Quel brulicare di vita sul fondo della Fossa delle Marianne

Fonte: http://www.lescienze.it

In uno dei posti più inaccessibili del pianeta, undici chilometri di profondità e una pressione mille volte superiore a quella in superficie, c’è un’attività batterica inaspettata, dieci volte più ricca di quella dei fondali oceanici circostanti meno profondi. Questi batteri che vivono in condizioni estreme sono alimentati da un flusso di materia organica che si inabissa anche grazie ai frequenti terremoti della zona (red)

Nel suolo dei più profondi abissi marini della Terra prospera, inaspettato, un brulicante mondo di microrganismi. Lo ha scoperto una missione internazionale che ha inviato un sofisticato robot sul fondale del Challenger Deep, il punto più profondo della Fossa delle Marianne a circa 11.000 metri sotto il livello del mare. I risultati di questa nuova esplorazione in uno dei luoghi più inaccessibili della Terra sono descritti in un articolo pubblicato su “Nature Geosciences”.

A dispetto dell’enorme pressione che caratterizza l’ambiente – 1100 volte la pressione a livello del mare – i sedimenti della Fossa delle Marianne si sono dimostrati un vero e proprio hot spot di attività batterica, dove vivono circa dieci volte più batteri di quelli che si trovano nei sedimenti della pianura abissale circostante, a una profondità di 5000-6000 metri.

I microbi controllano la decomposizione della materia organica nei sedimenti marini. Questa decomposizione, a sua volta, contribuisce alla rigenerazione dei nutrienti presenti negli oceani e influenza in maniera significativa il ciclo del carbonio globale. In generale, i tassi di decomposizione dei microrganismi diminuiscono con la profondità. E proprio per questo i risultati ottenuti hanno suscitato notevole interesse.

Quel brulicare di vita sul fondo della Fossa delle Marianne
L’immersione del robot. (Cortesia Anni Glut)

Le analisi dei ricercatori si sono basate sulla misurazione della distribuzione di ossigeno nei sedimenti, che può essere collegata con l’attività di microrganismi. “Se si portano in superficie campioni del fondo marino per studiarli in laboratorio – spiega Ronnie Glud, dell’Università della Danimarca meridionale, autore dell’articolo – molti dei microrganismi che si sono adattati alla vita in quelle condizioni estreme moriranno, a causa delle variazioni di temperatura e pressione. Di conseguenza, abbiamo sviluppato strumenti che possono effettuare misurazioni di routine direttamente sul fondo del mare alla pressione estrema della Fossa delle Marianne.”

Alto quattro metri e con un peso complessivo di 600 chilogrammi, il robot, appositamente progettato è dotato di sensori ultrasottili che vengono inseriti delicatamente nel fondale marino per misurare la distribuzione di ossigeno con una risoluzione spaziale molto elevata.

Secondo i ricercatori, il prosperare dell’attività microbica nella fossa deve essere legato a un flusso insolitamente elevato di materia organica – animali morti, alghe e altri microbi – provenienti dall’ambiente circostante molto meno profondo, probabilmente anche grazie all’inabissamento di grandi quantità di materiale durante i terremoti, piuttosto frequenti nella zona.

Quel brulicare di vita sul fondo della Fossa delle Marianne
Il fondale di Challenger Deep. (Cortesia JAMSTEC)

Alla spedizione nella Fossa delle Marianne ha fatto seguito un’immersione del robot nella Fossa del Giappone, a circa 9000 metri di profondità, e ne è in programma a breve un’altra nella Fossa di Kermadec-Tonga (10.800 metri di profondità) vicino alle isole Fiji.

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