Fiumicino, l’aeroporto delle nebbie/ Intervista al Dr. Antonio Del Greco, direttore della Polizia di Frontiera nella Quinta zona

Fonte:http://www.nottecriminale.i

27674a1e53a2525ac4673f4de7be2c05_MGli ultimi fatti inerenti la famosa “dama bianca”  è solo l’ultimo caso di traffico internazionale di stupefacenti  che tocca uno dei punti nevralgici del trasporto aereo nazionale: Fiumicino.

A Ottobre dello scorso anno, alla ricerca di risposte rispetto al caso, ancora attualissimo, di Ostia Connection, incontrai il Dott. Antonio Del Greco, direttore della Quinta Zona della Polizia di Frontiera. Davanti ai miei occhi un dirigente con un curriculum di tutto rispetto: dalla Squadra Mobile di Roma alla Dia ed ora alla guida di uno dei due organismi di controllo di Fiumicino ( il secondo è la Guardia di Finanza), indiscutibilmente uno dei punti sensibili per il narcotraffico internazionale e nazionale. Un luogo dove il “defcom” per la droga deve essere sempre ai massimi livelli. L’impressione? Un chiaroscuro che analizzeremo da vari punti di vista.

Quando si parla di Polaria, pochi sanno che in realtà è la Polizia di Frontiera. Ci spieghi le mansioni di questo primo filtro dei nostri confini.

La Polizia di Frontiera che opera negli aeroporti e nei porti è suddivisa in tre grossi settori:

Quello della Frontiera propriamente detta che si occupa dell’immigrazione, dei così detti flussi migratori, quello del controllo documenti etc. etc., quello della sicurezza che si occupa della sicurezza in volo e dei passeggeri e quella della giudiziaria. Quest’ultima si occupa dalle piccole denunce di smarrimento che vengono fatte all’interno di un porto o di un aeroporto fino a grosse indagini di attività criminali. Nello specifico l’introduzione di sostanze stupefacenti sul territorio nazionale.

Lei è a capo di questa sezione, su quali zone ha la responsabilità?

Io sono a capo della quinta zona della polizia di Frontiera marittima ed aerea ed ho la competenza sul territorio dell’Italia Centrale. Noi abbiamo il coordinamento dell’aeroporto di Perugia, di Fiumicino, di Ciampino,di Cagliari, Olbia e Alghero e i porti di Civitavecchia, Cagliari e Olbia.

Su quanti effettivi potete contare?

Il totale del personale è di circa 1.000 tra uomini e donne. A Fiumicino in questi anni,  pur essendo aumentata l’attività, non c’è stato un ricambio generazionale. Con la spending review  e di conseguenza con  la diminuzione dei concorsi, siamo passati dalle mille unità degli anni ’80 alle circa 800 di oggi.

Fiumicino è considerato uno degli hub europei per il traffico di stupefacenti. Un “bocchettone” che si riversa su Ostia e sulla Capitale.

 Nel corso delle varie attività investigative, svolte negli anni, abbiamo avuto il la certezza che l’aeroporto intercontinentale di Fiumicino sia uno dei passaggi obbligati per il traffico di stupefacenti. E non soltanto su Roma o Ostia.

Le dimostrerò attraverso una serie di attività svolte nel tempo che diverse operazioni hanno coinvolto  Squadre Mobili di diverse città. La droga che arriva in aeroporto non è necessaria solo al fabbisogno della capitale o del litorale ma è, ovviamente, necessaria all’approvvigionamento nazionale. Per cui sicuramente investe tutto il territorio dell’Italia Centrale. Probabilmente per il Nord, sarà Milano con Malpensa il punto d’arrivo.

Con quali città avete lavorato?

 Noi abbiamo lavorato con la squadra mobile di Roma, di Latina, di Perugia e di Firenze. Perseguiamo lo stesso obbiettivo.

Non penso lavoriate solo a supporto della Mobile

No, certamente. Abbiamo delle indagini che sono in collaborazione con delle Squadre Mobili nazionali e delle indagini di iniziativa. Questo dipende da dove nasce l’attività investigativa, se da una nostra attività indipendente o da segnalazioni di altri uffici di polizia.

Come l’operazione del furto dei bagagli che ha portato all’arresto di decine di persone

L’operazione legata al furto dei bagagli è partita da Lamezia Terme ma è stata gestita totalmente da noi in ambito aeroportuale. Diverso il caso per le operazioni legate agli stupefacenti che hanno bisogno di un supporto di organismi esterni come la squadra mobile o il reparto operativo dei carabinieri o la guardia di finanza tramite il Servizio Centrale Antidroga che controlla e coordina tutte le attività antidroga.

 


Addentriamoci nel campo del traffico di stupefacenti. Il famoso ovulatore è solo uno degli elementi della catena dei narcotrafficanti. Quali sono gli altri canali?

Quello degli ovulatori è sicuramente un fenomeno molto importante che ha rotte diverse rispetto a quelle tradizionali del narcotraffico e, nello specifico, della cocaina.

L’ovulatore difficilmente viene dal Sudamerica, preferisce le tratte nordafricane o centroafricane. In ogni caso sono percorsi in linea di massima diversi rispetto ai grandi traffici.

Il traffico di droga si ha attraverso l’occasionale che tenta la fortuna tramite l’importazione di stupefacenti ma è quello che viene più facilmente individuato ed arrestato anche dalle autorità locali del luogo di partenza.

L’ovulatore è il disperato che, cercando di risolvere i problemi si mette a disposizione di qualche organizzazione criminale. Questo viene molte volte individuato perché non sa esattamente dove è venuto e cosa è venuto a fare. Può capitare, a volte, che l’ovulatore ci venga addirittura segnalato. Noi, su determinate tratte, abbiamo del personale in borghese che confondiamo tra il pubblico che è in fila al controllo documenti. Interveniamo sulle persone particolarmente nervose, agitate. Quelle che se vedono una fila con un poliziotto che controlla accuratamente e lentamente i passeggeri cambiano fila. Diciamo che ci sono movimenti e situazioni che svelano il corriere.

Abbiamo il trasporto attraverso trolley, fenomeno riscontrato di recente. Anche qui si utilizza un personaggio di piccolo spessore che però porta 80/100 chili di cocaina alla volta.

Il trasporto su trolley mi ricorda il caso “Bove-Mostarda”, operazione che vi ha permesso di scoprire delle “mele marce” all’interno dei controlli.

In una delle ultime operazioni effettuate, un soggetto si è avvalso della collaborazione di personale aeroportuale e di alcuni elementi delle forze dell’ordine per consegnare, prima del controllo documenti della polizia di frontiera, un trolley carico di cocaina e farlo uscire dall’aeroporto.

Il bagaglio veniva fatto uscire o attraverso gli appartenenti alle forze dell’ordine implicati nel traffico o tramite un sistema che poi abbiamo scoperto attraverso delle telecamere montate nei bagni. I corrieri lasciavano il trolley in bagno, l’uomo addetto delle pulizie passava e lo metteva dentro il secchione, ovviamente mascherato, e passava i controlli con la “benevolenza” da parte di alcuni elementi delle forze dell’ordine addetti ai controlli.

  Avete trovato quindi l’infedele con la pistola fumante in mano

 Quando abbiamo arrestato Mostarda abbiamo trovato dentro la sua macchina un borsello in cui c’era verosimilmente il compenso per quell’operazione di “sdoganamento” di 80 chili di cocaina. Dentro quel borsello c’erano 80.000 euro.  Se si pensa che non è un personaggio di spicco nell’organizzazione e che veniva ricompensato con mille euro al chilo, si può comprendere la forza persuasiva che hanno a livello economico. In quella stessa inchiesta la DEA americana, che stava praticamente lavorando sullo stesso filone ha arrestato 11 persone tra funzionari e poliziotti messicani.

Questo era uno dei canali usati…

 Lavorando nella Squadra Mobile per anni ho capito che il canale di approvvigionamento non può essere unico. Se si inceppa il meccanismo di importazione il mercato romano non può rimanere senza la droga. Lo stupefacente è’ un po’ come il pane, deve essere sempre reperibile giornalmente.

Per cui sappiamo che se fermiamo uno o due canali del traffico, in ogni caso c’è un terzo o un quarto che sono attivi. La nostra attività è una rincorsa continua all’organizzazione di certi personaggi che disponendo di quantità enormi di denaro, ovviamente, hanno la possibilità di far cadere nelle loro “trappole” moltissime persone.

E i carichi più consistenti?

Quantitativi più grossi arriveranno, probabilmente, attraverso i container. Ma questo è un campo esclusivo della Guardia di Finanza e della Dogana che fanno operazioni di sequestro più consistenti. Il nostro compito non è tanto il recupero della droga ma smantellare l’organizzazione, cercare di togliere tutti gli “addentellati”.

Per questo la collaborazione con le varie sezioni della Squadra Mobile è fondamentale. Nell’operazione che descrivevo, dopo aver scoperto chi e come  lasciava passare la cocaina,  la competenza di scoprire il resto dell’organizzazione è loro.

Da quanto tempo operavano in questo modo?

Da quanto non è facile quantificarlo ma sicuramente non era la prima volta.

All’interno della Polaria o della polizia in genere vengono fatti controlli antidroga?

No, vengono fatti solo per determinate funzioni che hanno alcuni agenti. Di prassi vengono fatti all’inizio, quando c’è l’immissione nel ruolo. Poi su alcune categorie di agenti con mansioni specifiche, ad esempio per chi ha la Patente Ministeriale. In ogni caso non vengono mai finalizzati per controllare eventuali assuntori. Dove c’è il sospetto lo facciamo comunque.

Una bella operazione comunque quella di Mostarda, Bove e i tre finanzieri

Si, è stata importante ed è ancora in corso. Abbiamo fatto passare un po’ di tempo per essere più tranquilli. Anche perché quell’operazione ci ha portati lontano. Siamo usciti fuori dal Lazio e, in parte, è servito anche per l’operazione della Squadra Mobile di Roma nei confronti dei 51 arresti di luglio a Ostia (Operazione Nuova Alba). Questo perché le grosse importazioni vengono smistate tra le varie organizzazioni. Per esempio, se tra un anno la Squadra Mobile di Latina arresta 50 persone non è detto che quello non sia frutto di un filone che deriva da questa nostra inchiesta.

Arriviamo ora al caso degli ex agenti della Polaria e di quello che noi definiamo Ostia Connection. Lei che idea si è fatto?

Innanzitutto, l’idea che mi sono fatto è che le relazioni degli ex agenti che erano impegnati in quelle operazioni, sono molto interessanti. Da quelle relazioni si definisce in maniera chiara l’identikit degl’investigatori: conoscevano le organizzazioni, conoscevano il territorio e lo controllavano in modo molto preciso. Se vedevano un Triassi o un Fasciani arrivare al bar con una macchina inusuale prendevano il numero di targa e scoprivano che era intestata ad un incensurato mai attenzionato. Questi spunti sono notevoli, magari fossero sempre a disposizione degli investigatori notizie del genere. Perché il difficile di questo lavoro non è tanto identificare il criminale ma avere le prove che lo sia. Facile dire prendiamo Totò Riina, bisogna incastrarlo con delle prove prima.

Poi però arriva l’anonimo e quella lettera che innesca un meccanismo diabolico che li fermerà

 Si, l’anonimo è quello che fa scoppiare il caso. Ma dividerei l’attività di indagine da quella amministrativa, almeno secondo quella che è la mia impressione.

E’ strano innanzitutto, e questo non riesco a trovarlo negli atti, come mai questi agenti vengono aggregati alla Squadra Mobile. E’ una anomalia. In genere l’attività di collegamento con la Squadra Mobile non avviene aggregando il nostro personale. Anche quando loro lavorano con noi è un rapporto di osmosi che si crea, non è che un ufficio va a lavorare in un altro.

Loro fanno decine di segnalazioni e queste segnalazioni fanno si che vengano aggregati alla Squadra Mobile come se noi non avessimo un ufficio idoneo a svolgere questo genere di indagini, che facciamo normalmente.

Queste erano segnalazioni che finivano per dare sostegno ad indagini fuori dall’aeroporto e quindi noi sicuramente avevamo il dovere di dare il massimo supporto informativo a chi svolgeva le indagini all’esterno. Ma non aggregare gli uomini. Ed è questa anomalia che alla fine fa scoppiare il caso.

 

Quindi secondo lei la loro attività è stata ottimale e importante ma fuori dalle regole.

 Non ho detto fuori dalle regole, anzi. In perfetta regola, ma non corretta sotto l’aspetto amministrativo.

La loro attività, infatti, io la dividerei in due parti: quella giudiziaria che è validissima sotto il profilo investigativo. L’altra è quella amministrativa che ha dei buchi: il primo è il perché loro vengono aggregati alla Squadra Mobile. Il secondo, dipendente dal primo, è che il trattamento economico che  ne derivava, non  competeva loro perché, abitando sul territorio, non potevano essere in trasferta. Ossia vengono considerati in trasferta perché da Fiumicino vanno a lavorare alla Squadra Mobile di Roma ma loro, abitando nel circondario di Roma, non avrebbero avuto titolo. Loro guadagnavano 100 euro al giorno, una cifra sostanziosa che nel periodo di tempo interessato era arrivata intorno ai 50.000 euro ciascuno. Quindi penso che questo abbia generato anche un po’ di invidia nell’ambito del personale. E ritengo poi che quell’anonimo a cui si sono legati altri atteggiamenti sindacali sia riconducibile al nostro interno. Adesso abbiamo legato i due fatti ma io non vedo una connessione tra loro. A me non sembra che ci sia una volontà da parte di qualcuno a stopparli nelle indagini. E’ questo che non emerge dagli atti. Penso che, alla fine, chi viene punito più di tutti è il loro superiore da quello che leggo. Il funzionario che li aveva autorizzati perché ha commesso una irregolarità amministrativa e per questo segnalato disciplinarmente.

Questo però ha generato in loro l’idea di essere bloccati da qualcuno nell’indagine che stavano facendo.

Ma…

C’è però quell’aspetto amministrativo che è troppo evidente per essere sanato in maniera diversa da come è stato fatto. Mentre loro vedono questa contestazione amministrativa come un modo per bloccare le indagini, io personalmente non lo vedo.

Senza la loro spinta ovviamente l’inchiesta si è rallentata perché essi producevano una serie di relazioni giornaliere di primissimo valore ma l’aspetto amministrativo aveva troppe carenze.

Anche se questo non dipendeva da loro.

Quando sorge questa attività di controllo amministrativo, essi la percepiscono come un attacco da parte dell’amministrazione legato all’attività d’indagine che stavano svolgendo.

Vero è che questa attività di indagine amministrativa ha creato loro una serie di scompensi psico-fisici che ha portato a uno strano “prepensionamento” e a una denuncia di mobbing da parte loro

 Secondo quanto da loro presentato, l’amministrazione ha svolto opera di mobbing procurandogli le malattie che hanno impedito loro di continuare a svolgere il proprio lavoro. La stessa denuncia per mobbing, vorrei però sottolineare, era stata presentata due volte alla Procura di Civitavecchia, ma entrambe le volte è stata archiviata. Ribadisco, io leggo gli atti, nulla di più.

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