Tutto tranne democrazia: i veri mandanti di Mario Monti

Fonte: Tutto tranne democrazia: i veri mandanti di Mario Montii/

Italia e Grecia al guinzaglio del vero potere: quello che ormai stabilisce il prezzo della residua democrazia lasciata agli Stati un tempo sovrani.

Comanda Wall Street, attraverso Fmi, Bce e Unione Europea: sono loro a “licenziare” Papandreou e Berlusconi, e a imporre le “riforme strutturali” che non toccano né i patrimoni, né le banche, né le rendite finanziarie, ma solo i popoli (salari, pensioni, welfare) e i beni comuni costruiti con l’impegno di generazioni: beni che ora saranno “privatizzati”, cioè tolti ai cittadini. Sotto la pressione micidiale dei controllori dei mercati finanziari, alla Grecia e all’Italia si dettano ultimatum, prendere o lasciare. Tesi: la politica non è in grado di affrontare scelte impopolari. Meglio che le gestisca un sovrano o un suo vassallo, come nel medioevo.

Fmi, Ue e Bce:  un accerchiamento totale, scrive Claudio Messora sul blog “Byoblu”, al quale il gioco della speculazione internazionale ci consegna senza possibilità di fuga. «Per il nostro stesso interesse – si dice – e per quello dei sottoscrittori del nostro debito, dobbiamo realizzare una serie di riforme. E poiché non siamo più credibili, forti pressioni costringono il governo in carica a rassegnare le sue dimissioni, nonché tutto un popolo a rinunciare alla propria autodeterminazione». Come in Grecia, appunto. «Il principio più incredibile che viene sostenuto senza il benché minimo stupore – continua Messora – sarebbe quello secondo cui la politica da sola non può realizzare misure impopolari, perché avrebbe il timore di giocarsi il consenso elettorale, per cui sarebbe imperativo affidare le riforme necessarie a un governo di larghe intese, oppure al cosiddetto governo tecnico, magari sotto la direzione di un podestà forestiero».

Il concetto è tragicamente chiaro: esistono riforme che “devono” essere realizzate a tutti i costi, al di là della volontà popolare. «In altre parole, si sostiene che se la classe politica non è in grado di farsene carico, perché i cittadini non le vogliono, allora deve farlo qualcun altro», espressione di una «oligarchia nascosta». Quando Papandreou ha provato a ventilare l’ipotesi di un referendum per consentire ai greci di esprimersi sulle misure di austerity, il sistema bancario internazionale ha reagito minacciando di non tagliare più il debito pubblico del 50%, e il premier ellenico è stato convocato al G20 che l’ha costretto a ritirare la proposta referendaria. Nella stessa seduta è stato messo sotto torchio lo stesso Berlusconi, irritato per il diktat della Bce e restio a obbedire agli ordini. Risultato: “licenziati” entrambi. E presto rimpiazzati da due ipotesi gemelle: governi “tecnici”, guidati da «uomini esterni al meccanismo del consenso popolare», cioè «due podestà forestieri: Mario Monti e Lucas Demetrios Papademos», entrambi “allevati” negli Usa.

Monti laureato alla Bocconi ma specializzatosi a Yale, Papademos laureato in Massachusetts e poi docente alla Columbia University insieme a Zbigniew Brzezinski, futuro stratega della Casa Bianca all’epoca della conversione dell’Iran da paese amico a nemico giurato. Monti diventa rettore della Bocconi e, dal 2005, “international advisor” per Goldman Sachs nonché presidente del think-thank Bruegel, finanziato da 16 Stati e 28 multinazionali con lo scopo di influire privatamente sulle politiche economiche comunitarie. Nel 2010 Barroso gli commissiona un “libro bianco” sul futuro del mercato unico. Nel frattempo, Papademos diviene un economista senior della Federal Reserve Bank di Boston e poi della Banca di Grecia, di cui assume la carica di governatore. Poi addirittura diventa vicepresidente della Bce: è proprio lui a traghettare Atene dalla dracma all’euro. «Curioso – annota Messora – che adesso sia indicato come la personalità più adatta a rimediare ai danni che, in qualche modo, ha contribuito a produrre».

Ed è qui che entra in gioco anche Brzezinski, che nel 1973 fu incaricato da David Rockfeller di avviare un nuovo gruppo di lavoro: la Commissione Trilaterale, super-laboratorio per il futuro del mondo a guida statunitense: un club riservatissimo, dove i super-potenti (come Papademos) possono discutere liberamente, «senza perdersi nelle lungaggini imposte dai parlamenti e dalle burocrazie diplomatiche». Un super-clan potentissimo, con tre cariche fondamentali in rappresentanza di Nord America, Giappone ed Europa, quest’ultima ricoperta proprio da Mario Monti. Già nel ’74 la Trilaterale denunciava «l’eccesso di democrazia» che a suo parere affliggeva il pianeta. Grecia e Italia, dunque, oggi potrebbero finire sotto il completo controllo di due uomini-chiave, in Europa, per il super-mondiale di organismi come la Goldman Sachs e la Trilaterale dei Rockfeller.

Tutti e due, Monti e Papademos, sono «in prima linea nella corsa a sostituirsi a due governi democraticamente eletti», e con un unico mandato: prendere decisioni dichiaratamente impopolari. «Ovvero, per definizione, contrarie alla volontà popolare», sottolinea Messora. «Come se questa emorragia di rappresentanza democratica non bastasse, un altro gruppo di lavoro sovranazionale fondato sulla segretezza delle proprie risoluzioni, il gruppo Bilderberg, nell’ultima esclusiva riunione tenutasi nel giugno di quest’anno a St. Moritz ha accolto tra i propri ospiti proprio Mario Monti e, tra gli altri, Giulio Tremonti», spina nel fianco della maggioranza berlusconiana e artefice della paralisi finale del governo, fino alla débacle parlamentare.

«Non c’è democrazia senza trasparenza, né può esservi in mancanza di un mandato popolare forte ed esplicito», scrive Messora. «Tutto può essere, tranne democrazia, la requisizione del nostro diritto di rappresentanza in nome di logiche che vengono assunte a porte chiuse, nelle sedi elettive dove si tutelano interessi privati, dove una ristretta èlite decide le sorti di interi popoli senza che a questi venga garantita una chiara percezione delle cose». Svanendo la sovranità popolare su cui peraltro si fonda la Costituzione antifascista del 1946, viene alla luce il vero potere del mondo, «un governo ombra che in termini di realpolitik è sempre esistito, ma che sta diventando dominante», che che ora si appresta a cancellare, uno alla volta, tutti i diritti del welfare grazie ai quali l’Italia ha costruito il suo benessere, la sua pace sociale, il suo progresso civile e democratico.

Centrale Solare Stirling a concentrazione da 1,5 MW

Scritto da: Giuseppe Tavella
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=327

Lo scorso dicembre mi trovavo a Peoria, a nord di Phoenix in Arizona, ed ho avuto modo di visitare una centrale a concentrazione solare che utilizza una tecnologia nota con il nome di Stirling. La centrale utilizza 60 inseguitori solari (denominati SunCatcher) in grado di generare una potenza di picco complessiva di 1,5 Mega Watt. Non è molta potenza per una centrale ma è già qualcosa considerando l’innovatività di questa tecnologia.

Ci sono arrivato partendo da Flagstaff di mattina e, a causa delle indicazioni stradali a dir poco confuse (tanto da dover più volte aggiustare la rotta), sono giunto a destinazione verso le 5 di pomeriggio, trovando una favolosa tiepida giornata invernale: la temperatura era di 22 gradi, e lì ho capito perchè l’Arizona è uno tra gli stati che si candidano ad ospitare i più grandi progetti di centrali solari negli USA. In Arizona, come in Nevada, California del sud, New Mexico e sud del Texas.. il sole non dorme praticamente mai.

Quello che ho trovato sono stati 60 giganti dischi solari, più di metà dei quali puntati verso il sole del tramonto. Con mia sorpresa ho notato come la centrale, in quel giorno, non producesse nessun rumore udibile, rumore che è sempre associato al funzionamento di questo tipo di centrali. In condizioni standard il rumore deriva dal funzionamento del motore stirling che si trova sulla cima del “ricevitore di calore”. (Per avere un’idea del rumore vedi il video qui sotto).

La tecnologia Stirling è poco conosciuta e pressochè una novità assoluta nelle applicazioni solari: utilizza un particolare motore che necessita per il suo funzionamento soltanto di calore – che in questo caso viene fornito dai raggi del sole – per poter funzionare. Il movimento del motore è poi collegato ad un sistema per la produzione di energia.

Nella fattispecie i dischi hanno una potenzialità ognuno di 25 kW e rappresentano una soluzione con efficienza di conversione superiore a qualsiasi altra tecnologia solare oggi disponibile commercialmente, mentre al contempo richiede un minor utilizzo d’acqua risposto ai tradizionali sistemi CSP (Centrali Solari a Concentrazione come ad esempio questo http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=140 ).

Ma come funziona in dettaglio?

I dischi da 25 kW elettrici sono progettati per inseguire automaticamente il sole e concentrare il raggi in una cosiddetta Unità di Conversione di Potenza (PCU) la quale genera elettricità. Il sistema consiste di un concentratore solare inserito in una struttura a disco che supporta un rete di specchi curvi (come si vede bene dalla prime foto).

La PCU converte l’energia termica concentrata su di essa in energia elettrica pronta per essere immessa in rete. Il processo di conversione che ha luogo all’interno della PCU è dato da un motore a 4 cilindri di tipo Stirling attraversato da idrogeno che funge da un fluido di servizio riciclato all’interno del motore stesso. Termodinamicamente questo motore funziona per mezzo di un ciclo a combustione esterna (cioè con riscaldamento fuori dalla camera di espansione) dove dell’idrogeno (oppure dell’elio), è compresso in una camera a bassa temperatura (cioè raffreddata), quindi trasferito in una camera di riscaldamento. Esso viene quindi fatto espandere in un cilindro con pistone e questa è la fase attiva. L’idrogeno espanso poi viene inviato di nuovo nella camera fredda dove viene compresso. L’idrogeno utilizzato in questo tipo di motore non è quindi il combustibile ma il fluido operante, mentre il combustibile è il calore del sole.

Questa centrale solare è collegata insieme alla centrale a gas (vedi le ultime foto) che alimenta la città. Ma la Tessera Solar ha anche in progetto alcuni fra i più grandi progetti del mondo: un impianto solare da 750 Mega Watt a Imperial Valley (CA), un impianto di 850 Mega Watt nel deserto del Mohave (CA) e un impianto di 50 Mega Watt in Texas.

Per maggiori informazioni sul funzionamento di questo motore Stirling: http://it.wikipedia.org/wiki/Motore_Stirling

Permacultura: lavorare CON la natura, non CONTRO di essa

Fonte: http://www.soloecologia.it/08112011/permacultura-lavorare-con-la-natura-non-contro-di-essa/

Il termine permacultura deriva dall’inglese permaculture, che a sua volta nato dalla fusione delle espressioni permanent agriculture e permanent culture. In italiano non si riesce a tradurlo con una parola sola, perciò qualcuno parla di permacoltura quando vuole sottolineare l’aspetto agricolo, ma è preferibile utilizzare la parola permacultura per porre l’accento sull’aspetto culturale e filosofico legato a questo tipo di pratica agricola.

Ma di cosa si tratta esattamente? La permacultura è la progettazione e la manutenzione di ecosistemi agricoli che possiedano la stessa diversità, stabilità e resistenza degli ecosistemi naturali. E’ l’armonica integrazione di paesaggio e persone in maniera che si possa provvedere a cibo, energia e insediamenti e altri bisogni in maniera sostenibile e non più antropocentrica – ovvero concentrata esclusivamente sui bisogni dell’uomo. Un concetto che, a ben guardare, è anche un prerequisito essenziale per la stabilità economica e sociale.

La filosofia che sta dietro la permacultura è il tentativo di osservare con attenzione la natura e i suoi meccanismi di evoluzione e di equilibrio per imitarli e integrarsi in essi quanto più possibile. Così facendo necessariamente si eviterà di concepire l’agricoltura come puro sfruttamento del suolo. Nella permacultura rientrano concetti importanti riassumibili in questi termini:
* Ripensamento e recupero dei terreni agricoli già esistenti;
* Riciclo e riutilizzo di ogni tipo di scarto e di energia (acqua piovana per l’irrigazione, uso del compost come fertilizzante e della pacciamatura per la protezione del terreno e delle piante, creazione di nuove foreste per mantenere pulita l’aria e aumentare la quantità di precipitazioni sul territorio ecc.);
* Totale opposizione a ulteriori disboscamenti delle foreste vergini ancora esistenti;
* Preferenza per le coltivazioni con una resa maggiore a parità di area di terreno utilizzata;
* Costituzione di zone protette per specie animali o vegetali rare o minacciate.

Esiste una rete di permaculturisti attivi praticamente in tutto il globo; specialisti che si sono formati mediante la frequentazione di corsi, seminari, libri, riviste, siti web e soprattutto con la loro sperimentazione personale.

Casa Bianca, gli Ufo non esistono

Fonte: ANSA

WASHINGTON, 7 NOV – Brutte notizie per gli appassionati di Ufo, extraterrestri, marziani, vari ed eventuali.

Dall’America arriva una smentita ufficiale che li deluderà: non si ha alcuna notizia di vita fuori dalla terra. A stabilirlo e’ niente meno che la Casa Bianca, o meglio Phil Larson, capo dell’Office of Science & Technology Policy dell’amministrazione Obama. Larson ha ‘postato’ online il suo verdetto, rispondendo a una petizione popolare di 5000 americani che hanno chiesto lumi sugli extraterrestri.

Israele gela il mondo: la guerra con l’Iran è vicinissima

Fonte: http://www.libreidee.org/2011/11/israele-gela-il-mondo-la-guerra-con-liran-e-vicinissima/

Tempo scaduto: tra poco parleranno le armi? Contro l’Iran, nel mirino per il suo programma nucleare, potrebbe scatenarsi la “madre di tutte le guerre”, aperta da un raid aereo e missilistico entro pochi mesi se l’Aiea denuncerà la preparazione di bombe atomiche. Esplicito il presidente israeliano, Shimon Peres: conto alla rovescia ormai imminente. E’ la conferma di un pericolo reale, denunciato con insistenza da analisti come il canadese Michel Chossudovsky: «La terza guerra mondiale non è mai stata così vicina». Liquidato Gheddafi e neutralizzato Assad, la Nato è padrona del Mediterraneo e il regime di Teheran appare isolato: mentre l’Unesco pensa di inserire la Palestina nel patrimonio dell’umanità, Israele testa nuovi missili e organizza war games in Sardegna. E anche gli inglesi tifano per la guerra, che Obama sperava di riuscire almeno a rinviare.

«Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla crisi finanziaria e dei debiti sovrani – scrive Simone Santini su “Clarissa” – una nuova voragine, forse ancor più drammatica, rischia di aprirsi nel breve periodo: una voragine che si chiama guerra». Sembra la conferma dell’allarme lanciato continuamente da osservatori come Giulietto Chiesa: «Siamo di fronte a un’epocale collasso finanziario del capitalismo basato su carte false, trilioni inesistenti e conti truccati, col debito statunitense che ha raggiunto livelli stratosferici: in questo caso, la guerra è la soluzione migliore per fare tabula rasa». Non una crisi regionale, ma una guerra planetaria innescata da conflitti in apparenza locali come quello libico: la conquista di Tripoli da parte della Nato, dopo la secessione africana del Sud Sudan, ha di fatto tagliato alla Cina i rifornimenti strategici (petrolio e gas) sui quali Pechino aveva investito moltissimo. E ora, l’Iran: molto più vicino ai confini cinesi, il paese degli ayatollah – partner fondamentale di Pechino – potrebbe diventare il detonatore di un conflitto planetario.

«La rottura della diga, il “game changer” – scrive ancora Santini – potrebbe avvenire la prossima settimana con la divulgazione di un rapporto dell’Agenzia atomica internazionale». Gestita fino al 2009 con grande equilibrio dall’egiziano Mohammed El Baradei, già contrario alla guerra in Iraq scatenata dalla menzogna ufficiale delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, secondo indiscrezioni l’Aiea si appresterebbe ora ad accusare l’Iran di procedere verso la costruzione della bomba atomica, anche se i ripetuti controlli e le numerose ispezioni hanno accertato che finora Teheran non ha violato il “trattato di non proliferazione”. Secondo il “Guardian”, l’Iran starebbe invece implementando nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio spostandole in istallazioni sotterranee e fortificate nei pressi della città di Qom. Per questo, secondo un alto funzionario governativo britannico, rimasto anonimo, «oltre i 12 mesi non potremmo essere sicuri che i nostri missili possano essere efficaci: la finestra si sta chiudendo, e il Regno Unito deve procedere con una pianificazione razionale».

Venti di guerra, verso un attacco annunciato che sembra ormai dietro l’angolo: «Gli Stati Uniti potrebbero farlo da soli, ma non lo faranno», dice ancora il funzionario londinese, «per cui abbiamo necessità di anticipare le loro richieste: ritenevamo di avere tempo almeno fino a dopo le elezioni americane del prossimo anno, ma ora non siamo più così sicuri». Le notizie che si rincorrono descrivono un clima internazionale di grave allarme, a partire ovviamente da Israele: Tel Aviv spinge perché l’attacco all’Iran sia scatenato entro la primavera 2012. Ne parla apertamente il maggior quotidiano israeliano, “Yedioth Ahronot”, che descrive il dibattito in corso tra “colombe” preoccupate dalle conseguenze del raid e “falchi” come il premier Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak, decisi a sferrare l’attacco contro il nemico strategico Ahmadinejad, che ha sempre dichiarato di voler cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente.

Anche il paese sembra diviso sulla possibilità di una guerra, dice ancora “Clarissa”: secondo il sondaggio pubblicato dal quotidiano “Haaretz”, quattro israeliani su dieci (il 41% del campione) sarebbero favorevoli al raid, mentre quasi altrettanti (il 39%) sarebbero contrari; in attesa di decifrare l’intenzione degli incerti, “Haaretz” sostiene che in ogni caso la maggioranza (il 52%) si fida della valutazione e delle decisioni che vorranno prendere Netanyahu e Barak. Intanto, Israele si prepara al peggio: il 3 novembre un’esercitazione ha mobilitato il paese per quattro ore, simulando una difesa contro attacchi missilistici dall’esterno. Le forze armate hanno testato con successo un nuovo missile balistico capace di raggiungere l’Iran, e l’aviazione israeliana ha appena condotto a termine un’imponente esercitazione nella base Nato di Decimomannu in Sardegna, con sei squadroni di cacciabombardieri impegnati a simulare azioni d’attacco su lunghe distanze con rifornimenti in volo.

Se fino a ieri le autorità israeliane parlavano di «esercitazioni di routine», denunciando la «fuga di notizie» innescata da due ex dirigenti Mossad, Meir Dagan e Yuval Diskin, a confermare l’allarme è lo stesso Peres, premio Nobel per la pace, che il 4 novembre ha dichiarato alla tv commerciale Canale 2 che l’opzione militare si sta affrettando: «I servizi di sicurezza di tutti i Paesi comprendono che il tempo stringe e di conseguenza avvertono i rispettivi dirigenti, perché a quanto pare l’Iran si avvicina alle armi nucleari». Nel tempo che resta, ha aggiunto Peres, insistendo sulla tempestività dell’imminente azione, «dobbiamo esigere dai Paesi del mondo di agire, e dire loro che devono rispettare gli impegni che hanno assunto, e far fronte alle loro responsabilità: sia che si tratti di sanzioni severe sia che si tratti di una operazione militare».

Sempre l’inglese “Guardian”, aggiunge Simone Santini, il 2 novembre ha pubblicato un reportage secondo cui le forze armate del Regno Unito starebbero intensificando i preparativi in vista di attacchi missilistici degli Stati Uniti contro siti iraniani. Gli strateghi della Royal Navy starebbero esaminando la migliore dislocazione possibile nell’area mediorientale delle unità navali, tra cui i sottomarini dotati di missili da crociera Tomahawk. Londra sarebbe pronta a concedere agli americani l’utilizzo dell’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, già usata come fondamentale base d’appoggio in precedenti conflitti nella regione. L’Iran è tornato al centro delle preoccupazioni diplomatiche dopo la guerra in Libia: anche se Barack Obama non avrebbe intenzione di imbarcarsi in un nuovo conflitto, potrebbe esservi “costretto” dall’atteso rapporto nucleare dell’Aiea, dopo le voci di “complotto iraniano” contro l’ambasciatore saudita negli Usa.

Finora, le installazioni atomiche iraniane – destinate dichiaratamente all’uso civile – hanno resistito anche agli attacchi cibernetici sferrati dall’Occidente, e gli americani stanno riposizionando le proprie forze nella regione. Secondo il professor Chossudovsky, l’obiettivo è – da anni – l’accerchiamento dell’Iran: «Dalla seconda guerra mondiale, non si era mai visto un simile spiegamento di forze». L’idea, spiega “Clarissa”, è di compensare il ritiro delle forze combattenti dall’Iraq ampliando la presenza militare nella penisola arabica, come ai tempi della prima guerra del Golfo, con nuovi stanziamenti in Kuwait, in Arabia Saudita e negli Emirati, e inviando ulteriori contingenti navali nel braccio di mare che separa le monarchie petrolifere dall’Iran.

Nonostante la crisi e i tagli (solo annunciati) alla spesa militare, gli Usa rilanciano: obiettivo, una “Nato del Golfo” con Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Arabia Saudita, che renda permanente la prova generale di collaborazione appena sperimentata in Libia. «Gli scenari fin qui illustrati – si domanda Santini – puntano dritto verso un confronto militare o, come pensano alcuni analisti, fughe di notizie e pianificazioni militari servono per aumentare la pressione su Teheran, lanciando moniti credibili, per ottenere maggiori successi diplomatici?». La risposta, in un senso o nell’altro, non tarderà probabilmente ad arrivare. «Nel frattempo, a fronte di un possibile conflitto con esiti devastanti, il movimento pacifista pare del tutto inerme ed impreparato. Tornerà ad agitarsi, forse, quando sarà ormai troppo tardi. Ammesso che non lo sia già ora».

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CRISI UE ANDREA ENRIA E I PAZZI DELL’EBA TERRORIZZANO L’EUROPA

Scritto da : Matteo Corsini
Fonte: http://www.corsera.it/notizia.php?id=5027

I MANAGERS DELL’EBA TERRORIZZANO L’EUROPA.ANDREA ENRIA UN ITALIANO VUOLE AMMAZZARE LE BANCHE ITALIANE.

Le banche italiane corrono un grave pericolo, in prima fila Unicredit e monte dei paschi di Siena.

Il regolatore comunitario deciso dall’eba, potrebbe costringere i due istituti a ricorrere nuovamente al mercati per un nuovo aumento di capitale con effetti disastrosi sia dal punto di vista finanziario sia per la diluizione degli attuali azionisti.

Addrittura per la fondazione del monte dei paschi di siena si aprirebbe il denegato scenario della perdita del controllo della banca. La fondazione ha circa 600 milioni di debiti,derivanti dal recente aumento di capitale, gia’ questi difficili da rimborsare ,qualora i dividendi attesi per l’esercizio del 2011,venissero tagliati o addirittura sospesi e da imputare a riserva, al fine di sostenere la patrimonializzazione della banca.

La citta’ di Siena trema, come trema….

Milano alla guida dell’abi c’e’ Mussari, anche presidente di mps. Le sue rimostranze in Europa sono note, ma forse, la difesa delle banche italiane, penalizzate dall’eba, nei confronti di quelle francese e tedesche, dovrebbe avere maggiore forza, anzi una vera e propria battaglia appoggiata dallo stesso governo italiano.

I Tremonti bond potrebbero salvare Rocca Salimbeni dal naufragio di un ennesimo aumento di capitale,considerando che gli interessi da sostenere secondo l’eba,sono inferiori del rischio gravante oggi sui titoli di stato.Un paradosso enigmaticoche speriamo presto venga risolto a tutto vantaggio delle banche italiane.

L’incertezza regna dunque sovrana in Europa, sopratutto nelle disposizioni dei regolamenti degli organismi della Ueche anziche’ contribuire a creare ordine e rafforzamento degli istituti bancari in gioco,contirbuiscono ad eroderne il valore, a creare panico e incertezza, a tutto discapito dei risparmiatori, degli azionisti.

I funzionari dell’eba ad oggi appaino come degli zoticoni condizionati da scelte politche,come quelle che hanno permesso alle banche francesi e tedesche di uscire indenni dai nuovi parametri regolamentativi sul rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito.

La cosa che appare grave e’ che l’eba e’ presieduto dall’italiano  Andrea Enria.

Il disastro delle Cinque Terre- e i suoi responsabili

Scritto da: Marco Martini
Fonte: http://alternativaliguria.blogspot.com/2011_10_01_archive.html

Gli ultimi tragici eventi occorsi in Liguria e in Toscana portano alla ribalta, per l’ennesima volta, la situazione allarmante in cui si trova il nostro Paese sul piano dei dissesti idrogeologici. Le cause hanno origini lontane – si pensi alla cementificazione selvaggia del boom economico di metà secolo scorso -e vicine, che partono da questioni di valenza globale (i cambiamenti climatici) e arrivano al locale, al “micromondo” degli entroterra urbani italiani.

In quest’ultimo senso, almeno per quanto concerne numerose realtà nazionali, un ruolo fondamentale lo gioca l’abbandono delle campagne e la relativa assenza dei  contadini,  cioè di chi, traendo il proprio sostentamento dalla terra, ha sempre svolto un efficace compito di “sentinella”sul territorio in modo da prevenire gravi dissesti in grado di compromettere le proprie attività e, in senso più esteso, il benessere della comunità di appartenenza. La pulizia dei rivi e dei torrenti, con l’eliminazione degli arbusti, dei massi e di tutto ciò che può favorire l’esondazione dei corsi d’acqua durante le alluvioni, così come interventi murari di modesta entità ma utilissimi per il consolidamento dei fronti – un caso emblematico è la tradizione tutta ligure dei muri a secco, tramandatasi nei secoli – sono stati i semplici ed efficacissimi strumenti in mano alle comunità locali per scongiurare l’avvento di disastri di notevole impatto. Circa un anno fa, il quartiere genovese di Sestri Ponente, in  seguito a un violento nubifragio, subì danni rilevanti a causa dell’esondazione dei suoi torrenti, i cui letti, nelle settimane precedenti, non erano stati sottoposti alle necessarie  operazioni di manutenzione e pulizia.
Si noti che la “pigrizia” di certe autorità comunali e provinciali nell’attuare efficaci opere di prevenzione è stata denunciata poco tempo fa da Legambiente, che  ha analizzato le iniziative di mitigazione del rischio idrogeologico nei 54 comuni liguri monitorati. Il risultato assegna una valutazione positiva, ma solo sufficiente, ad appena 12 amministrazioni (il 26%) mentre è negativa per il restante 74%, con 24 comuni giudicati “scarsi” e 17 “insufficienti”. Tra i peggiori Legambiente indica Cogorno, Lavagna e Murialdo «che pur avendo la presenza di diverse strutture in zone a rischio non si sono efficacemente attivati per una concreta opera di contrasto».

Naturalmente, con questo non si vuole ridimensionare quella che è probabilmente la causa principale dei dissesti idrogeologici italiani, ossia la cementificazione indiscriminata del territorio. In nome dello “sviluppo” il territorio italiano – di per sé difficile per la sua conformazione particolare – è stato letteralmente ricoperto da un’enorme colata di cemento, senza che si tenesse conto dei difficili equilibri ambientali che caratterizzano molte nostre regioni. Alla cementificazione “sviluppista” del secondo dopoguerra e dei “palazzinari” anni ’60, si è aggiunto e sovrapposto un diffuso abusivismo edilizio da parte dei privati,in molti casi anche semplici cittadini, del tutto incuranti dei danni che, in molti casi, stavano arrecando agli equilibri idrogeologici dei loro territori. Solo nel 1985 il legislatore ha cominciato a correre ai ripari, con la famosa Legge 431, nota anche come Legge Galasso, che ha posto divieti di edificabilità in ambienti particolari (aree d’alta quota, vulcani, paludi, vicinanze di corsi d’acqua o spiagge) e l’obbligo per le regioni di redigere Piani Paesistici allo scopo di tutelare i propri patrimoni ambientali. Ciononostante, l’abusivismo edilizio continua a prosperare nel nostro Paese, con particolari “punte” nelle aree maggiormente soggette ad infiltrazioni mafiose nelle pubbliche amministrazioni. A titolo di esempio si noti come, secondo i dati di Legambiente, Il business del cemento ha prodotto solo in Campania 60.000 case abusive in 10 anni, e a spartirsi la torta dell’edilizia ‘a tutti costi’ ci pensano 64 clan camorristici. In 20 anni – dal 1991 a oggi – ci sono state nella regione 7 amministrazioni comunali su 10 (67%) sciolte per infiltrazione mafiosa, alla cui base c’e’ proprio l’abusivismo edilizio.
Tornando ai disastrosi eventi di questi giorni, va evidenziato un altro dato allarmante, ossia la tipologia delle precipitazioni che ha colpito le Cinque Terre e le aree limitrofe. Si è trattato di un evento meteorologico di eccezionale gravità, con ben 500 millimetri di pioggia caduti in poche ore, che non trova precedenti nella storia di quelle zone. Un evento che si collega, a detta degli esperti, ai cambiamenti climatici a livello globale, e che potrebbe quindi risultare alla lunga un triste antefatto di molti altri eventi luttuosi per il nostro Paese, le cui “fondamenta” idrogeologiche, come abbiamo visto, sono state già messe in serio pericolo da un mix di incuria, illegalità e negligenza diffuse. Siamo, di fatto, nel pieno di una vera e propria emergenza nazionale continua e silenziosa, latente, ma dal potenziale devastante.

Libera: “Roma e il Lazio nelle mani di una quinta mafia”

Scritto da: Andrea Degl’Innocenti
Fonte:http://www.ilcambiamento.it/autori/andrea_degli_innocenti/

È una ‘quinta mafia’ quella che avviluppa coi propri tentacoli Roma ed il Lazio. Non ha ancora un nome proprio ma la sua presenza si fa sentire eccome. Sugli esercenti, nei cantieri, nelle gare d’appalto, per le strade e nelle sale giochi. Un mix di colletti bianchi, mafie tradizionali, delinquenti locali che ha acquisito un potere crescente nella regione fino a diventare una realtà autonoma e distinta dalle altre quattro mafie tradizionali (Cosa nostra, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra corona unita).

È Libera, l’associazione di Don Ciotti impegnata da 16 anni nella lotta alle mafie, che getta un po’ di luce sulla drammatica realtà della regione. Basta osservare qualche dato fornito dall’associazione per capire che c’è poco da scherzare. I beni mafiosi confiscati nel Lazio nell’ultimo anno ammontano a 330 milioni di euro; ben 517 sono i beni confiscati al 1 ottobre 2011 (404 immobili e113 aziende).

Ogni mese c’è un flusso medio di 526 milioni di euro in uscita verso i paradisi fiscali e 484 milioni di euro in entrata da essi; infine il Lazio è la quinta regione d’Italia per estorsioni (402 quelli denunciati nel 2011). Indicatori diversi, che sommati rendono un quadro piuttosto preoccupante, e dimostrano che il Lazio è terra di investimenti e riciclaggio.

Come sempre accade quando le mafie prendono piede sul territorio, a rimetterci è anche – soprattutto – l’ambiente

Come sempre accade quando le mafie prendono piede sul territorio, a rimetterci è anche – soprattutto – l’ambiente. Lo confermano i dati di Legambiente, secondo cui nel 2010 nel Lazio ci sono state ben 3124 infrazioni accertate contro l’ambiente, alla media di oltre otto reati al giorno, con 2011 persone denunciate o arrestate e 751 sequestri effettuati. La maglia nera va alla Provincia di Roma, che con 1750 infrazioni accertate è addirittura prima a livello nazionale.

A peggiorare la situazione della regione vi è poi, per assurdo, proprio la presenza delle istituzioni, alle cui propaggini corrotte e deviate le associazioni mafiose si sono prontamente avviluppate. La mafia nel Lazio dunque si presenta come ‘soggetto collaborante’, che sa come sfruttare lo Stato per il raggiungimento dei suoi fini.

Sulle sue origini vi sono ipotesi diverse. Secondo una di queste sarebbero da far risalire agli anni Settanta, con lo spostamento nella capitale di alcuni boss delle mafie tradizionali, giunti a Roma chi per scontare una pena, chi per fare da ambasciatore delle cosche. Al loro esempio si sarebbero ispirati i ‘guappi’ romani e laziali, che ne avrebbero imitato le strategie, copiato persino i modi e l’atteggiamento. E sono per la maggior parte laziali, autoctoni, i boss di questa quinta mafia.

“La quinta mafia – ha commentato Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – è una mafia che cambia pelle, che crea un intreccio tra le diverse cosche che unisce tante competenze. Dobbiamo fare tutti di più con continuità; oggi le mafie rischiano di essere forti perché la politica è più debole. Più debole la democrazia, più forti sono le mafie”.

“Oggi – ha concluso Ciotti – la nostra democrazia è pallida. Oggi la corruzione, la criminalità rappresentano le questioni più gravi dell’attuale modello sociale economico e dove si ripresentano le schegge massoniche che ci sono nel nostro paese con gli intrecci di poteri, di volti e di storie. Noi viviamo un coma etico nel nostro paese, è necessaria una una rivolta delle coscienze contro il pericolo della rassegnazione”.

L’elisir di lunga vita, non è più un sogno

Fonte: http://www.italiasalute.it/10658/L%E2%80%99elisir-di-lunga-vita-non-%C3%A8-pi%C3%B9-sogno.html

Dall’Università di Montpellier arriva la speranza di rimanere giovani per sempre. L’equipe del dott. Jean-Marc Lemaître ha, infatti, evidenziato come anche le cellule con invecchiamento avanzato fino a 101 anni non perdono la potenzialità di suddividersi e moltiplicarsi, opportunamente riprogrammate.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Genes & Development; questo tipo di scoperta potrebbe tra 15 anni realizzare il sogno dell’eterna giovinezza.
Studi di questo genere sono stati presentati in passato: nel 2007 in Giappone sono state generate cellule staminali perfettamente in grado di differenziarsi a partire da quelle donate da soggetti adulti.
La novità di questa ricerca francese sta nell’aver utilizzato cellule non solo adulte ma addirittura molto vecchie, appartenenti a soggetti di età molto avanzata, con una media intorno ai 90 anni, un tale stadio  di senescenza è stato fino a oggi considerato una tappa irreversibile, l’ultima, prima della morte cellulare.
“Ogni cellula normalmente controlla con regolarità lo stato delle proprie funzioni, e quando si accorge che sono ormai degradate smette di dividersi e moltiplicarsi”, spiega lo scienziato francese; che rispetto allo studio giapponese ha aggiunto quattro geni.
“Dopo molti tentativi abbiamo introdotto altri due geni e quello si è rivelato essere il cocktail vincente”, dice Lemaître, “nel giro di 15 giorni le cellule anziane hanno cominciato a proliferare di nuovo e poi a cambiare forma”. “Le nuove cellule assomigliavano in tutto e per tutto a quelle originarie, ma senza alcuna traccia d’invecchiamento”.
La speranza del futuro è riposta nelle conseguenze che una simile scoperta potrà regalare; trattamenti e cure per malattie degenerative neurologiche, ossee, il diabete e tutte quelle patologie legate all’invecchiamento. Fino ad oggi nessuno studioso al modo ha tentato di reimpiantare in pazienti cellule così “rigenerate”, pertanto tutto è ancora in una fase teorica, ma convogliando fondi e altre evidenze scientifiche si potrebbe arrivare al controllo di quell’unica dimensione ancora impossibile da manipolare per l’essere umano, ossia il tempo.

 

Come costruire da soli una casa di legno: intervista a Samuele Giacometti

Scritto da: Pamela Pelatelli
Fonte:  http://www.greenme.it/approfondire/interviste/6130-come-costruire-da-soli-una-casa-di-legno-intervista-a-samuele-giacometti

Dopo aver levigato l’ultimo tronco della sua casa di legno ed essere stato più volte celebrato per la sua impresa, Samuele Giacometti, ingegnere meccanico, si è domandato: “come è possibile che riproporre oggi un ciclo di trasformazione che era la norma nei secoli scorsi ha portato il mio progetto a essere studiato all’ENEA, premiato con il Casa Clima Award e la Bandiera Verde di Legambiente?”.

Oggi fa rumore ciò che fino a pochi decenni fa era saggezza popolare, senso comune e tradizione. E se la memoria vacilla, diventa necessario limitare l’ingratitudine umana e affidare le conoscenze alla carta. Come ho costruito la mia casa di legno (Compagnia delle Foreste, 2011) è il titolo del libro scritto da Samuele Giacometti per testimoniare il percorso di realizzazione del suo progetto Sa di legno, un titolo che esprime l’innumerevole girandola di significati racchiusa in questa meravigliosa impresa. Sa come declinazione del verbo sapere, quello usato per progettare e costruire, ma anche quello profumato che esala dal legno, quando lo annusi. Sa di come le iniziali dei componenti di una famiglia fatta di 4 persone che a un certo punto decide di andare a vivere in una casa di legno.

Samuele Giacometti abita in Val Peserina, in provincia di Udine, terra ricca di boschi e di buon legname in cui numerosi sono gli edifici nati dal legno. I modelli cui ispirarsi sono innumerevoli, ma questo non toglie a Samuele Giacometti il desiderio di approfondire la conoscenza della materia per creare un prodotto tutto suo.

Inizia una lunga fase di “riempimento del contenitore”, durante la quale lo studio dei libri di biologia si aggiunge a quelli sulla scienza delle costruzioni e ai manuali di software di progettazione. Al termine, Samuele è pronto per far muovere i primi passi alla sua impresa.

Sostenibilità è, fin dall’ideazione, un obiettivo concreto da perseguire in modo coerente: sostenibilità economica, sociale e ambientale. Vi si applicano un universo di metodologie e pratiche progettuali che mirano a valorizzare le risorse naturali locali e i saperi antichi, lontano dalle storture del sistema.

Decisi che tutto sarebbe iniziato dalle piante della Val Peserina e che avrei annotato le tappe significative e il modo in cui venivano raggiunte, garantendone la tracciabilità”. Il percorso legno-pianta, legno-tronchi, legno-trave diventa oggetto di un viaggio che non arriva mai a superare la distanza di 12 chilometri dalla sede scelta per costruire la casa.

Quale legno? E di chi fidarsi nella scelta? Della tradizione costruttiva che da secoli usava legno massiccio o dei distributori di legname che consigliano legno lamellare. L’osservazione delle vecchie travi ha fatto optare la prima scelta, portando alla selezione di non più di 43 piante per la costruzione dell’intera abitazione.

L’identificazione del legno e la possibilità di ricostruire la filiera produttiva risalendo tutti i passaggi e le trasformazioni – secondo gli standard PEFC – sono gli elementi che, hanno portato il progetto Sa di legno a ricevere innumerevoli riconoscimenti. Alla certificazione CasaClima B+ dall’Agenzia per l’Energia del Friuli Venezia Giulia, si aggiungono, nel 2010, il CasaClima Award, la Bandiera Verde di Legambiente ed il primo Certificato di Progetto PEFC in Italia, terzo caso nel mondo.

La casa inoltre è diventata modello di studio per il Laboratorio LCA & Ecodesign” dell’’ENEA (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo economico sostenibile) di Bologna.

Premi che non hanno certo fatto perdere la testa al deus ex machina di questo ambizioso progetto. Più  gratificanti, dalle parole del suo libro, sono le emozioni che una vita immersa nel legno consente di sentire. Qualcosa che neanche lo scrittore più esperto riuscirebbe facilmente a tradurre. Portare i nostri sensi nel bosco e poi nella casa ci ha fatto provare e ci sta facendo provare sensazioni difficili da spiegare confessa Samuele Giacometti, a greenMe.it. Solo il sorriso sereno e gioioso dei figli Diego, Diana e Pablo che camminano scalzi sul pavimento o lo sguardo riappacificato della moglie Sarah che si appoggia sui colori neutri e sulle nervature vive del legno riescono, anche se parzialmente, a comunicare ciò che significa vivere in una casa di legno.

Norbert Lantschner, direttore di Agenzia Casaclima, nella prefazione al libro dice che il legno è il tesoro ritrovato del ventunesimo secolo”. Nel 2011 si celebra l’anno delle foreste per ricordare al mondo intero l’importanza di questa immensa fonte di vita. Peccato aver dimenticato questa inestimabile risorsa per molti anni!

A Casa Klima è affidato invece il compito di verificare che l’abitazione rispetti i criteri di qualità ed efficienza ambientale richiesti. Sa di Legno li supera alla grande e viene premiata per la particolare virtuosità in campo energetico. Una casa di legno altamente efficiente e “a chilometri zero” costruita con le proprie mani. Può esserci soddisfazione più grande?