugno di cinici speculatori incapaci di cogliere la realtà e preoccupati solo della propria immagine.
Anche in Italia, il direttore generale della Banca d’Italia Saccomanni, ha dato segni di squilibrio mentale affermando che le banche italiane sono disponibili a finanziare la crescita, ma non le ristrutturazioni che invece le imprese chiedono, giungendo a dire che ” non è vero che i banchieri sono malvagi” .
Le imprese devono ristrutturarsi perché sono loro che hanno assorbito il costo sociale che il governo ha saputo interpretare solo in termini di elemosine agli amici.
Vero non sono persone malvagie, sono avulsi dalla realtà e in pieno delirio .
Anche Hitler era un ecologo vegetariano e trattava amorevolmente il suo cane.
Le conseguenze?

Assistiamo a tre paradossi: la Francia assumerà il ruolo guida in Europa cui Sarkozy confusamente aspirava, ma per la politica economica e militare opposte a quella che voleva il presidente uscente.
Il secondo paradosso sarà che riducendo la stretta collaborazione militare NATO con l’America, ed acquisendo una politica economica e monetaria più simile a quella degli USA, i legami transatlantici diverranno più stretti, capillari e sinceri.
In tutta Europa, le ” direttive dell’ Unione Europea ” diventeranno meno cogenti e si terranno più in conto gli interessi nazionali, invece che quelli di alcuni burocrati senza patria, come li definì De Gaulle. La sconfitta del candidato dell’ UMP “gollista” , produrrà il trionfo delle idee di De Gaulle.

Da noi, Pier Ferdinando Casini ha deciso di cavalcare la tigre con un tempismo che ricorda quello di Occhetto alla caduta del muro di Berlino e Passera annunzia che ha trovato, nelle nostre tasche cento miliardi per la crescita.
Non è detto , per entrambi, che saranno loro a sfruttare la situazione, così come non fu Occhetto a mantenere la leadership.

Passamano: il negozio “free” dove non si paga

Scritto da: Roberta Ragni
Fonte: http://www.greenme.it

Un “negozio” davvero particolare dove non servono banconote, né monete per prendere ciò che ti serve. L’idea è di quelle colpiscono: si tratta di “Passamano“, il primo non-negozio basato sulla filosofia del recupero e del riutilizzo, dove cioè si “compra” senza pagare, perché gli oggetti non hanno prezzo. Anzi, qui si possono prendere e portare senza denaro in cambio.

Nato grazie a un gruppo di volontari che non ricevono compenso e che chiedono solo una libera offerta facoltativa per coprire le spese fisse del negozio, il Freeshop Passamano è stato inaugurato, per essere messo a disposizione della collettività, sabato scorso a Bolzano, precisamente in via Rovigo 22/C. Il progetto appartiene a una rete di iniziative che favoriscono il riuso dei beni e un approccio più cosciente con le risorse e lottano contro gli sprechi, la società dei consumi, l’usa e getta. Ma come funziona? Semplice: ci vai, cerchi tra gli scaffali quello che ti piace e lo prendi senza pagare niente. Potrai poi mettere a disposizione qualcosa di tuo che non utilizzi più o lasciare offerte volontarie per il pagamento delle spese della struttura.

“Ci sono cose che è più facile regalare che vendere – racconta Andrea Nesler al quotidiano locale Alto Adige- quando un oggetto ha un valore affettivo è difficile stabilirne il prezzo di vendita, si rischia di svalutarlo, e allora è meglio regalarlo. Così, un ex sciatore è venuto e ci ha consegnato tutta la sua attrezzatura sportiva, perché ha un problema alla schiena e non può più scendere in pista. È venuto e ci ha raccontato la sua storia”. Non solo scambio di oggetti, quindi, ma anche di socialità e amicizia.

“L’idea – spiega una delle promotrici, Gaia Palmisano, ad Alto Agide – nasce all’interno del movimento internazionale “Transition Town” fondato dall’inglese Rob Hopkins. L’obiettivo finale è quello di creare una dimensione partecipativa con metodi che lascino spazio alla creatività individuale”. Insomma, “Passamano” sembra un negozio ma, di fatto, “ne è l’antitesi –continua la promotrice-, nulla, infatti, vi viene venduto. Ognuno può entrare e prendere ciò che più gli è utile o che più gli piace. In cambio non viene richiesta nessuna forma di compenso. In questo modo usciamo completamente dalla logica del “do ut des” cercando di creare contemporaneamente un’alternativa al consumismo e allo spreco, ripristinando un senso di comunità”.

“Passamano” è anche un info-point su consumo consapevole, riciclo e riutilizzo, eco villaggi, transition town, decrescita felice, animalismo, cucina vegetariana e vegana, turismo responsabile, diritti umani, con una biblioteca e una sala riunioni da 30 posti a sedere per serate e incontri tematici. Ma soprattutto è un laboratorio condiviso con chiunque volesse dare il proprio contributo in termini di tempo, disponibilità e collaborazione. Perché i soldi non sono tutto.

Integrazione Controllata

Fonte: http://nwointelreport.blogspot.it/2009/10/blade-runner.html
Traduzione : http://freeskies.over-blog.com/

Favorire l’immigrazione clandestina contribuisce a destabilizzare un paese, privandolo dell’identità sua propria e generando confusione, incomunicabilità, frustrazione. Creare l’attesa immotivata per un mondo ‘multiculturale’ è assolutamente fuorviante: il legame sacro ed indissolubile che si crea tra l’uomo ed il suo territorio, contribuisce alle sue potenzialità di conoscenza e difesa personale e collettiva. Rescindere questo legame comporta debolezza e depressione e quindi possibilità di venire manipolati più facilmente.

La propaganda globalista invita ai viaggi facili e senza senso in località remote e favorisce lo scambio di esperienze ad un livello programmato, banalizzato e legato al mero scambio di denaro. L’integrazione è una chimera irraggiungibile, basta osservare come le comunità ospiti si danno da fare per ripristinare le loro usanze ed i loro costumi non appena possibile, infischiandosene di quelle locali. Un esercito di uomini senza patria è un bacino di mercenari pronti a tutto per pochi spiccioli.
Favorire l’immigrazione è uno dei punti di un’agenda che vuole l’umanità divisa ed incapace di comunicare ad un livello profondo. La globalizzazione è fondamentalmente questo: consentire agli sfruttatori del genere umano di utilizzare risorse umane indifferentemente e liberamente, contando sulla loro debolezza intrinseca e sul ricatto alimentare. Abbiamo ben compreso come non siano mai esistite ‘esigenze del mercato libero’ in quanto il mercato non è mai stato libero ma monopolio di un gruppo di personaggi in grado di fissare i prezzi delle materie prime e della manodopera a livello mondiale.
Una umanità divisa dai conflitti e dalle inevitabili incomprensioni, conseguenze ovvie di un’immigrazione frutto di un piano prestabilito: ecco l’obiettivo dei globalisti. Non ho mai creduto che i flussi di uomini siano incontrollabili così come non ho mai creduto alla naturalità delle ‘rivoluzioni colorate’ ed alle stantie ‘primavere arabe’. Le genti confuse in una massa indistinta divengono cera molle nelle mani di scultori abili, soprattutto nell’arte della dissimulazione.
L’Italia si adegua senza difficoltà e segue i dettami dei dittatori sovranazionali senza accorgersi dell’irreversibile danno prodotto da queste politiche, spacciate per auspicabili ed inevitabili. Non sono invece né desiderabili né inevitabili né per gli ospiti né per gli ospitanti. Chi vorrebbe essere costretto ad abbandonare il proprio paese? Notate come è la stessa necessità che spinge i ‘cervelli’ a lasciare questa gabbia di matti depressiva che è il nostro bel paese, abbandonato nelle mani dei peggiori e dei meno meritevoli. Un paese dalle potenzialità infinite viene lasciato languire in un cantuccio in preda ad avvoltoi sanguinari ed indifferenti. Mi chiedo: sono i popoli meno domabili l’obiettivo di questa gente?

Eccezionale scoperta.: l’uomo pescava in alto mare già 42 mila anni fa !

Fonte: http://mysterium.blogosfere.it/

I reperti recuperati nei mari della Costa Australiana dimostrano che già 42 mila anni fa gli uomini erano in grado di pescare in profondità specie come i tonni, con tecniche evidentemente molto sofisticate.

L’essere umano pratica la pesca di profondita’ da oltre 42mila anni: a rivelarlo e’ un nuovo studio dell’Australian National University.

I primi ritrovamenti fanno infatti risalire la pesca di profondita’, considerata un primo segno delle capacita’ marittime avanzate nell’evoluzione della nostra specie, a circa 12mila anni fa.

Ora, esemplari di primitivi attrezzi ritrovati sulla costa settentrionale dell’Australia portano indietro quest’eta’ di 30mila anni. “Abbiamo recuperato oltre 10mila pezzi di ossa, pietra e conchiglie da strati di sedimenti in una zona dove sono sbarcati i colonizzatori dall’Asia”, ha raccontato al Discover Magazine Sue O’Connor, ricercatrice a capo del team di archeologi.



Ce la darà Grillo l’America!

Scritto da : Stefano Moracchi
Fonte:
http://attuazionista.blogspot.it/

Tutta basata sulla “logica del consumatore”, la “politica” di Grillo è la diretta espressione del “mascheramento” della “questione economica” e, proprio per questo, egli rappresenta il migliore alleato, in questa fase, degli interessi d’oltreoceano che hanno portato il “tecnico” Monti alla guida del governo.

Di comiche distrazioni politiche, che hanno favorito le varie transizioni alla sottomissione, ne abbiamo avute diverse, come quella del pupazzetto Benigni, assoldato dalla presidenza della repubblica per raccontare al “popolo italiano” la favoletta dell’Unità d’Italia. Solo un comico può seriamente assolvere il compito di stravolgere l’ordine dei fattori determinanti. Immaginate se, davanti a milioni di italiani, il comico Benigni avesse detto che l’unità d’Italia fosse nata attraverso un debito pubblico di milioni di lire di quell’epoca grazie a un prestito capestro concesso dai banchieri Rothschild e Hambro al fantoccio Cavour.
Se è triste rimpiangere un uomo come Craxi, è veramente tragico, un giorno, dover rimpiangere una nullità come il Trota. Allora, veramente, si avrà la consapevolezza del degrado politico, culturale e sociale raggiunto.
Persistendo nel mettere l’accento sulle ruberie, i privilegi e le manovre economiche, lasciando scoperto il fronte della comprensione politica che guida le dinamiche economiche, come ci si può aspettare qualcosa di diverso da un Grillo?
Che poi, Grillo stesso rappresenti l’utile idiota della transizione, questa è cosa di poco conto rispetto all’economia politica del discorso generale.
Quello che conta, è che non si vuole, e deve, mettere in luce il persistere del mascheramento, dell’occultamento di quella che è la vera posta in gioco: la completa disfatta di tutta la struttura organizzativa di quello che resta di questo Stato.
Il cambio dei rapporti sociali di produzione non avviene semplicemente sulle resistenze passive, ma soprattutto attraverso quelle attive giocate sulle mediazioni determinanti, interpretando le facili connessioni tra causa ed effetto dove, chi tira le fila, è completamente invisibile all’interno del marasma.
Assumere la veste del rappresentante dei consumatori facilita la distruzione delle mediazioni gestite dagli utili idioti di turno e allo stesso tempo favorisce il cambio dei rapporti sociali tutto a favore degli interessi del paese dominante in quanto, mettere in sintonia il consumatore con il produttore, è lo scopo principale di qualsiasi sottomissione democratica.
Nel concetto di consumatore c’è già tutto il progetto criminale in corso. Si annullano, apparentemente, i rapporti sociali determinanti e non si capisce verso chi, il consumatore, dovrebbe consumare la sua esperienza di vita.
Chiaramente, il personaggio Grillo è utile come esempio per dimostrare il pericolo che si corre nel mettere in primo piano il fattore economico rispetto a quello politico.
Il cambio di una criminale politica economica lo si ottiene attraverso il cambio di chi detiene il controllo dei mezzi di produzione. Difendere il presunto consumatore, addirittura consegnandolo totalmente a coloro che detengono criminalmente il controllo della produzione, è proprio nell’interesse di coloro che hanno consegnato il paese a Monti.
Quando ci si accorgerà che, tutto ciò che è nell’interesse dei criminali apparentemente coincide con l’indignazione generale e, soprattutto, popolare, solo una minoranza organizzata per interessi particolari sarà in grado di consumare quello che una maggioranza divisa e inconsapevole produce, senza peraltro essere in grado di consumare un bel nulla.
Un paese libero è composto da produttori. Un paese sottomesso non può che avere consumatori.

Argentina. In atto la nazionalizzazione di industrie petrolifere

Fonte: http://www.agenziastampaitalia.it/

(ASI) E’ di queste ore la notizia secondo cui l’Argentina, che ha già deciso ufficialmente di nazionalizzare la compagnia energetica spagnola YPF, avrebbe posto le sue mire su un’altra azienda dell’iberica Repsol: la YPF Gas.

Durante un discorso ufficiale, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, aveva annunciato l’espropriazione e la nazionalizzazione definitiva dell’azienda “Yacimientos Petroliferos Fiscales”, meglio nota come YPF, la cui contrastata e discussa gestione apparteneva alla iberica Repsol, di proprietà del governo spagnolo e gestita da una holding europea finanziata dalla BCE attraverso la compartecipazione di Banco Santander, Banco de Bilbao, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano, Societe Generale, Credit Agricole, Eni, Deutsche Bank. La decisione gode del sostegno di tutti i partiti eletti, si parla dell’88% dei consensi dei deputati.

Julio de Vido, ministro della Pianificazione sociale e dello sviluppo economico ha dichiarato: “per cinquecento anni gli europei, prima con i conquistadores, poi con le banche italiane, poi con l’esercito inglese e infine con la finanza speculativa gestita dalla BCE e da Wall Street, hanno rubato al popolo argentino le risorse naturali di oro, argento, petrolio, zucchero, limoni, acqua, soia, pellame, per costruire la propria ricchezza spropositata con un’ottica schiavista e miope, tant’è vero che l’Europa sta affondando schiacciata in una crisi che non ha sbocchi. E’ arrivato il momento che le nazioni si riapproprino della sovranità nazionale dando al popolo la proprietà di ciò che è loro: i prodotti del territorio nazionale. Lo Stato si fa garante e gestisce le risorse come bene comune da condividere per avere i soldi e lanciare un piano di grandi massicci investimenti per la costruzione di lavoro, occupazione e ripresa”.

Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico la stampa argentina rivolge le proprie attenzioni anche sul nostro Paese, precisamente sulla decisione del premier Monti di disertare la riunione internazionale del Fondo Monetario. In Argentina (e in tutto il Sudamerica) la notizia è stata abbondantemente commentata come una manifestazione di debolezza e vigliaccheria dell’Italia come nazione.

“Hanno paura di presentarsi a un dibattito internazionale. Sanno di essere esposti. E’ iniziata la rivolta degli schiavi. E’ la fine di un’epoca. Monti e i suoi amici possono esibire soltanto e unicamente le impietose cifre di un colossale fallimento economico, politico, culturale che sta mettendo in ginocchio il Mediterraneo uccidendone la grande civiltà. Ma soprattutto esistenziale. In Europa si suicidano. Da noi si va a ballare il tango esaltati dal senso ritrovato di una identità nazionale”. Così si legge nell’editoriale di Pagina ½, la più radicale pubblicazione argentina che per lunghi anni è stata la fiera opposizione intellettuale contro la Kirchner ma che ha cominciato ad appoggiarla da un anno a questa parte, da quando la presidente ha scelto e deciso di andare da sola all’attacco del Fondo Monetario Internazionale e della BCE.

L’India da ieri può colpire Pechino con missili nucleari

Scritto da : G. Tuscin
Fonte: http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1568

 

L’India mercoledì 18 aprile ha realizzato con successo la prova di lancio di un missile in grado di portare una testata nucleare a quasi 5.000 km di distanza.
Grazie al missile Agni 5 (Agni significa “fuoco”) l’India si colloca da ieri in un ristretto gruppo di potenze (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna ed Israele) che dispongono di una capacità nucleare a lungo raggio: “l’India è ora nel club di élite delle nazioni”, ha commentato il ministro della difesa indiano, A.K. Antony.
In questo modo, tuttavia, gli osservatori specializzati rilevano che si dà un forte impulso alla già notevole crescita degli armamenti in tutta l’Asia, principalmente legata all’aumento senza precedenti della spesa militare cinese ed al progressivo rafforzamento del dispositivo militare statunitense, anche grazie al consolidamento della collaborazione militare con l’Australia.
Ancora più pericoloso il fatto che in tal modo si va delineando una diretta contrapposizione fra un asse cino-pakistano ed un possibile asse indo-statunitense.
La cosa più sorprendente è che, proprio mentre i media stigmatizzano i rischi di un’atomica iraniana di là da venire e di quella nord-coreana il cui ultimo esperimento è stato un macroscopico flop, nessuno sembra turbato dal fatto che un paese dalle dimensioni e dalla rilevanza geopolitica come l’India sia ora in grado di colpire Pechino e Shangai con testate nucleari, ovvero, a occidente, Teheran e parte dell’Europa orientale…
La Cina dispone ad oggi di vettori missilistici nucleari in grado di superare i 10.000 km mentre il Pakistan si accontenta di oltrepassare i 1.000.
Il programma missilistico indiano è in atto dal 1983 ed ha raggiunto una tappa fondamentale, dal momento che, commenta Poornima Subramaniam, analista dell’autorevole Jane’s Defense, “Agni 5 avvicina tecnologicamente l’India al livello della Cina, mentre l’equilibrio strategico fra i due rivali è ancora a favore della Cina”.

Velociraptor (“Predatore veloce”)

Fonte: http://www.deakids.it/landing/dinosauri_dalla_a_alla_z_velociraptor.php

Il Velociraptor, vissuto nel Cretaceo, 90 milioni di anni fa, fu probabilmente il più terribile e sanguinario predatore mai apparso sulla Terra.

Si trattava di un animale di piccola stazza, lungo appena due metri, per un peso di circa 50 chili. Nel cranio, provvisto di potenti muscoli masticatori, si apriva la bocca armata di oltre 70 denti robusti e uncinati, con i quali strappava e trinciava la carne delle sue vittime. Le orbite erano grandi e altrettanto sviluppato era lo spazio destinato al cervello, il che fa pensare a un predatore intelligente, dalla vista acuta, sensibile a molti stimoli e capace di reazioni fulminee.

Il collo, snello e curvo, doveva essere piuttosto mobile, mentre la colonna vertebrale era rigida e robusta, e consentiva all’animale di correre sulle zampe posteriori con il corpo parallelo al terreno. Gli arti anteriori terminavano con tre dita artigliate, ma avevano principalmente la funzione di trattenere le prede; la vera arma letale era il grosso artiglio posto sul secondo dito di ogni piede.

Questo era tenuto sollevato da terra in posizione di riposo fino al momento dell’attacco, quando veniva calato dall’alto verso il basso sul corpo della vittima, dilaniandone le membra.

È probabile che il Velociraptor si riunisse in gruppi di più individui, di modo che con un attacco combinato potevano avere ragione anche di erbivori molto più grossi di loro.

Dalla Libia al Corno d’Africa – scontro fra USA e Cina per il continente africano

Scritto da: Nabil Naili as-Safir   Tradotto da: Roberto Iannuzzi
Fonte:
http://www.medarabnews.com

Sebbene apparentemente assuma la forma del coordinamento di sicurezza con il pretesto della “lotta al terrorismo”, in realtà la penetrazione americana in Africa va ben al di là di ciò, consistendo in una strategia imperiale che ambisce al controllo delle risorse naturali e delle aree di importanza geostrategica – scrive l’analista Nabil Naili***

“Ho autorizzato il dispiegamento di un piccolo numero di forze americane in assetto da combattimento in Africa centrale, per fornire assistenza alle forze regionali che cercano di eliminare Joseph Kony dal campo di battaglia…ritengo che il dispiegamento di queste forze armate USA rafforzi la sicurezza nazionale americana, garantisca i nostri interessi strategici, e vada a sostegno della nostra politica estera”. Questo è un estratto del messaggio inviato da Obama al Congresso USA.

Lo scorso 14 ottobre il presidente americano di origini africane Barak Obama – premio Nobel per la “pace” – ha annunciato la sua intenzione di inviare 100 soldati americani “in assetto da combattimento” in Uganda. Questa decisione rientra nel quadro del piano annunciato nel 2009 e finalizzato a “disarmare” la milizia dell’Esercito del Signore (Lord’s Resistence Army – LRA), perlomeno nella sua forma ufficiale. Per giustificare questa mossa controversa e ribadire il suo fermo intento di non trascinare in ulteriori missioni le forze americane attualmente impantanate nel “cimitero degli imperi”, l’Afghanistan, o prossime a “ritirarsi” dall’Iraq semplicemente per ridispiegarsi in Kuwait, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, o in altri teatri per diversi scopi, Obama ha dichiarato di far ciò solo per “supportare le forze regionali che sono alle calcagna di Joseph Kony e di altri importanti leader ribelli dell’LRA coinvolti in omicidi, stupri e sequestri di migliaia di persone nei paesi dell’Africa”. Egli ha sostenuto che “le forze americane, sebbene siano forze combattenti, si limiteranno a fornire informazioni, consulenza e assistenza alle forze dei paesi interessati, senza prendere parte ai combattimenti con l’LRA, a meno che non sia strettamente necessario o dovuto a ragioni di autodifesa”. L’amministrazione americana intende anche inviare nei prossimi mesi forze combattenti nel Sud Sudan, nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo, “previo consenso da parte dei paesi ospitanti interessati” – come se questi paesi fossero in grado di prendere decisioni sovrane, osando rifiutare l’offerta americana, o anche soltanto metterla in discussione.

Nel frattempo la risoluzione 2016 del Consiglio di Sicurezza ha sancito la fine dell’operazione “Unified Protector” in Libia – sebbene alcuni leader del Consiglio nazionale transitorio libico avessero implorato il prolungamento della missione almeno fino alla fine dell’anno. Tuttavia, malgrado l’affermazione del segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen secondo cui “la nostra missione militare si è conclusa…abbiamo adempiuto allo storico mandato delle Nazioni Unite di proteggere il popolo libico” (egli ha anche aggiunto che la missione “Unified Protector” è una delle operazioni di maggior successo nella storia dell’Alleanza atlantica”), a poco a poco stanno emergendo le dimensioni dell’attacco americano al continente africano finalizzato a mettere le mani sulle sue risorse, ad assicurare a Washington il pieno controllo delle fonti energetiche, ed a togliere di mezzo il gigante cinese.

Sebbene gli analisti della stampa americana si siano spinti a definire la decisione del presidente Obama “molto strana”, “sconcertante” e “singolare”, chi conosce i metodi della politica estera americana a partire dal 1945 non giunge affatto ad utilizzare le stesse definizioni. Si consideri l’esempio del Vietnam. Quando la priorità divenne quella di contenere l’influenza cinese e “proteggere” l’Indonesia, che il presidente Nixon definiva come “il più ricco serbatoio di risorse naturali della regione”, il Vietnam pagò con tre milioni di vittime e con la distruzione e l’inquinamento dei propri territori per far sì che gli Stati Uniti realizzassero i propri obiettivi strategici. L’invasione americana di altri paesi non ha fatto eccezione a questa regola, né ha fatto a meno degli stessi pretesti dell’ “autodifesa” o dell’ “intervento umanitario”, continuando a far scorrere fiumi di sangue dall’America Latina all’Afghanistan, passando per l’Iraq e poi per la Libia – perfino dopo che simili asserzioni erano state smascherate, e simili giustificazioni svuotate di ogni contenuto.

Dice Obama: la “missione umanitaria delle nostre forze” consiste nel sostenere il governo ugandese affinché sconfigga le forze dell’LRA che hanno “massacrato, violentato e rapito decine di migliaia di uomini, donne e bambini nella Repubblica Centrafricana”. Queste atrocità compiute dall’LRA non sono meno feroci di quelle compiute dagli stessi Stati Uniti laddove hanno operato le loro forze – come il bagno di sangue seguito all’assassinio del rivoluzionario Patrice Lumumba, orchestrato dalla CIA, o il golpe organizzato che portò al potere il tiranno Mobutu Sese Seko.

L’ipocrisia del presidente americano tocca però nuovi picchi quando si ostina a volerci convincere che “il dispiegamento di queste forze armate americane” rafforzerà “la sicurezza nazionale e la politica estera americana, e costituirà un grande contributo per contrastare l’LRA”. Questa milizia infatti ha continuato a perpetrare crimini vergognosi per 24 anni senza che gli Stati Uniti battessero ciglio. Oggi che il numero dei suoi combattenti è talmente diminuito da non superare i 400 uomini, l’LRA è improvvisamente divenuto un pericolo che toglie il sonno a Obama, e una minaccia per la sicurezza dell’impero!

L’Africa, prima dell’ultimo intervento militare in Libia, era stata una “storia di successo” per la Cina. Laddove gli americani seminavano distruzione e dispiegavano i loro aerei da guerra, le loro navi e le loro basi militari, i cinesi, loro avversari nella corsa alle ricchezze naturali, e ansiosi di soddisfare la loro bramosia di fonti energetiche, costruivano dighe, ponti e infrastrutture.

La Libia era tra le maggiori fonti di approvvigionamento petrolifero della Cina. Nel momento in cui la NATO ha deciso di iniziare le operazioni militari in Libia all’insegna dell’ “intervento umanitario” per proteggere i civili, la Cina è stata costretta ad evacuare oltre 30.000 operai, esperti ed ingegneri dal paese, ed il loro posto sarà preso da coloro che controlleranno le ricchezze e le risorse libiche e che si spartiranno la torta del “saccheggio programmato” della ricostruzione. Ma la cosa ancora più importante è che la NATO ha iniziato a strangolare il drago cinese e a stroncare sul nascere il suo tentativo di penetrazione in Africa.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti continua a cercare un paese che accolga la sede dell’AFRICOM, il comando militare americano per l’Africa, in sostituzione della città tedesca di Stoccarda. Dopo aver creato pretesti sufficienti per estendere i focolai di conflitto e le guerre a bassa intensità, dalla Somalia a Gibuti, dall’Uganda al Sud Sudan e al Niger, per finire con la Libia “liberata”, Washington riuscirà a imporre la sede dell’AFRICOM dovunque vorrà, per amore o per forza.

Sebbene gli Stati Uniti abbiano sostenuto che la creazione dell’AFRICOM rientri nel quadro degli sforzi americani per “portare la pace e la sicurezza ai popoli dell’Africa e promuovere gli obiettivi condivisi legati allo sviluppo, alla sanità, all’istruzione, alla democrazia ed alla crescita economica”, come ci aveva informato il presidente Bush nel giorno dell’annuncio ufficiale della nascita di questo comando, i veri obiettivi – che si nascondono dietro il linguaggio diplomatico americano, si celano dietro il “ruolo messianico” americano della diffusione della civiltà e del sostegno ai popoli, e prendono a pretesto ragioni di sicurezza e lo spauracchio del “terrorismo”, dell’ “estremismo” e della “pirateria” – in realtà sono la protezione dei molteplici interessi vitali e geostrategici dell’impero: da quello di assicurarsi le importazioni petrolifere a quello di controllare le fonti energetiche, di mettere le mani sugli stretti marittimi di importanza strategica, e di opporsi con ogni mezzo a qualunque potenza internazionale che aspiri a competere con Washington o a minacciarne l’egemonia. Non c’è dunque da stupirsi che per questo comando siano stati stanziati bilanci sempre più importanti, che sono balzati dai 50 milioni di dollari del 2007 ai 57,5 del 2008, per raggiungere i 310 milioni nel 2009.

Michael T. Klare, autore dell’importante studio “Resource Wars: The New Landscape of Global Conflict”, continua a lanciare l’allarme sulla penetrazione americana in Africa, la quale secondo Klare innescherà nuove  guerre. Sebbene apparentemente assuma la forma del coordinamento e della cooperazione di sicurezza con il pretesto della “lotta al terrorismo”, in realtà tale penetrazione va ben al di là di ciò, consistendo in una strategia imperiale che ambisce al controllo delle risorse naturali, degli accessi fluviali e delle aree di importanza geostrategica.

Allorché il petrolio africano diviene “un interesse strategico nazionale per l’America”, come ha dichiarato il vicesegretario di Stato per gli affari africani Walter Kansteiner, e allorché si scopre che gli USA “ricaveranno un quarto delle loro importazioni petrolifere dall’Africa”, come ha rivelato il rapporto Global Trends 2025, diviene chiaro il senso dell’affermazione di Gene Kretz, l’ebbro ambasciatore americano dopo che Tripoli era stata posta sotto la tutela della NATO: “Sappiamo che il petrolio è il fiore all’occhiello delle risorse naturali libiche!”.

Nabil Naili è un ricercatore presso l’Università di Parigi; ha concentrato i suoi studi sul pensiero strategico americano