VENEZIA – MISTERO LAGUNARE

Scritto da: Alessandro Calvi
Fonte: http://www.area-online.it/magazine/venezia-mistero-lagunare/

venezia

Scrive Pedrag Matvejevic che coloro i quali «arrivano a Venezia dai vari centri dell’Europa vi incontrano l’Oriente. Per le popolazioni dei Balcani e del Vicino Oriente, invece, Venezia è al tempo stesso Europa e Occidente. Gli uni vedono in essa le origini di Bisanzio, gli altri la fine». L’inizio e la fine e ciò che si trova in mezzo. Tutto, insomma. O invece il suo opposto. E infatti un grande conoscitore di Venezia come Iosif Brodskij ha scritto che questa città «non ha un Nord né un Sud, non ha Est né Ovest; non ti indica una direzione, sempre e solo vie traverse. Ti circonda e ti avvolge come una massa di alghe marine sotto zero, e più ti agiti, più ti dibatti da una parte e dall’altra cercando di orientarti, più ti smarrisci». Dunque, il caos dopo l’ordine. Il fatto è che Venezia è multipla e inspiegabile, aperta ad essere letta su più livelli. E, mentre in laguna si apre la stagione delle grandi navi che vomitano crocieristi a getto continuo, ci si può affidare a certe guide un po’ speciali per scoprire queste altre Venezie. Hugo Pratt, ad esempio, e quel marinaio pseudo-anarchico, Corto Maltese, che è la sua proiezione di carta.

«Non ha un Nord né un Sud, non ha Est né Ovest; non ti indica una direzione, sempre e solo vie traverse»

«Ci sono diversi mondi esoterici in questa storia», spiegava Pratt, rispondendo a una domanda su Sirat Al Bunduqiyyah, la Favola di Venezia. Si riferiva, disse, al mondo «della massoneria, quello dei neoplatonici, quello della cabala. Tutte queste cose si ritrovano a Venezia, Venezia è una città esoterica ». Già, eppure in pochi oramai se accorgono. Sarà forse perché, come ha scritto Matvejevic: «la potenza l’egemonia e le conquiste, i tesori, i commerci e lo sfarzo hanno contribuito a creare un’immagine semplificata di Venezia. È più facile ravvisare i tratti esotici che le inclinazioni esoteriche. Pochi sanno degli occultisti, degli spiritisti, dei giocatori, dei grandi intriganti, biscazzieri, avventurieri, imbroglioni e speculatori, dei seguaci della magia nera e bian ca che pure popolarono la città sulla laguna». Per non dire dei cabalisti. Tra i conoscitori della Cabala c’è da annoverare Baldassarre Longhena, figlio di Melchisedech e sommo architetto, autore della basilica di Santa Maria della Salute, a due passi da Punta della Dogana, luogo di per sé spettacolare e dal quale si ha la sensazione di dominare l’intero bacino di San Marco, sino al mare. Ebbene, secondo gli studi dell’italianista e storico tedesco Gerhard Goebel-Schilling e dell’editore e libraio di Venezia Franco Filippi, nelle misure del Tempio ricorrono numeri riconducibili sia alla tradizione cattolica che alla Cabala ebraica. L’intento potrebbe essere stato quello di nascondere nella struttura della Basilica, eretta per ringraziare la Vergine per aver posto fine alla pestilenza del 1630, un messaggio ecumenico. Peraltro, proprio a due passi dalla Basilica c’è una fondamenta che si chiama Ca’ Balà.

In una calletta che si dirama da qui, per circa cinquant’anni visse Ezra Pound; e la circostanza non è priva di una coloritura ironica, se non, forse, sarcastica. Ma inseguendo Longhena si può intravvedere anche un pezzetto di un’altra Venezia, quella alchemica. Ci si deve trasferire a Cannaregio. Qui, sulla facciata laterale di Palazzo Lezze, sul campo de la Misericordia, si possono osservare alcuni bassorilievi discretamente incastonati tra i balconi del primo piano e che si ritiene siano ricchi di simboli alchemici. Poi, raggiunto lo splendido campo dell’Abbazia si comprende fino in fondo perché Venezia sia città d’acqua; quindi, allungando lo sguardo s’incontra il bordo settentrionale della città: la Sacca de la Misericordia che sembra aprirsi verso l’infinito e racconta una Venezia rarefatta e malinconica che si specchia in San Michele, l’isola-cimitero al di là dell’acqua, mentre sul lato terreno si avverte il palazzo detto Casino degli Spiriti, quasi a fare da vedetta, una sorta di bolla tra la Venezia dei vivi e quella dei morti. I rilievi alchemici, peraltro, ci ricordano che i muri di Venezia sono molto loquaci. A parlare sono soprattutto le pàtere, piccole sculture in bassorilievo, scalpellate da mani sapienti. «I rari cultori di questo genere di arte applicata – scrisse ancora Matvejevic – le chiamano anche sculture erratiche, per caratterizzare la loro natura vagabonda, dal destino randagio». Ve ne sono disseminate per Venezia di ogni tipo ed ogni forma e ciascuna racconta qualcosa: insegne, blasoni, piccole storie come fanno i graffiti incisi sugli stipiti dell’entrata della Scuola grande di San Marco, a San Zanipolo, che rappresentano alcune imbarcazioni e un uomo con un cuore in una mano. O, ancora, simboli dei quali a volte si è perso il senso, e figure che riemergono dall’arcano come le due raffigurazioni di homo selvaticus, uno in campo San Trovaso l’altra sulla facciata di palazzo Bembo- Boldù, a Santa Maria Nova. Infine, c’è la città massonica.

Si potrebbe dire dell’impressionante cenotafio di Antonio Canova, una piramide all’interno della chiesa dei Frari, ma è più interessante ancora la settecentesca Santa Maria Maddalena di Tommaso Temanza. Non può sfuggire, proprio nel timpano d’ingresso, il triangolo intrecciato con un cerchio formato da un serpente e con al centro un grande occhio; simboli che pur appartenendo alla cultura cristiana in questo caso sembrano alludere ad altro. E la sensazione si rafforza se soltanto si legge la scritta posta subito sotto: “Sapientia aedificavit sibi domum”. E se poi non bastasse l’intreccio di simbologie cristiano-massoniche, in quella scritta si può anche leggere un’eco dell’eresia gnostica. Conviene, infine, immergersi nelle Marzarie fino a giungere in piazza San Marco e lasciarsi guidare dai torpedoni umani che la infestano. Nulla di meglio, per tornare a coltivare la speranza che le cose di Venezia abbiano un significato univoco come sembra avere, qui a San Marco, tutto ciò che celebra la grandezza e la potenza della Serenissima e il suo splendore. Ma basta venire qui di notte, quando il Leone marciano torna padrone della sua piazza, e perdersi nella selva dei capitelli del Palazzo Ducale.

«Inafferrabile come la sua acqua natale, che sembra stagnare e invece non è mai ferma, attira senza posa il nostro cuore»

Ed è allora che, in quelle figure minute e parlanti, molte certezze cadranno. Venezia, come scriveva Diego Valeri, rimane «inafferrabile come la sua acqua natale, che sembra stagnare e invece non è mai ferma, mai la stessa, che attira senza posa i nostri occhi e il nostro cuore, quasi dovesse rivelarci il perché della vita, e intanto fugge via, furtiva, silenziosa, limpida e impenetrabile ». Eccolo, infine, il segreto rivelato: Venezia è la vita, con buona pace di coloro i quali, scriveva ancora Valeri, «confondendo la vita col moto materiale e col frastuono confuso delle moderne attività meccaniche, parlano, sgomenti e inorriditi, di una oziosa e morbosa e contagiosa tristezza di Venezia», e «si attaccano a Venezia appunto per codesta tristezza: non ne sentono e non ne amano che la bellezza guasta, la stanchezza febbrile, ossia quel senso e gusto della morte ch’essi portano e covano voluttuosamente dentro di sé». Si noti: «ch’essi covano». E invece Venezia, è ancora Valeri a dirlo, «è una città che sveglia nei ben vivi tutte le potenze vitali, impedendoli di acquietarsi nell’automatismo dei consueti sentimenti e pensieri, donando loro sempre nuovi motivi di stupore e di esaltazione». Lo ricorda infine, ed altrimenti, anche Fernand Braudel scrivendo dei suoi “incontri intimi” con Venezia: «Solo, finalmente, con me stesso».

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