Case sugli alberi made in Italy

Scritto da: Roberta Ragni
Fonte:http://www.greenme.it/abitare/bioedilizia-e-bioarchitettura/7174-case-sugli-alberi-in-italia

Una casa sull’albero significa concretizzare il sogno di vivere liberi e in simbiosi con la natura. Se per i bambini rappresenta da sempre un’esperienza indimenticabile, per gli adulti avere la possibilità di soggiornare, o addirittura vivere, in un rifugio tra i rami, in un gioiello incastonato nella natura, sembra solo un’ impossibile fantasia. Ma non è proprio così che stanno le cose. Nemmeno in Italia, dove è già possibile vivere per qualche notte o per sempre in una casa sull’albero.

Il made in Italy delle case sugli alberi parte con l‘Agriturismo La Piantana  che, nel cuore della campagna viterbese, vicino Roma, offre la possibilità di dormire cullati dal mormorio delle fronde al vento in due stupende case sull’albero, dotate di ogni confort: la Suite Bleue , una camera matrimoniale con tanto di terrazza panoramica realizzata a 8 metri da terra, fra 12 ettari di colline coltivate a lavanda, nella chioma folta di una quercia secolare, e la Black Cabin  , un intero eco-loft da 87 metri quadrati (nella foto di copertina), riparato dall’ombra di un Pino Marittimo di 200 anni, situato a 7 metri da terra, offrendo così un’incredibile vista a 360° sull’oliveto secolare di oltre 1.800 piante dell’agriturismo, i Monti Cimini e, sullo sfondo, il mare di Tarquinia. Se avete voglia di immergervi nell’incanto di uno scenario altrettanto surreale quanto a bellezza, ma amate i viaggi un po’ più spartani e avventurosi, ecco, in Alta Valcellina, precisamente nel comune di Claut, il friulano Tree village , villaggio composto da numerose casette in legno, abbarbicate in mezzo alle fronde degli alberi a diversi metri di altezza, dove, all’interno di un parco tematico e solo nei mesi più caldi, è possibile soggiornare in sacco a pelo. Le casette sono costruite in legno di abete e gli alberi che fungono da sostegno sono abeti e pini di grosso fusto. Per raggiungerle si usa una scala di legno a pioli, mentre alcune sono collegate fra di loro da funi e ponti sospesi. Ma c’è anche chi non si è accontentato di queste offerte da fine settimana e, in una casa sull’albero, ha deciso di trasferire il proprio domicilio. È il caso di un gruppo di cosiddetti “arboricoli”, formato da 12 adulti ed una bimba, che hanno scelto di vivere per sempre in mezzo ai boschi dei Monti Pelati, in Piemonte.

Come nella migliore delle fiabe, hanno così realizzato un progetto di vita che è il desiderio di molti. In un luogo nascosto dalle fronde selvagge agli occhi indiscreti di un mondo troppo distante dalla natura, il bosco ospita infatti 7 case, sostenute da piante di castagno e carpino, incrocio tra la bioedilizia e la filosofia naturale.

Non abbiamo rinnegato affatto i confort moderni e la tecnologia, che qui invece cerchiamo di utilizzare al meglio e senza sprechi, ottimizzando i consumi. Non siamo scappati dalla società: abbiamo solo scelto di migliorare noi stessi, modificando il nostro stile di vita attraverso un contatto più diretto con gli elementi“, spiega Dario, 51 anni che nella vita fa il manager e il papà della piccola Galatea, nata in modo naturale proprio nella casa tra gli alberi, al giornalista Antonio Gregolin, uno dei pochi ad aver visitato il villaggio. In un emozionante reportage pubblicato sul suo blog è possibile comprendere bene, leggendo il fiume di commenti, il perché questa comunità resti molto diffidente ad ogni contatto che possa invadere la loro privacy e la loro tranquillità.

E se la loro esperienza vi sembra un sogno per voi irrealizzabile, vuoi per evidente digiuno di conoscenze ingegneristiche, vuoi per altro tipo di impossibilità, sappiate che anche voi potrete concedervi una casa sull’albero, dove lasciarvi incantare dalla natura, farvi trasportare dai sensi, lavorare indisturbati, riposare e sognare. Come? Grazie agli architetti della Baumraum , che realizzano case sull’albero in tutto il mondo, anche in Italia, dove, insieme alla ditta Denaldi, loro produttori associati, hanno già realizzato un piccolo loft vicino Roma, chiamato “casa meditazione”  , e una struttura realizzata in legno di pino massiccio, consistente in una terrazza a due livelli e una cabina con ampie vetrate, in Puglia, vicino Avetrana  .

Insomma, chiunque può realizzare un sogno che molti conservano dall’ infanzia: andare a vivere sugli alberi!Anche in Italia!

Ali Agca ad una tv turca accusa il segretario di Stato Vaticano Casaroli, di aver orchestrato l’attentato a Giovanni Paolo II e non solo…

Fonte: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-ali-agca-va-a-una-tv-turca-e-accusa-il-segretario-di-stato-20114.htm
(Nota redazione: Articolo di repertorio).

L’attentatore assicura: “fu un cardinale, Agostino Casaroli, numero due del Vaticano, a darmi l’ordine, nel 1981”. Lo ha detto in un programma della tv turca TRT (per chi parla turco, qui il filmato: http://bit.ly/9A3G45 ).

– “Né la CIA, né il KGB, nessun altro potere cospirò contro il Papa, fu tutto interno”.

Il mistero comincia sin dall’ora del decesso: intorno alle 23 del 28 settembre 1978, come dichiarato dal medico che esaminò il cadavere, o intorno alle 4 del 29, come affermato dai fratelli Ernesto e Arnaldo Signoracci, convocati per l’imbalsamazione?

Il dettaglio è ininfluente sia per i sostenitori della morte naturale, sia per i sostenitori del delitto camuffato da morte naturale, ma fotografa il groviglio di sospetti, maldicenze, contraddizioni che dal primo giorno accompagna l’improvvisa scomparsa di Albino Luciani eletto Papa, con il nome di Giovanni Paolo I, il 26 agosto 1978.

I trentatré giorni più convulsi nella storia del pontificato con l’immancabile comparsa del Terzo Segreto di Fatima, dovuta all’incontro del ’77 fra l’allora cardinale Luciani e suor Lucia dos Santos, l’unica sopravvissuta dei tre fanciulli interlocutori della Madonna.

(Foto: Ali Agca) La sua elezione al soglio era stata una sorpresa per il grosso pubblico dei fedeli, ignari delle segrete cose, un po’ meno per gli apparati della Chiesa. Nell’ultimo decennio, infatti, Luciani si era guadagnato la fiducia di Paolo VI, che l’aveva nominato cardinale e durante un viaggio in Laguna gli aveva imposto la stola papale sulle spalle.

L’ex curato di campagna veneto era attestato sulle posizioni dottrinali di Montini, benché sull’argomento più scottante, il controllo delle nascite, mostrasse un’apertura irritante per l’ala conservatrice del Vaticano. Cresciuto nella divulgazione quotidiana della fede, Luciani era l’uomo del sorriso, del contatto continuo con i credenti, di uno stile di vita immacolato, lontanissimo dalle tentazioni e dalle permissività della Curia romana. Forse fu proprio tale distanza a guadagnargli il favore del conclave. Bastarono tre votazioni per sbaragliare i favoriti Siri e Pignedoli.

Alla sua elezione avevano contribuito il partito italiano di Benelli e quello europeo del polacco Wojtyla, del belga Suenens, dell’olandese Willebrands, accomunati dal desiderio di avvicinare al mondo il trono di Pietro.

E gli atti iniziali del nuovo pontefice furono in questa direzione: abolizione del pluralis maiestatis (il «noi»), rifiuto dell’incoronazione quale cerimonia d’apertura, sofferta accettazione dello stemma gentilizio per non inimicarsi da subito la burocrazia papalina. Con la quale, però, lo scontro era inevitabile. E così ci si addentra subito nel dedalo di ostilità e inimicizie, che per i fautori del complotto costituisce il movente stesso dell’omicidio.

Luciani nutriva dal ’72 scarsa simpatia per il vescovo Paul Marcinkus, numero uno dello Ior (Istituto opere religiose): aveva dovuto leggere sul Gazzettino che la Banca Cattolica del Veneto, di cui lui, in quanto patriarca di Venezia, aveva la guida spirituale, era stata ceduta al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Luciani aveva comunicato a Paolo VI il proprio dispiacere per esser stato tenuto all’oscuro, ma Marcinkus, autore della vendita, si era rifiutato di fornire spiegazioni. Quelle che invece, da papa, Luciani adesso pretendeva su molte operazioni della banca vaticana, senza probabilmente immaginare che il suo legittimo desiderio di trasparenza e di correttezza avrebbe messo a nudo i manovratori occulti dello Ior: Sindona, Calvi, Gelli.

La ricognizione sullo Ior comportava un esame accurato anche dei conti dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), presieduta dal cardinale francese Jean Villot, segretario di Stato e legatissimo a Montini. Villot si batteva per la continuità tra un pontificato e l’altro, di conseguenza si era già trovato in disaccordo con le prime scelte di Giovanni Paolo I.

Non a caso crescevano le voci di una sua imminente sostituzione con il cardinale Benelli, ex vice segretario di Stato, che egli stesso aveva contribuito a esiliare qualche anno prima a Firenze. E proprio in quei giorni il nome di Villot apriva la lista dei 121 ecclesiastici iscritti alla massoneria. L’elenco era stato pubblicato dalla rivista Op, diretta da Mino Pecorelli, membro della P2, al centro di trame e ricatti tra servizi segreti, finanza e politica.

Una mano anonima aveva inserito l’articolo nella rassegna stampa sfogliata ogni mattina dal Papa. Questi aveva subito chiesto al cardinale Felici se la lista potesse essere veritiera. Verosimile, era stata la risposta. L’elenco faceva impressione: oltre a Villot, comprendeva monsignor Agostino Casaroli, ministro degli Esteri della Santa Sede, il cardinale Ugo Poletti, vicario di Roma, il cardinale Sebastiano Baggio, Marcinkus, monsignor Donato De Bonis, dello Ior, don Virginio Levi, vice direttore dell’Osservatore Romano, padre Roberto Tucci, direttore della Radio Vaticana, monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI.

PAPA LUCIANI

Con il disincanto tipico del vecchio habitué di Curia, Felici osservò che liste simili circolavano da sempre e che la prassi era di non prenderle in considerazione. D’altronde, aggiunse con un pizzico di malizia, Paolo VI aveva varato un comitato per cancellare la scomunica che da secoli veniva comminata ai massoni e il cardinale Villot ne era apparso entusiasta.

Sentimento non condiviso da Luciani: per lui la massoneria incarnava il nemico di Roma. Pur intuendo che il suo amato Montini avesse aperto le porte delle mura leonine a una schiera di piduisti – Gelli, Ortolani, Sindona, Calvi – era contrarissimo a quell’insana commistione rivolta soltanto al profitto.

Il Papa proveniente da una famiglia di poveri operai socialisti ipotizzava una Chiesa che mettesse le proprie sostanze a disposizione degli ultimi. Esattamente il contrario di quanto avvenuto con il cardinale John Cody, responsabile dell’arcidiocesi di Chicago, il cui budget annuo sfiorava i 300 milioni di dollari dell’epoca.

Nei tredici anni d’incarico Cody aveva seminato malcontenti, cattivi affari e perfino uno scandalo sessuale: la sua eccessiva amicizia con una bionda signora, Helen Wilson, impiegata della cancelleria. Le aveva stornato centinaia di migliaia di dollari, compresi quelli necessari all’acquisto di una casa in Florida, ne aveva favorito gli affari del figlio. Il giorno della nomina cardinalizia di Cody, nella foto ufficiale la bionda Helen sorrideva alle spalle di Montini.

Nonostante la valanga di accuse e di rimostranze, Cody si era salvato grazie alla protezione di Marcinkus, originario di un sobborgo di Chicago, Cicero, e soprattutto sensibile alle cospicue donazioni elargite dal cardinale allo Ior. Ma la destituzione che Paolo VI aveva continuamente rinviato, Giovanni Paolo I si apprestava a compierla.

Ecco, dunque, completato il quadro di coloro che avrebbero beneficiato, e che poi in effetti beneficiarono, della scomparsa di Albino Luciani. Ovviamente manca la prova indiscutibile dell’assassinio. Il rapporto ufficiale parla d’infarto del miocardio, le supposizioni malevole fanno riferimento all’uso della digitalina, un farmaco che ne produce gli effetti, o a una dose eccessiva di Effortil, il medicinale assunto per ovviare alla bassa pressione.

Si è molto speculato sulla sparizione degli effetti personali del Papa (occhiali, pantofole, medicine); sull’annuncio che fosse morto tenendo in mano L’imitazione di Cristo – invece leggeva alcune carte, mai rintracciate e subito divenute l’elenco delle imminenti nomine -; sulla presenza di Marcinkus in Vaticano a un’ora per lui desueta; sulla decisione d’imbalsamare il corpo prima che fosse stabilita un’eventuale autopsia, pratica per altro insolita nel rigido protocollo pontificio;

sull’inattesa ispezione medica del 3 ottobre, alla vigilia del funerale, con l’annuncio che vi avevano presenziato due medici e i fratelli Signoracci, tutti concordi, invece, nello smentire di avervi preso parte. Inutile aggiungere che agli occhi dei complottardi l’ispezione si trasformò nell’autopsia, la quale avrebbe confermato l’avvelenamento e per questo motivo tassativamente negata.

Di avviso opposto la famiglia Luciani. Fratello, sorella, nipoti mai hanno dubitato della morte accidentale del famoso congiunto. La nipote prediletta, Pia, ha ricordato che al ritorno da un viaggio in Brasile allo zio era stato riscontrato un embolo nell’occhio: l’oculista ridendo gli aveva detto che se l’embolo si fosse fermato altrove sarebbe deceduto all’istante.

Il triestino Stefano Bassanese neo Cavaliere

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://www.litaliano.it

(Foto:Margot Errante)  Hong Kong– Nato nel 1969 a Trieste, si è trasferito prima in Australia e da quattro anni vive a Hong Kong, assieme alla moglie e al figlio Matteo.
Stefano Bassanese è un rinomato sommelier e un esperto di ristorazione. Ha prestato la sua opera presso il ristorante Cinecittà, e in seguito presso al celeberrimo Angelini, dentro all’albergo di super lusso Shangri-La. Da due anni dirige il ristorante Domani, in Pacific Place, nel cuore pulsante di Hong Kong. Questo ristorante è ormai diventato uno dei più rinomati di questa ricca e cosmopolita città. Un vero punto di riferimento per tutti gli amanti dell’alta cucina e dei vini italiani.
Stefano Bassanese è molto impegnato anche nelle attività della comunità italiana di Hong Kong e della vicina Macao. Infatti, è membro del Fogolar Furlan, fondato qui a Hong Kong pochi anni or sono e presieduto dal udinese Paolo Sepulcri; fa inoltre parte del consiglio direttivo della Società Dante Alighieri.
L’ambita onorificenza di Cavaliere della Stella d’Italia gli è stata conferita il 2 giugno 2012 dal Console generale d’Italia a Hong Kong, Alessandra Schiavo, completa della pergamena firmata dal presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano.
La moglie di Stefano Bassanese, Lorena Severi, anche lei triestina, nel 1996 vinse il campionato del mondo degli acconciatori, ed è oggi una delle più quotate coiffeur pour dames di questa megalopoli asiatica di sette milioni di abitanti.  Stefano racconta che fu lei a convincerlo a trasferirsi a Hong Kong, stavano guardavano un servizio sulla Cina e notando che tutte le ragazze avevano i capelli neri, gli disse: “Dai, Stefano, andiamo là, e facciamole tutte bionde!”

La luce a LED, i vantaggi e le opportunità di risparmio energetico

Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=609

La sigla LED sta per Light Emitting Diode ossia un diodo luminoso, questo è il carattere distintivo delle lampadine a LED rispetto alle tradizionali lampadine ad incandescenza.

I parametri tecnici che contraddistinguono le lampadine a LED dipendono dal tipo di diodo, esse sono la tensione di soglia e l’andamento della curva tensione /corrente, le lampadine sono caratterizzate da due diversi tipi di emissione luminosa: Continua (il led emette costantemente luce) Intermittente (il led emette luce a intervalli regolari).

Secondo recenti studi, l’efficienza raggiungibile dalle lampadine a LED per quanto riguarda il rapporto luce/consumo è di 5 a 1 rispetto alle tradizionali lampadine, nel dettaglio un impianto elettrico completo di kit a led permette di risparmiare il 70% dei consumi se paragonato alle lampadine ad incandescenza.

Grazie alle recenti migliorie che sono state apportate a questo tipo di tecnologia durante i processi di fabbricazione e nell’evoluzione dei materiali, si è enormemente ampliato il campo di sfruttamento dei LED che ora riescono ad emettere una potenza considerevole in grado di illuminare ampi spazi, allargandone così l’utilizzo anche per l’illuminazione di luoghi pubblici e le strade.

Altre caratteristiche molto importanti per i LED sono l’emanazione dei raggi luminosi senza produrre alcun tipo di calore esterno o interno e senza rilasciare raggi ultravioletti dannosi per le persone, questa è una caratteristica che contribuirà a favorire la diffusione di questa tecnologia, unita al fatto che si possono cambiare i colori dei raggi luminosi a nostra scelta utilizzando dei particolari LED multi chip.

Sinteticamente possiamo riassumere i vantaggi di queste lampadine in pochi concetti principali:

• Elevata luminosità
• Costi ridotti
• Colori saturi
• Estensione della durata della singola lampadina
• Totale sicurezza ( funzionano a bassa tensione)
• Assenza di manutenzione
• Risparmio energetico garantito

La Disney dice basta alla pubblicità del cibo spazzatura. Topolino in USA promuoverà solo alimenti sani per i bambini

Scritto da: Valeria Nardi
Fonte: http://ilfattoalimentare.it/disney-pubblicita-cibo-spazzatura.html

La Walt Disney americanaha deciso di eliminare gli spot del cibo spazzatura dai propri canali televisivi, dalle stazioni radio e dai siti web. Il divieto viene incontro alla richieste di genitori e nutrizionisti che chiedono la promozione di cibi salutari e la diffusione di abitudini alimentari più sane per bambini e ragazzi.

Queste scelte per la Walt Disney non sono una novità, nel 2006 la società mette a punto linee guida nutrizionali per migliorare la qualità di cibo e bevande offerte. Un’altra iniziativa è stata smettere di abbinare giocattoli che pubblicizzano i propri film ai pasti dei bambini.

L’azienda sostiene che anche i grandi marchi possono avere un ruolo nella lotta all’obesità e, come dichiarato dall’amministratore delegato Robert A. Iger, non si tratta di altruismo, ma di business intelligente. Le iniziative sono state illustrate il 5 giugno in una conferenza stampa congiunta cui ha preso parte anche Michelle Obama, che definisce il progetto «un punto di svolta per la salute dei nostri figli».

 

Le nuove direttive per le pubblicità di cibi e bevande della Walt Dismey saranno completate entro il 2015, e seguiranno le linee guida federali, promuovendo il consumo di frutta e verdura e limitando calorie, grassi saturi, sodio e zucchero.

Infine è stato presentato il marchio “Mickey Check”, un logo che avrà il compito di segnalare bibite, cibi e menu che soddisfano gli standard nutritivi dell’azienda.

L’annuncio di Disney, grazie anche al supporto della First lady americana, potrebbe spronare i concorrenti a fare lo stesso, innescando un circolo virtuoso.

Foto: Photos.com

Positività, i 5 errori che ostacolano l’ottimismo

Scritto da: Valeria Del Treste
Fonte: http://www.iovalgo.com/positivita-ottimismo-1347.html

Ognuno ha il suo proprio stile di vita e di pensiero, ed è è risaputo che l’ottimismo migliora la nostra esistenza e quella di chi ci sta accanto. Eppure cercare il bello della vita, in particolare nei periodi bui, può rivelarsi una meta irraggiungibile.

Ciò accade soprattutto quando facciamo di tutto per stare bene, quasi ci imponiamo di essere positivi ma veniamo subito ostacolati; esistono infatti alcuni errori comuni a tutti che intralciano la nostra ricerca della felicità.

Il primo è pensare sempre positivo, perché anche se apparentemente possiamo considerarla la mentalità perfetta, in realtà sappiamo che non basta voler vedere tutto nei suoi lati migliori per scacciare la negatività, ma dobbiamo allenare il nostro cervello a ragionare in un certo modo e coglierne i miglioramenti giorno dopo giorno.

Il secondo consiglio è cercare il positivo anche nelle situazioni poco favorevoli, senza lamentarsi troppo dei problemi, il vittimismo non aiuta affatto, anzi!

Cambiare mentalità, considerare solo il lato migliore delle cose non corrisponde a migliorare in tutti gli aspetti, per questo è meglio abbandonare il pessimismo come stile di pensiero, ma senza tralasciare alcune caratteristiche che gli appartengono e che possono tornarci utili; vivere con distacco ci offre la possibilità di analizzare determinate situazioni dall’esterno, rendendole oggettivamente giudicabili.

Altro errore assolutamente da evitare è cercare la serenità interiore uscendo con persone pessimiste che invece di aiutarti ti peggiorano l’esistenza, anzi spesso sono proprio le amicizie ad influire negativamente sulla nostra ottica di vita.

Infine, l’ultimo consiglio è, a parer mio, la lezione di vita per eccellenza, quella che dovrebbe entrare nella testa di tutti una volta per tutte: non dobbiamo e non possiamo piacere a tutti.  Molte persone si rovinano l’esistenza perchè non sopportano il fatto di non essere apprezzate dagli altri, ma il giudizio degli altri è davvero così importante?

Ognuno dovrebbe cercare innanzitutto di piacere a se stesso e di tirare fuori il meglio di sè con gli altri, ma senza fustigarsi se questi non lo accettano, ricordando comunque che il modo migliore per essere amati dagli altri è amare noi stessi.

Auto che va ad aria. Gli ultimi sgoccioli di benzina

Scritto da: Valerio Tripodo
Fonte: http://dailystorm.it/2012/06/08/auto-che-va-ad-aria-gli-ultimi-sgoccioli-di-benzina/

La fine dell’era della benzina: un nuovo motore in grado di liberarci dalla schiavitù petrolifera. Le trappole ecologiche delle lobby, la nuova auto che cambierà il mondo. Gli italiani sono pronti al cambiamento?

ECOFALSI –  Se pensate di aver risolto il problema del caro benzina comprando recentemente una macchina a gpl o a metano, ci dispiace dirvelo, ma siete caduti nell’ennesima trappola. Negli odierni spot televisivi si pubblicizzano automobili sempre più eco, capaci di strabilianti prestazioni e bassissimi consumi grazie a innovativi sistemi come lo start and stop o simili, sistemi che all’atto pratico, diciamoci la verità, faranno risparmiare una manciata di euro al mese. Ma, a breve, verrà presentata AirPod, la prima citycar alimentata ad aria compressa.

LA NUOVA BENZINA – Si tratta di un’automobile che vi farà spendere una “manciata di euro”.  Per l’esattezza poco meno di 1 euro ogni 100 km. Come detto, infatti, AirPod utilizzerà un motore ad aria compressa. Dietro questa tecnologia si nasconde il classico meccanismo dei motori a scoppio. Nelle nostre automobili brucia benzina che, trasformandosi in gas, produce una espansione di volume che il pistone trasforma in energia meccanica. Il motore di AirPod, progettato da Cyril Negre con la compagnia MDI, demanderà l’espansione del pistone all’aria compressa. In teoria si è solo cambiata la benzina con l’aria compressa, in pratica ci sono voluti anni di prove tecniche per ottenere un buon risultato in termini di efficienza, ma entro la fine dell’anno prossimo, grazie al colosso indiano TATA, i prodotti saranno in commercio.

IL NUOVO MODO DI VENDITA – L’innovazione non consisterà solo nel prodotto, ma anche nel metodo di produzione e di vendita. L’intenzione è di realizzare numerose piccole fabbriche sparse sui territori (si partirà dalla Francia) dando la possibilità di comprare il veicolo direttamente dal costruttore. Anche in questo il progetto ha dimostrato grande sensibilità ecologica ed etica: distribuire la produzione genererà più posti di lavoro, diminuirà l’inquinamento dovuto al trasporto dei pezzi, ed abbatterà i costi del prodotto finale.

MI FACCIA IL PIENO – Sarà possibile fare il pieno in due modalità: o collegando il motore alla presa elettrica della propria abitazione, o alle “pompe di benzina” adattate per l’aria. Il primo processo sfrutta il motore-compressore, però richiede un tempo che si aggira intorno alle 3 ore e mezza. Il secondo inietta l’aria compressa direttamente nelle serbatoio dell’auto (bombole in carbonio) e impiega 2 minuti per un pieno. Queste nuove pompe  non saranno altro che distributori di aria compressa già utilizzati per il gonfiaggio degli pneumatici.

Il primo veicolo che verrà commercializzato, l’AirPod, sarà omologato come quadriciclo leggero, e costerà 7000 euro. Avrà una velocità massima di 80 km/h, a cui seguirà l’AirOne, con 100 km/h, e successivamente l’AirCity, con 130 km/h. Quest’ultimo modello, il più grande e somigliante ad una classica automobile, utilizzerà un sistema misto aria compressa-benzina. Ovviamente, i consumi di benzina saranno ridottissimi, però è sicuramente un difetto che si spera correggeranno in futuro.

BOMBA A GAS – Qualcuno si starà chiedendo se le bombole del serbatoio siano pericolose. La risposta è no. Conterranno sola e semplice aria, quindi anche un’eventuale danneggiamento non metterà in pericolo la vita di nessuno. Senza contare che i sistemi di sicurezza sono già stati messi a punto per le auto a gpl e metano, che sono gas altamente infiammabili.

L’unico dubbio che rimane è se gli italiani riusciranno ad apprezzare l’estetica di queste macchine: piccole, tonde, sicuramente simpatiche ma non accattivanti o aggressive. Insomma, il risparmio economico rimpiazzerà il concetto  del veicolo come status symbol? O l’avere un veicolo che va ad aria, tecnologico, ed ecologico, diverrà a sua volta uno status symbol?

IL BAMBINO CHE FECE TROVARE LE ARMI DEI PARTIGIANI

Scritto da: Luca Valente
Fonte: http://www.lucavalente.it/modules.php?name=News&file=article&sid=333

Lino Pozzan ricorda quando, da ragazzo, portò alla scoperta di alcune casse di armi nascoste dai partigiani durante la guerra

Quella vicenda delle armi dei partigiani fatte ritrovare è una vita che a Poleo gliela sentono raccontare. E visto che va per le ottanta primavere, Lino Pozzan deve averla narrata ai suoi compaesani un bel po’ di volte. Si era nel dopoguerra, poco prima delle elezioni politiche dell’aprile ’48 che videro fronteggiarsi democristiani da una parte e comunisti e socialisti dall’altra, e Lino, allora sedicenne, fu protagonista di una particolare avventura.
La storia, però, inizia qualche anno prima, nell’inverno a cavallo tra il 1944 e il 1945. Nei prati tra Poleo, il torrente Gogna, i boschi di Lesegno e la curva del Cristo di Torrebelvicino (provincia di Vicenza) le truppe d’occupazione svolgevano frequenti esercitazioni. Racconta Pozzan: «I tedeschi avevano costruito tre particolari postazioni, scavate nel terreno ad angolo retto, a forma di “elle”, profonde circa un metro e mezzo, sulle quali piazzavano mitragliatrici e mortai. Andavo spesso a osservarli, perché i nostri campi arrivavano fino a lì».
In effetti l’intera area era stata trasformata in poligono d’addestramento dalla “Schule für den Kampf der verbundenen Waffen” (Scuola per armi congiunte) del “1. Fallschirm-Korps” (1° Corpo paracadutisti), agli ordini del maggiore Otto Laun, con sede principale alle scuole Marconi di Schio e vari reparti a Magrè, Giavenale, S. Vito di Leguzzano e Pievebelvicino. Vi erano assegnati ufficiali e sottufficiali per imparare appunto l’uso coordinato di mitragliatrici e mortai sul campo di battaglia.
Quello che i tedeschi non sapevano è che sotto i loro piedi si nascondevano i partigiani, i quali rischiarono di essere scoperti durante lo scavo di ulteriori trincee. La circostanza è rammentata anche da Lino: «Nei pressi sorgeva una fattoria che era un covo di partigiani. Un tunnel sotterraneo collegava l’abitazione a due bunker, uno dei quali sbucava sotto le radici di un castagno».
Terminato il conflitto, il luogo divenne meta della compagnia del ragazzo. «Ci andavo con gli amici Guido Cerisara, Francesco Sessegolo, Nadir Zocca, Albano Bellotto e Silvano Galvanin: si giocava ancora alla guerra, tutti i giorni. La mattina del 7 luglio 1945, ovvero poche ore dopo che si era consumato l’eccidio nelle carceri di Schio, trovammo una sorpresa: le tre postazioni ad angolo erano state riempite di terra. Gli amici pensarono fosse stato mio padre, che non vedeva di buon occhio il nostro passatempo, ma lui negò e mi mandò anzi a quel paese. Passarono i mesi, ma io non mi davo per vinto: un giorno infilai nella terra un palo di ferro, che si bloccò quando incontrò un ostacolo. Ne ero certo: lì sotto c’era nascosto qualcosa, delle armi, forse; ma a casa ricevetti la solita ramanzina».
Quando arrivano le elezioni del 1948 il clima, anche a Schio, è a dir poco teso. «Ricordo i cortei dei comunisti di passaggio, le bandiere, gli slogan e i canti. Mia madre era preoccupatissima, temeva finissi nei guai perché insistevo con la storia delle armi, e obbligò mio padre a portarmi dai carabinieri per risolverla una volta per tutte. E così fu».
Genitore e figlio si recano dunque alla stazione di via Pasini, all’epoca comandata dal maresciallo Antonio Matino (padre di Umberto, lo scrittore, che la resse fino a metà anni Cinquanta, quando gli subentrò il maresciallo Vito Simini, padre di Ezio Maria, storico della Resistenza). «Mio padre minimizzava, ma il maresciallo si arrabbiò di brutto perché non eravamo andati prima. Disse testuale: “I fatti più importanti della mia carriera li ho appresi da bocche innocenti”. Poi mi caricò su una moto Bsa con un appuntato e tutti e tre ci recammo sul posto. A nulla servirono le mie proteste, mi ero anche buttato sul pavimento urlando “i me copa, i me copa!”».
Giunti sul posto il ragazzo viene spedito a casa, ma poi, spinto dalla curiosità, torna a spiare la scena dal limitare del bosco. «Era arrivato un camioncino carico di carabinieri, e scavando avevano tirato fuori dalle tre postazioni sei casse di legno, rivestite internamente di acciaio inossidabile e colme di armi spalmate di grasso. Ci fecero tre mucchi: mitra, fucili, bombe a mano, pistole, munizioni. Io non resistetti e in un momento di disattenzione dei militari, nonostante due donne tentassero di fare la spia, sgraffignai un Mauser tedesco e un bel po’ di pallottole, con il quale per un pezzo mi divertii a sparare nei campi, ridestando ovviamente le preoccupazioni dei miei genitori. Pertanto incontrai di nuovo il maresciallo, che fu mandato a chiamare e si presentò in corte, minacciandomi di arresto. Mi spaventai a morte e corsi a prendere il fucile, nascosto in un tino in mezzo a delle fascine. E così finì la mia avventura con le armi. Almeno per il momento».
Già, perché l’anno dopo Lino fu coinvolto in una vicenda analoga: tre bidoni di latta, pieni ancora di armi da fuoco ed esplosivi, saltarono fuori da un muro di pietra che costeggiava un ruscello, nella stessa zona. Quella volta, però, rimase a bocca asciutta: i carabinieri sequestrarono tutto. Forse per questo preferì dedicarsi ad altro, fondando tre anni dopo l’azienda di trasporto su corriera che porta il suo nome.

Nelle foto: Lino Pozzan oggi e un’immagine curiosa di un paracadutista della “Scuola per armi congiunte” scattata sul retro delle scuole Marconi di Schio. Probabilmente si tratta di uno scherzo dei militari, che hanno bardato l’animale a mo’ di “somaro corazzato”, dotandolo di un’arma controcarro Panzerfaust 60 (con scudo di protezione di un Panzerschreck 54), di due mitra MP40, mine, radio e antenna.

 

Metalli pericolosi: in Europa non esiste una legge comune per le migrazioni di cromo, nichel e manganese negli alimenti dagli oggetti di acciaio

Scritto da: Luca Foltran
Fonte: http://ilfattoalimentare.it/nichel-manganese-posaste-pentole-cinesi.html

(Foto: Photos.com)In Europa non esiste una regolamentazione unica sulla cessione negli alimenti di residui di metalli pesanti come cromo, nichel e manganese presenti negli utensili di cucina. Eppure ogni settimana il sistema di allerta rapido europeo (RASFF) riporta segnalazioni relative all’eccesso di migrazione di metalli come cromo, nichel e manganese… da articoli in acciaio inossidabile. L’elemento curioso è che la maggior parte delle segnalazione proviene dall’Italia. Il motivo? Nel nostro paese gli standard di sicurezza sono molto severi, tanto che per i prodotti non conformi scatta il ritiro dal mercato. In genere si tratta di posate, padelle, friggitrici  ed altri articoli da cucina rigorosamente “made in china”.

In molti altri Stati europei non esistono regolamenti precisi per cui coltelli, padelle e forchette possono circolare anche se  le cessioni di metalli sono elevate.  Dato che ingerire sostanze pericolose non è proprio una buona abitudine per un italiano come per un altro cittsadino europeo, non si capisce perchè la padella o la forchetta bloccata in Italia possa essere commercializzata in Francia o in Svezia.

 

 In  Europa esiste il Principio di Mutuo riconoscimento, secondo cui un prodotto commercializzato in uno Stato può essere venduto anche negli altri  (fatti salvi i casi di esigenza di tutela della salute pubblica). Per i metalli pesanti ce duti dalle posate il  principio non sembra essere applicato da tutti i Paesi. Questo diverso comportamento  è dovuto al fatto che  la maggior parte dei materiali di utensili e imballaggi non è regolamentata in maniera “armonizzata” a livello europeo e molti Stati non possiedono legislazioni proprie.

Siamo di fronte a un paradosso a cui l’Europa potrebbe porre rimedio con direttive e regolamenti specifici, così come è accaduto per la plastica. Per questo materiale esiste una normativa comunitaria ma per molti altri materiali i risultati sembrano lontani dall’essere raggiunti.

L’Italia  può vantare una valida e articolata regolamentazione e potrebbe diventare l’esempio da cui prendere spunto. Per i materiali plastici come film polimerici, vaschette ma anche bicchieri, piatti, posate monouso, esistono regole chiare e uniformi, valide in ogni Stato membro. La sicurezza chimica è garantita anche mediante disposizioni che regolano materiali ritenuti particolarmente a rischio, come il nylon o la melammina, o per articoli provenienti da Paesi ove sistematicamente, in passato, venivano rilevate problematiche (Cina ed Hong Kong).

Anche per la ceramica esiste una legislazione armonizzata. Non è così per altri materiali come l’acciaio, la gomma, il vetro, la carta. Da noi esistono molte disposizioni che garantiscono la sicurezza di questi materiali, ma così non avviene in altri stati.


Foto: Photos.com

 

L’ospedale pedagogico di Aguscello a Ferrara

Scritto da: Monica Taddia
Fonte: http://www.italiaparallela.it/index.php/100-news-a-sinistra/223-lospedale-pedagogico-di-aguscello

Vi è un posto decisamente inquietante ad Aguscello, piccolo paesino della periferia ferrarese. E’ diventato un po’ il mito di tutti noi ragazzi che, con le macchine, ci passavamo davanti di notte e di giorno alla ricerca di segni inquietanti.
Come dice il nome stesso, si tratta di un ex ospedale per bambini, nel quale si svolse un fatto terribile.
Esistono molte versioni in merito, io vi scrivo quella che si raccontava nella mia compagnia. Pare che l’ospedale fosse gestito da alcune suore, non proprio di buon animo.
Oltre che a curare i bambini con l’elettroshock (a testimonianza di questo, vennero ritrovate alcune apparecchiature nelle vicinanze), facevano loro subire tremende violenze corporali. C’è chi dice che uno sia addirittura stato murato vivo, ma non mi sembra una teoria molto credibile.
Cominciarono ad accadere cose strane una notte in cui un bambino tentò di fuggire dall’ospedale: si gettò dalla finestra di uno dei piani alti, ma il suo corpo nn venne mai più ritrovato.
Da ricerche è comunque emersa la testimonianza accertante il nome di questo bambino, affetto da patologie mentali importanti: si trattava di Filippo Erni. I bambini morirono tutti a causa di un’epidemia, anche se c’è chi dice che siano stati rinchiusi in massa nella soffitta dalle suore stesse, le quali fuggirono poi dalla struttura a causa delle minacce della seconda guerra mondiale.
Teoria che ancora non può essere stata confermata: le scale che portano agli ultimi piani sono crollate del tutto.
Si dice esista addirittura una fossa comune all’interno dell’ospedale, tuttavia questo fatto non è mai stato accertato e non ha fondamenti di sorta.
Da quel momento fatti strani accadono in quel posto: la notte è possibile sentire il pianto e le urla di dolore dei bambini, vedere ombre aggirarsi nel parco e le giostrine (ancora in perfette condizioni) muoversi da sole.. In realtà, pare ci siano persone ancora in vita che in passato hanno lavorato all’interno della struttura come inservienti o cuochi…
E nessuno di essi ha mai confermato alcuna di queste storie… Sebbene c’è chi giura di avere visto foto dell’epoca in cui venivano mostrati bambini curati con l’elettroshock. Queste foto, nei primi anni ’80, sarebbero state pubblicate da un quotidiano a tiratura nazionale.

Dopo l’abbandono dell’ospedale, si dice che siano stati trovate alcune parti dei macchinari e pezzi di sponde e reti dei lettini dentro al fossato (stretto e null’affatto profondo) che circonda l’edificio. La sola cosa certa, in tutto questo caos di “si dice” è che all’epoca i documenti rilevavano questo posto come uno dei due maggiori  istituti medico-psico-pedagogici della zona (l’altro era quello di Ficarolo).