Brussel dichiara guerra al Popolo Greco

Scritto da: Corrado Belli
Fonte: http://www.mentereale.com/articoli/brussel-dichiara-guerra-al-popolo-greco

La Grecia è stata svenduta ai Banchieri, i banchieri vogliono essere serviti e protetti, Brussel soddisfa le loro richieste e manda come risposta alle manifestazioni che da mesi si susseguono nelle piazze la Famigerata Gendarmeria Europea = EUROGENDFOR.

Questa è la prima missione che viene fatta (Ufficialmente) dalla gendarmeria Europea, era chiaro che prima o poi doveva essere messa alla prova per constatare la sua capacità in azione e quale sia la sua efficienza nel massacrare i cittadini Europei nel momento in cui chiedono i loro diritti fondamentali, questi “super man” sono stati formati su richiesta di alcuni stati della UE: Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Olanda, da alcuni mesi anche la Romania fa parte di questa EGF “European Gendarmerie Forces”, il Quartiere Generale si trova a Vicenza nella Caserma “Generale Chinotto”, può essere usata come truppa Ausiliare per la NATO, UNO e OSZE, principalmente è attiva negli stati della UE che ne fanno richiesta in caso di sommossa.

Dal 28 Giugno 2011 il comando è stato preso da Cornelis Kujis della Royal Marechaussee der Niederlande “Polizia Militare Reale” d’Olanda, LEX PACIFERAT è il motto di questa truppa che su per giù significa “La legge porterà Pace“ esatto.. una pace da cimitero dove nessuno ha nulla da dire, un cimitero con una truppa armata fino ai denti.
Secondo testimonianze attendibili, tra l’8 e il 10 Ottobre, una brigata della EGF è sbarcata da un Traghetto nella città di Igoumenitsa, tutti vestiti da civili, tutti con gli stessi zaini e altre borse con le iniziali della EGF, il giorno dopo sono stati caricati su trasporti militari camuffati da civili e trasportati a Larissa dove si trova un aeroporto militare chiuso da poco tempo ma usato per le truppe di terra, queste informazioni sono state confermate sia a Igoumenitsa che a Larissa, anche un Radio locale ha confermato l’arrivo della EGF.

http://www.zougla.gr/page.ashx?pid=80&aid=398114&cid=122

Altre informazioni giungono da Markopoulo vicino ad Atene dove si trovano molti Bus dell’Esercito con fuori molti giovani in abiti civili che divisi in gruppi parlano tra di loro ma non in lingua Greca, la prossima settimana ci sarà una manifestazione con sciopero generale e probabilmente ci saranno degli atti di aggressione “Inscenate” dalla polizia EGF stessa al fine di provocare il loro intervento e mettere alla prova la loro capacità.

La motivazione del perché siano stati mandati in Grecia è chiara, vogliono a tutti i costi che il popolo Greco si sottopone ai loro nuovi padroni che sono i Banchieri, la Merkel e i Rothschild, sappiamo che questi “super man” hanno l’ordine di sparare a chiunque a e qualsiasi cosa si muova, hanno completa immunità da parte di Brussel e Strasburgo, sanno che la prossima settimana scenderanno in piazza tutti, dal netturbino all’Impiegato statale, per lo più sanno chi sono gli Avvocati che prendono parte alla Manifestazione e loro sono l’obiettivo della EGF, nessuna classe lavoratrice rimarrà a casa, tutti scenderanno in piazza, da considerare che il governo greco ha già ricevuto 30 Carri armati dagli USA (370 arriveranno dopo) proveniente dalle caserme americane in Germania, cosa servono i carri armati se non a una carneficia e un bagno di sangue contro il proprio popolo? ..esatto ..quell’infame di Papandreaou ha svenduto la Grecia e adesso vuole togliere ai cittadini ogni diritto per renderli schiavi al servizio dei Rothschild, questo è il loro sistema perverso, usare forze di polizia straniere in uno stato a loro sconosciuto ma con motivazioni razziste al fine di creare più danno possibile e senza scrupoli di coscienza, sono sicuro che la  prossima missione sarà in Italia dato che i Banchieri sponsorizzati dal casino che è stato creato da loro stessi giorni fa a Roma con la manifestazione degli “Indignati” faranno richiesta della EGF e verrà accordata dai Criminali che gironzolano al Parlamento UE.

Il Parlamento UE ha dichiarato guerra tutti i cittadini Europei, è ora di svegliarsi se non si vuole dormire per sempre.

Follow the Money: Dietro la Crisi del Debito in Europa si Nasconde un Altro Gigantesco Bailout di Wall Street

Scritto da: Robert Reich
Fonte: http://vocidallestero.blogspot.com/2011/10/follow-money-dietro-la-crisi-del-debito.html#more

Oggi Ben Bernanke si è aggiunto alle voci di coloro che si dicono preoccupati per la crisi del debito in Europa. Ma perché esattamente l’America dovrebbe essere così preoccupata? Sì, noi esportiamo verso l’Europa – ma queste esportazioni non si esauriranno. E in ogni caso, sono piccole rispetto alle dimensioni dell’economia Statunitense.

Se si vuol capire la vera ragione, bisogna “seguire il denaro”. Un default Greco (o Irlandese o Spagnolo o Italiano o Portoghese) avrebbe circa lo stesso effetto sul nostro sistema finanziario, dell’implosione di Lehman Brothers nel 2008.
Caos finanziario.
Gli investitori ne hanno già sentore. Le borse lunedì sono crollate ai minimi da 13 mesi a questa parte. in quanto gli investitori hanno venduto i titoli bancari di Wall Street.
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali Wall Street ha prestato solo circa $ 7 miliardi alla Grecia, a partire dalla fine dello scorso anno. Questo non è un grosso problema.
Ma un default della Grecia o di qualsiasi altro paese d’Europa gravato da debito potrebbe facilmente  mandare a gambe all’aria le banche Tedesche e Francesi, che hanno prestato alla Grecia (e agli altri paesi Europei traballanti) molto di più.
Ecco dove entra in gioco Wall Street. Le grandi banche di Wall Street hanno prestato una montagna di soldi alle banche Tedesche e Francesi.
L’esposizione totale di Wall Street verso l’insieme della zona euro ammonta a circa 2.700 miliardi di dollari. La sua esposizione verso Francia e Germania ammonta a quasi la metà del totale.
E non sono solo i prestiti di Wall Street alle banche Tedesche e Francesi ad essere preoccupanti. Wall Street ha anche assicurato o scommesso su tutti i tipi di derivati ​​provenienti dall’Europa – sull’energia, le valute, i tassi di interesse e gli swaps in valuta. Se va giù una banca Tedesca o Francese, gli effetti a catena sono incalcolabili.
Capito? Seguite i soldi: Se la Grecia va giù, gli investitori cominciano a fuggire anche da Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo. Tutto questo fa vacillare le grandi banche Francesi e Tedesche. Se una di queste banche crolla, o mostra segni di forte tensione, Wall Street è in guai grossi.  Forse ancora più grossi di quanto non fossero dopo il crollo di Lehman Brothers.
Ecco perché le azioni della maggiori banche Statunitensi sono in calo dal mese scorso. Morgan Stanley lunedì ha chiuso al suo livello più basso dal dicembre 2008 – e il costo per assicurare il debito di Morgan è salito a livelli mai visti dal novembre 2008.
Si dice che Morgan potrebbe perdere fino a 30 miliardi di dollari se alcune banche Francesi e Tedesche fallissero. (Questo dal Federal Financial Institutions Examination Council, che tiene traccia di tutte le esposizioni transfrontaliere delle principali banche.)
30 miliardi di dollari sono circa 2 miliardi in più del patrimonio che Morgan possiede (in termini di capitalizzazione di mercato).
Ma Morgan dice che la sua esposizione alle banche Francesi è pari a zero. Allora perché questa discrepanza? Morgan ha probabilmente stipulato un’assicurazione sui suoi prestiti alle banche Europee, come anche ha delle garanzie da parte loro. Così Morgan si considera come se non fosse esposta.
Ma qualcuno ricorda qualcosa come AIG? Era il gigante delle assicurazioni, che è fallito quando Wall Street ha iniziato a crollare. Wall Street pensava di aver assicurato le sue scommesse con AIG. Sbagliato, AIG non poteva pagare.
Non siamo già passati da qui?
I Repubblicani e i dirigenti di Wall Street che continuano a martellare contro la Dodd-Frank   hanno torto marcio. Il fatto che nessuno sembra essere al corrente dell’esposizione di Morgan sulle banche Europee o sui derivati – o della maggior parte degli altri giganti bancari di Wall Street – mostra che la Dodd-Frank non è andata abbastanza lontano.
I regolatori ancora non sanno cosa sta succedendo a Wall Street. Non hanno un’idea chiara sull’esposizione in derivati dei giganti Americani delle istituzioni finanziarie.
È per questo che i funzionari di Washington sono terrorizzati – ed è per questo che il Segretario al Tesoro Tim Geithner continua a pregare i funzionari Europei di salvare la Grecia e gli altri paesi Europei fortemente indebitati.
Diversi mesi fa, quando la crisi del debito Europeo ha cominciato a diventare evidente, le banche di Wall Street hanno detto di non preoccuparsi. Avevano poca o nessuna esposizione ai problemi dell’Europa. La Federal Reserve ha detto la stessa cosa. Nel mese di luglio, Ben Bernanke ha rassicurato il Congresso che l’esposizione delle banche degli Stati Uniti verso le nazioni Europee in crisi era “molto piccola”.
Ora ascoltiamo un’altra musica.
Non vi sbagliate. Gli Stati Uniti vogliono che l’Europa salvi i suoi membri fortemente indebitati, in modo che possano ripagare quello che devono alle grandi banche Europee. In caso contrario, le banche potrebbero implodere – trascinando con sè Wall Street.
Ironia vuole che alcune delle nazioni Europee indebitate (l’Irlanda è l’esempio migliore) siano sprofondate nel debito per salvare le loro banche dalla crisi iniziata a Wall Street.
Il cerchio è chiuso.

In altre parole, il vero problema non è la Grecia. E nemmeno l’Irlanda, l’Italia, il Portogallo o la Spagna. Il vero problema è il sistema finanziario – centrato su Wall Street. E non l’abbiamo ancora risolto

L’Italia potrebbe risparmiare 6 miliardi di euro di energia: ecco come

Scritto da : Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/12102011/litalia-potrebbe-risparmiare-6-miliardi-di-euro-di-energia-ecco-come/

In un recente interessante articolo comparso sul quotidiano La Stampa, l’ing. Luigi Grassia illustra e riassume i contenuti di un rapporto della Edison, secondo il quale il nostro Paese potrebbe arrivare a risparmiare quasi 6 miliardi di euro l’anno in energia elettrica. Vista da un’altra angolazione, sarebbe una riduzione dei consumi energetici di circa il 17% e ben 27,7 miliardi di tonnellate di CO2 in meno riversate nell’atmosfera ogni anno. Una bella sfida, che merita di essere condivisa il più possibile.

Eccone un riassunto:
* Abitazioni private: occorre una sostituzione massiccia delle attuali caldaie e degli scaldabagno elettrici con caldaie a condensazione oppure con pompe di calore e collettori solari. Indispensabile anche l’isolamento termico delle pareti degli edifici e la sostituzione degli infissi a vetri semplici con quelli a vetri doppi.
* Industria: installazione di impianti per il recupero almeno parziale dell’energia dispersa nel corso dei processi produttivi (fumi di scarico, vapori) e per il suo riutilizzo in altri processi termici. Oppure cessione di questa energia verso l’esterno per il teleriscaldamento. Occorre optare nettamente per le fonti di produzione di energia elettrica ad alto rendimento: tra tutte sono da preferire i cicli combinati e la cogenerazione. Infine è indispensabile il miglioramento delle reti di trasporto dell’energia per minimizzare le perdite e aggirare il problema dei “colli di bottiglia”.
* Trasporti: miglioramento o sostituzione del motore a scoppio dei veicoli, incremento del trasporto su rotaia e del trasporto pubblico su gomma per diminuire il traffico nelle città.

Alla base di questo cambiamento epocale dovrebbero stare delle politiche sociali, del lavoro e della formazione che supportino gli enti e le società pronte a investire per l’efficienza energetica, con particolari riguardi e agevolazioni per le cosiddette Esco (Energy Service Companies), aziende che offrono un servizio “chiavi in mano” per il miglioramento dell’efficienza energetica di un’azienda oppure dell’abitazione dei privati.

IL VOSTRO COMPUTER VI SPIA

Scritto da:  Elektra
Fonte: http://www.isoladiavalon.eu/ultime/il-trusted-computing.html

Il Trusted Computing è un complesso di componenti hardware e software che, a detta dei promotori del consorzio, dovrebbe rendere i computer più sicuri.

Ovviamente, il massimo sostenitore della tecnologia trusted computing è Microsoft con Next-Generation Secure Computing Base, ma analoghi sistemi vengono studiati ed applicati da Intel, AMD, Sony, Apple ed altri produttori mondiali che, a differenza di altri casi, sono pienamente compatibili fra loro.

Lo scopo dichiarato ufficialmente è quello di rendere i computer di tutti gli utenti inattacabili da hacker, cracker, trojan, worms e virus informatici. Come sempre accade nella Propaganda Ufficiale, la verità è esattamente il contrario.

Il Trusted Computing è tutta una serie di misure, dai sistemi operativi all’hardware, che può essere implementate in qualsiasi dispositivo, il cui scopo principale quello di limitare o addisittura spiare l’attività del fruitore del prodotto. Il consumatore viene limitato nella copia di CD e DVD e nella masterizzazione di programmi o media, se il sistema ritiene che l’utente non disponga dei diritti per effettuare tali operazioni. Si arriva all’interscambio di dati del tutto invisibile e segreto diretto a siti di produttori e fornitori per controllare licenze, per limitare la pirateria e magari per controllare l’attività degli utenti al computer.

La tecnologia TC permette il blocco dell’intero hardware se il sistema ritiene che sia avvenuta la violazione di una qualsiasi licenza d’uso (come avviene con il nuovo S.O. Vista che, nel caso che la licenza risultasse non conforme blocca tutto eccetto il browser) e tale tecnologia è in grado, già adesso, se si volesse attivarla per questo utilizzo, di comunicare a RIAA, BSA, MPAA, BREIN, SIAE etc, tutte le eventuali violazioni di copyright e licenze d’uso, con identificazione univoca del presunto trasgressore.

Un esempio dal passato prossimo è il rootkit di Sony che, al fine dichiarato di impedire la copia non autorizzata di CD Sony musicali, bloccava la masterizzazione e rilasciava in rete tutta una serie di comunicazioni riservate delle abitudini di ascolto da parte dell’utente. Essendo totalmente invisibile anche alle scansioni antivirali, tale rootkit ha permesso a vari hacker, sfruttando appunto la presenza segreta del rootkit in milioni di computer (si installava automaticamente con il player proprietario per l’ascolto del CD), di aggredire e compromettere la sicurezza di migliaia e miglaia di sisteni informatici, con danni per parecchi milioni di dollari, costringendo Sony a risarcimenti ingenti.

Addiruttura, è recente la notizia che la NSA, la più importante agenzia di spionaggio americana, collabora con Microsoft ed Apple al fine (dichiarato) di rendere i sistemi operativi più sicuri!!!

Per approfonfimenti su cosa contiene il nuovo sistema operativa Vista o i nuovi processori, vi consigliamo di andare al sito: http://www.no1984.org.

IL FIGLIO DI HITLER

Scritto da: Elektra
Fonte: http://www.isoladiavalon.eu/storia/articoli/il-figlio-di-hitler.html

Adolf Hitler avrebbe avuto un figlio segreto?

Tutto nascerebbe dalla passione per il Nazismo di due delle famose sorelle Mitford ed in particolare di Unity Valkyrie Mitford.

Unity Valkyrie Mitford affermava di essere stata concepita nella città di Swastika in Ontario, dove la sua famiglia possedeva una miniera d’oro. Lo considerava un segno del destino e quando potè conoscere il suo idolo al Raduno di Norimberga nel 1933, a cui partecipò come componente della ddelegazione britannica insieme alla sorella Diana, ne rimase talmente affascinata da decidere di “rimanere il più vicino possibile al Führer ed alla Germania” (Anne de Courcy).

Nell’estate del 1934, ella tornò in Germania, iscrivendosi ad una scuola di Monaco vicino alla sede del Partito Nazista.

Dopo dieci mesi di continua frequentazione dei locali abituali di Hitler, Unity Mitford venne invitata al tavolo del Cancelliere e Presidente del Reich, conversando a lungo con il dittatore tedesco. In una lettera sull’incontro, Unity scrisse al padre che “era stato il giorno più bello e meraviglioso della sua vita e di essere la ragazza più fortunata del mondo per avere incontrato l’uomo più grande di tutti i tempi.”

Da parte sua, Hitler, altrettanto ammirato, affermava che la Mitford era “un magnifico esemplare di femminilità ariana”. Quando venne dichiarata la guerra tra Germania ed Inghilterra, Unity Mitford ne rimase talmente sconvolta da spararsi alla testa nel Giardino Inglese, a Monaco, con una pistola che si presume le fosse stata regalata da Hitler stesso. Non morì, ma le cure a cui venne sottoposta non permisero l’estrazione del proiettile, che dopo pochi anni la portò a morte per un attacco di meningite causato dal ringonfiamento cerebrale attorno alla pallottola.

Hitler fece in modo di farla rientrare in patria, ove solo le condizioni di salute impedirono alle autorità inglesi il suo internamento .

Dopo film di pura fantasia come “I ragazzi venuti dal Brasile” sui cloni di Hitler, inizia un mito più concreto.  Il giornalista Martin Bright in un articolo su The New Stateman affermò di essre stata contattato da una donna, Val Hann, la quale aveva dichiarato che durante la guerra sua zia, Betty Norton, dirigeva una clinica privata ad Oxford di cui era stata cliente propria Unity Mitford.

E proprio in quella clinica, pochi mesi dopo il rientro dalla Germania, Unity avrebbe dato alla luce il figlio di Hitler.

Le successive investigazioni di Bright non avrebbero portato ad alcuna prova sostanziale, ma il suo articolo ed un successivo documentario di Channel 4 sul presunto figlio di Hitler che ora, paradossalmente, vivrebbe ancora in Gran Bretagna, avrebbero dato il destro ad un’incredibile fioritura di articoli e speculazioni sull’argomento.

La guerra civile americana

Fonte: http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/a/a060.htm
Scritto da: P. D’Attorre

1861-1865. Conflitto scoppiato in America settentrionale in seguito alla tentata secessione degli stati del sud dagli Stati Uniti. Quando nel 1861 la rivalità tra gli stati agricoli del sud, in prevalenza liberisti, e quelli industriali del nord, favorevoli al protezionismo che era nei programmi del neoeletto presidente repubblicano A. Lincoln, fece sì che la schiavitù, uno degli elementi su cui si fondava la prosperità degli stati meridionali, divenisse causa della secessione, la sproporzione fra i due contendenti era enorme: 22 milioni di abitanti e 990 mila soldati al nord, contro nove milioni di abitanti, di cui tre e mezzo schiavi, e 690 mila soldati al sud.

L’elezione di Lincoln spinse il South Carolina a indire una convenzione per staccarsi dall’Unione. Georgia, Florida, Alabama, Mississippi e Louisiana fecero altrettanto e l’8 febbraio 1861 fu approvata la costituzione degli Stati confederati d’America, di cui fu eletto presidente Jefferson Davis. All’indomani della presa confederata di Fort Sumter (12-13 aprile 1861), che diede inizio alla guerra, altri quattro stati (Virginia, North Carolina, Tennessee e Arkansas) aderirono alla Confederazione, che fissò la capitale a Richmond, in Virginia.

La Casa bianca assunse allora una posizione intransigente: il sud era uscito dall’Unione per non sottomettersi alla volontà della maggioranza. Come tali i “sudisti” erano ribelli, quindi con la forza delle armi sarebbero stati costretti a rientrare nell’Unione, la cui restaurazione costituiva l’unico scopo di guerra del governo centrale. Inizialmente non fu messa in discussione l’istituzione della schiavitù dei neri negli stati del sud, anche se da anni agiva nel nord un movimento abolizionista.

Lo stesso Partito repubblicano di Lincoln durante la campagna elettorale aveva sconfessato l’abolizionismo. Ben tre dei principali stati schiavisti (Kentucky, Delaware e Maryland) si erano schierati con l’Unione, mentre il Missouri era ancora incerto. Ma il Partito repubblicano si era formalmente opposto a ogni espansione della schiavitù nei territori dell’ovest, per chiuderli ai contadini del sud e spalancarli a quelli del nord. Ciò avrebbe portato a una proliferazione di nuovi stati filonordisti, isolando il sud e privandolo di ogni influenza sul governo centrale. Il quadro delle posizioni mutò nel 1863. Il Proclama di emancipazione, dello stesso anno, maturò come misura di guerra civile: gli schiavi appartenenti a proprietari che al 1° gennaio 1863 si fossero trovati in stato di rivolta contro l’Unione, sarebbero stati dichiarati liberi senza indennità.

Il principio dell’emancipazione, divenuto la bandiera del nord, fu successivamente trasformato in un emendamento alla costituzione che, tuttavia, negli stati fedeli all’Unione sarebbe entrato in vigore solo gradualmente. Il sud invocò il diritto all’autodecisione, il diritto cioè, per una minoranza conscia delle sue tradizioni, delle prerogative che ne fanno una nazione, a rivendicare in ogni momento la propria indipendenza. Scoppiate le ostilità, il generale Robert E. Lee, alla testa dei confederati, conseguì iniziali vittorie a est, ma venne fermato dal generale George B. McClellan al comando dell’armata dell’Unione ad Antietam Creek (Sharpsburg) il 17 settembre 1862. Dopo aver tentato invano di entrare nel Maryland settentrionale, Lee invase la Pennsylvania meridionale attraversando la valle dello Shenandoah, ma fu bloccato dal generale George G. Mead a Gettysburg (1-3 luglio 1863). Questa nuova sconfitta capovolse le sorti della guerra. Anche a ovest gli eserciti dell’Unione ottenevano significativi successi.

Il generale Ulysses Grant vinse la battaglia di Shiloh (6-7 aprile 1862) nel Tennessee, e l’anno seguente (1863) prevalse a Vicksburg e a Chattanooga, rispettivamente sui fiumi Mississippi e Tennessee. Nell’aprile del 1862 la flotta dell’Unione, al comando dell’ammiraglio David G. Farragut (1801-1870), conquistò il porto di New Orleans, acquisendo il controllo della parte meridionale del fiume Mississippi e poi dell’intero corso. Nel 1864 Grant, nominato comandante in capo dell’Unione, tra maggio e giugno spinse i confederati verso sud, in direzione di Richmond; mentre William T. Sherman avanzò in direzione est raggiungendo Atlanta, che mise a ferro e fuoco, e quindi procedette alla volta di Savannah in un’inarrestabile marcia verso il mare allo scopo di tagliare a metà il sud. Presa Savannah (21 dicembre 1864), Sherman si ricongiunse, verso nord, al generale Grant. Richmond cadde nelle mani dell’Unione. Le ultime forze confederate, accerchiate in Virginia dagli eserciti dell’Unione, si arresero ad Appomattox il 9 aprile 1865. Pochi mesi dopo, il 18 dicembre 1865, venne approvato il tredicesimo emendamento alla Costituzione americana che aboliva definitivamente la schiavitù. Scoppiata per costringere il sud a sottomettersi e a rientrare nell’Unione, la guerra civile ridusse tutto il sud a un campo di cenere e provocò complessivamente circa 600 mila morti e 400 mila feriti. Le novità del conflitto, per molti aspetti definibile guerra totale, con ricorso sistematico a tecnologie e metodi organizzativi modernissimi, furono apprezzate solo in parte dai contemporanei.

Viceversa molti vi colsero immediatamente tutta la gravità degli esiti sociali, al nord come al sud. La Ricostruzione del sud durò circa dieci anni e gli undici stati secessionisti furono riammessi separatamente nell’Unione: l’ultimo, l’Alabama, nel 1871. Il sud emerse dalle conseguenze devastatrici della guerra civile con tre aspetti che conservò per decenni: monopolio politico del Partito democratico, persistenza della segregazione razziale, arretratezza economica e civile. Contemporaneamente, la guerra civile contribuì a rinsaldare il primato del nord e a forgiare un’America nuova: aprì la strada alla rivoluzione industriale; unificò tutto il paese sotto il controllo del governo centrale; modificò l’economia e diede alle imprese uno slancio inedito; risolse il problema dei territori dell’ovest spalancandoli all’immigrazione dei piccoli contadini del nord e dei coloni europei, gettando così le basi per il sorgere di nuovi stati.


L’argomento rappresenta uno dei problemi fondamentali per la storiografia statunitense, non solo perché l’evento costituì un momento di svolta nella storia nazionale, ma anche perché nelle sue interpretazioni si confrontano prospettive e orientamenti analitici diversi. Alla guerra civile si collegano infatti i grandi temi dell’intera storia degli Stati uniti: da quello del rapporto fra stati e governo federale a quello dello sviluppo economico, da quello della industrializzazione a quello della schiavitù. Non deve quindi stupire che, nonostante la mole impressionante di studi sull’argomento, continuino a sussistere interpretazioni divergenti, e non esista una sintesi definitiva, anche perché ogni nuova generazione ne riscrive la storia partendo dalle preoccupazioni della propria epoca.
Un tema nodale del dibattito storiografico ha riguardato a lungo le cause della guerra. Nell’Ottocento si diede spesso per scontato che la causa principale del conflitto fosse stata la schiavitù e quindi l’atteggiamento oltranzista, criticato da prospettive opposte, degli abolizionisti e della classe dirigente sudista. La tesi della schiavitù come causa unica del conflitto fu riproposta dall’opera di J.F. Rhodes (History of the Civil War, 1897), che definì i termini di molta parte del dibattito successivo, rimuovendo i giudizi moralistici e avanzando l’ipotesi di un antagonismo tra le due sezioni del paese. A questa tesi si collega logicamente quella del conflitto irreprimibile fra due civiltà contrapposte in termini economici, politici e sociali, studiata in particolare da A.C. Cole (The Irrepressible Conflict, 1934). Un’interpretazione collaterale è quella secondo cui la causa vera della guerra non fu tanto la schiavitù nel sud, ma la possibilità che essa potesse espandersi nei territori dell’ovest non ancora costituitisi in stati, poiché erano in gioco non solo potenti interessi economici, ma anche l’equilibrio di forze in seno al Congresso fra stati schiavisti e non, che fino agli anni Cinquanta dell’Ottocento erano in pari numero. In tale interpretazione, avanzata all’epoca anche da K. Marx, ebbe grande importanza la posizione dei free soilers (E. Foner, Free Soil, Free Labor, Free Men, 1970). Di fatto comunque, nelle analisi sul conflitto irreprimibile, o sulla questione dei territori, o delle tariffe, e quindi delle esigenze della produzione agraria e industriale, gli aspetti economici sembrano centrali nelle origini della guerra, e si collegano a interpretazioni generali dello sviluppo statunitense nell’Ottocento. Invece alcuni studi sui limiti naturali della schiavitù e sulla possibilità che essa venisse spontaneamente eliminata verso la fine del secolo (fra cui la celebre opera di U.B. Phillips, American Negro Slavery, 1918), hanno aperto la strada alla storiografia revisionista, volta a dimostrare che il conflitto non era affatto inevitabile. Principale esponente di tale scuola è J.G. Randall (The Civil War and Reconstruction, 1936), secondo il quale le origini della guerra vanno ricercate soprattutto nei meccanismi decisionali delle sfere politiche, con il loro corollario di fanatismo, incomprensione e irragionevolezza. In tale contesto ebbe grande rilievo il decennio precedente la guerra, che vide una serie di faticose ricerche di compromesso nel Congresso, la nascita del Partito repubblicano su istanze contrarie all’estensione della schiavitù nei territori, la graduale scomparsa del partito Whig e la progressiva identificazione di quello democratico con gli interessi sudisti, con una conseguente radicalizzazione di posizioni congressuali e popolari. Un altro contributo revisionista fu quello di A.O. Craven (The Coming of The Civil War, 1942), secondo il quale la guerra civile rappresentò un crollo del processo democratico, perché l’immissione nel dibattito politico di questioni morali aveva drammatizzato conflitti reali, rendendone impossibile la risoluzione per via istituzionale. Vi sono poi stati tentativi di sintesi fra le due posizioni sulle origini della guerra (che riconoscono sia il divario economico e culturale fra le due sezioni del paese, sia gli errori politici), fra cui si ricordano soprattutto quelli di A. Nevins (The Ordeal of the Union, 1947 e The War for the Union, 1959-1971).

I FATTI E LE CONDIZIONI. Un diverso approccio storiografico è quello che evita il dibattito sulle cause della guerra, e quindi sulla sua inevitabilità o meno, per concentrarsi invece sulle concrete modalità con cui il conflitto ebbe origine e si sviluppò. In tale ambito esiste una vasta gamma di studi: da quelli sugli aspetti politici e istituzionali della crisi a quelli, ovviamente importanti, di storia militare, a quelli che analizzano le trasformazioni tecnologiche e produttive connesse al conflitto, che è stato definito come il primo esempio di guerra totale. In anni più recenti è stata avanzata la tesi secondo cui il punto di svolta del conflitto fu il proclama di emancipazione del 1863, utilizzato come misura di guerra contro i ribelli (esso non toccava infatti gli stati schiavisti rimasti fedeli all’Unione), mentre lo scopo iniziale di Lincoln era stato la preservazione dell’Unione, anziché l’abolizione; un ampio dibattito storiografico si è incentrato proprio sulle posizioni di Lincoln prima e durante la guerra. In tal modo la schiavitù è ritornata al centro del dibattito come problema cruciale del periodo prebellico e questione di fondo della guerra, anche grazie al numero e alla qualità degli studi realizzati dagli anni Sessanta in poi. Tra questi hanno destato particolare scalpore quelli sulla redditività del sistema schiavistico di R.W. Fogel e S.L. Engerman (Time on the Cross, 1974). Occorre dire che le nuove metodologie della storia sociale hanno portato significative modifiche all’approccio degli storici a quel periodo, spostando l’attenzione sulle “persone comuni”: l’atteggiamento di gruppi diversi di bianchi (proprietari di schiavi e non nel sud, nativi e immigrati al nord ecc.), il ruolo dei neri nella crisi e la loro partecipazione nelle forze armate, le differenze esistenti all’interno dell’universo schiavista, le modificazioni portate dalla guerra all’interno delle due sezioni del paese, che appaiono sempre meno monolitiche nelle loro posizioni. Di conseguenza hanno sempre meno credito le interpretazioni celebratorie o nazionalistiche, o unidimensionali, mentre manca ancora una sintesi che accolga la nuova problematizzazione sul conflitto. Se è vero che i risultati più importanti della guerra furono la conservazione dell’Unione e l’abolizione della schiavitù, è altrettanto vero che il rafforzamento dello stato nazionale e la questione dei diritti civili dei neri aprirono la porta ad altri conflitti, seppure meno sanguinosi.

Tyrannosaurus Rex più grosso del previsto

Fonte: http://www.physorg.com/news/2011-10-rex-bigger-thought.html
Tradotto da: http://www.ditadifulmine.com/2011/10/tyrannosaurus-rex-piu-grosso-del.html

l Tyrannosaurus Rex, un dinosauro talmente celebre da rappresentare l’idea stessa del predatore preistorico, potrebbe essere stato più grande di quanto sia stato ipotizzato in passato. E se consideriamo che fino ad ora si stimava che l’esemplare più grande mai scoperto, SUE, fosse lungo 13 metri e pesante 7 tonnellate, trovarsi di fronte ad un mostro del genere sarebbe stato un incubo anche per il più grosso erbivoro del Cretaceo.

In una nuova ricerca condotta dal team guidato da John R. Hutchinson del The Royal Veterinary College, cinque esemplari di Tyrannosaurus Rex sono stati “pesati” per creare un modello computerizzato in grado di predirne con accuratezza le dimensioni.
Il modello informatico ha mostrato che il T. rex cresceva molto più velocemente di quanto si fosse sempre ipotizzato, e che raggiungeva una massa ben più grande di quella teorizzata. La tecnologia ideata dai ricercatori ha eseguito la scansione e analizzato l’intero scheletro dei tirannosauri per stimare la massa corporea di questi antichi predatori, procedura generalmente eseguita su modelli in scala.
“I metodi precedenti per calcolare la massa si basavano su modelli in scala, che possono ingigantire ogni piccolo errore, o su estrapolazioni fatte su animali viventi con una struttura corporea molto differente da quella dei dinosauri” spiega Peter Makovicky, co-autore della ricerca e curatore del reparto dedicato ai dinosauri del The Field Museum of Natural History di Chicago.
Il modello digitale del T. rex è stato realizzato effettuando scansioni tridimensionali degli scheletri tramite laser con un’accuratezza di circa un centimetro, se utilizzati su uno scheletro lungo oltre 12 metri. Sono quindi stati ricostruiti gli organi interni e i tessuti molli utilizzando come base la struttura corporea di coccodrilli e uccelli.
I ricercatori hanno creato tre livelli di massa per parti del corpo come testa, collo, tronco, gambe e coda, generando combinazioni in grado di fornire differenti modelli corporei del Tyrannosaurus rex. “Questa gamma di modelli va da un tirannosauro estremamente malnutrito fino ad uno veramente obeso, ma sono stati scelti appositamente come estremi che possano limitare il sistema a valori biologicamente realistici” spiega la co-autrice Vivian Allen.
Scommetto che siete ansiosi di sapere qualche dato sul Tyrannosaurus Rex, e ora ve lo fornirò. Lo scheletro del T. rex SUE ospitato al The Field Museum of Natural History, il più completo e grande finora scoperto, sarebbe appartenuto ad un dinosauro del peso di oltre 9 tonnellate. “Sapevamo che era grande, ma un aumento del 30% del suo peso era inaspettato.
“Le vertebre erano state compresse da 65 milioni di anni di fossilizzazione” spiega Makovicky. “Nove tonnellate è la stima minima a cui siamo giunti utilizzando una forma del corpo molto sottile. Sentiamo spesso di nuove scoperte di T. rex che in alcune misurazioni supererebbero SUE, ma le dimensioni del corpo sono un parametro tridimensionale e SUE è molto più robusta di ogni altro scheletro noto”.
I nuovi calcoli sulla massa del tirannosauro cambiano anche alcune ipotesi sulla biologia di questo antico predatore. Una massa così imponente per gli esemplari adulti, e relativamente piccola per quelli più giovani, lascerebbe pensare che il Tyrannosaurus Rex crescesse più velocemente del previsto. “Pensiamo che crescesse di circa 1790 kg all’anno durante l’adolescenza, il doppio della precedente stima”.
Il ritmo di crescita appena calcolato, tuttavia, sembra essere coerente con quelli osservati in altre specie di dinosauri. “Il nostro nuovo ritmo di crescita cancella il gap tra le precedenti stime e quello che ci si sarebbe aspettati da un dinosauro di queste dimensioni” spiega Makovicky.
Ovviamente, più massa equivale anche ad un maggior dispendio di energie, oltre che ad un livello di agilità inferiore. Man mano che il T. rex cresceva, camminava sempre più lentamente per via del peso sempre maggiore. “I muscoli delle zampe posteriori non sono proporzionalmente grandi quanto quelle degli uccelli moderni, e quei muscoli sembrano limitare la velocità alla quale l’animale può correre” sostiene Hutchinson. “Il nostro studio supporta il parere generalmente accettato che il Tyrannosaurus rex potesse arrivare a 17-40 km/h”.

 

Guardate questo bambino e pentitevi! Dedicato a chi “lancia il sasso e nasconde la mano”…

Scritto da: Enrico Galoppini
Fonte: http://europeanphoenix.com/i

Devo premettere un’avvertenza: se siete deboli di stomaco ed impressionabili, non guardate questo filmato, in cui si vede un bambino di Sirte, vivo ed urlante (nemmeno troppo, se si pensa a com’è ridotto), col volto sfracellato da un bombardamento dei “buoni”: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=hobDCtmx0xo&skipcontrinter=1

È un filmato effettivamente raccapricciante, come quello del famoso bambino palestinese dimezzato e carbonizzato mostrato da un membro dell’equipaggio di un’ambulanza, mentre procedeva impietosa – e nell’indifferenza mediatica occidentale completa (al limite dell’approvazione) – la mattanza sionista denominata “Piombo Fuso”.

Evitiamo la domanda retorica “che colpa aveva questo bambino?”, perché non ha alcun senso, anche se pare averlo per gli ipocriti che protestano vagamente “contro la guerra” guardandosi bene dal profferire i nomi degli aggressori.

La domanda pertinente è: “Di chi è la colpa delle atroci sofferenze di questo bambino?”.

La risposta non è: “Di chi gli ha sparato addosso”. O almeno non è sufficiente. La colpa è anche di quelli che incitano all’attacco su tv e giornali per mesi, anche anni, preparando l'”opinione pubblica” al macello. Anzi, la loro corresponsabilità è per certi aspetti più abietta e vile di chi spara e di chi finanzia simili massacri, perché questi “professionisti dell’informazione” lanciano il sasso e nascondono la mano.

Qualcuno potrebbe pensare che si tratta di gente assolutamente insensibile. Ma pare di no, a giudicare dai fiumi di lacrime che hanno versato, ostentatamente, per le “vittime degli attentati dell’11 settembre”. In tale occasione – e da dieci anni trovano sempre una lacrima – la loro compassione è stata perfettamente “umana”, e la loro pietà non ha mai mostrato cedimenti.

Per tutti gli altri casi, quando le vittime non sono i “giusti”, ma gli “sbagliati”, cioè “i cattivi”, la loro regola è “occhio non vede cuore non duole”; così, se fossero coerenti, dovrebbero farci vedere in apertura d’un telegiornale questo ed altri bambini fatti a pezzi, e invece evitano accuratamente di farci sapere cosa accade veramente in Libia, rubando lo stipendio con una breve filastrocca quotidiana che rimpiazza i fatti: “I ribelli avanzano verso Sirte…”. Peccato che l’egiziano “al-Ahrâm” – mica un quotidiano “antiamericano” – giusto l’11 ottobre titolava “I ribelli, in fuga da Beni Walid, subiscono ingenti perdite”! Chiaro il gioco di prestigio da quattro soldi: non c’era nulla da strombazzare, ed ecco che la cappa d’omertà mediatica ha ricoperto la Libia, coi “ribelli” che, tutt’al più – se proprio bisogna dir qualcosa – “avanzano verso Sirte!”, sempre e comunque.

E dire che quando vogliono questi opportunisti sanno pescare i video su internet (in realtà li producono i loro amici in loco che glieli segnalano; oppure si lancia il “proclama jihadista” su un forum e guarda caso lo si “scopre” dopo un paio d’ore): si pensi alla Siria, all’Iran, alla Libia prima dell’aggressione… Basta qualche fotogramma confuso ripreso chissà dove, anche su un ‘set cinematografico’ in Qatar o negli Usa, e subito il filmato diventa un “documento eccezionale” che “prova” qualsiasi cosa. Ma questo bambino di Sirte, che soffre le pene dell’inferno e che potrebbe scuotere una “opinione pubblica” cloroformizzata, non lo si deve vedere!

A proposito di Siria, prossimo obiettivo delle “bombe liberatrici”, già vengono a galla le solite macchinazioni delle “agenzie dell’umanitarismo democratico”: dopo la “blogger siriana omosessuale”, anche la “ragazza massacrata dai servizi di sicurezza siriani” si è dimostrata una balla spaziale, eppure tali agenzie credute come l’oracolo avevano dato per certo e verificato “il fatto”!

Ma non si speri che i “professionisti dell’informazione” si ravvedano di fronte a bugie che screditerebbero chiunque. Si racconteranno in cuor loro, per non dover cambiare mestiere, che si tratta di “errori”, di “eccezioni” in un quadro generale vero, verissimo, pertanto continueranno a suonare imperterriti – nei casi più pudici – la trombetta del “cambiamento” e delle “riforme”, che in realtà è da leggersi “intervento armato” (tanto poi se ne lavano le mani!). E non si speri che diano conto, tra le altre cose che nascondono alla gente ignara, dei “cambiamenti” e delle “riforme” effettivamente attuate, tanto l’oggetto del contendere non è quello, bensì seminare zizzania e predisporre psicologicamente la massa bovina all’ennesimo “sbarco dei marines”!

Di fronte a questo moralmente triste e penoso spettacolo che si ripete con cadenza regolare e secondo modalità ripetute, la domanda è: ma tutti questi giornalisti che ripropinano acriticamente le pappardelle cucinate da questi novelli “oracoli democratici” presentati come “super partes” sono o non sono diretti responsabili delle aggressioni a causa delle quali poi muore un sacco di gente?

Credono forse di non portare nessuna responsabilità?

Preparare il clima adatto ad un’aggressione con armi dalla spaventosa forza distruttiva (e in mano a dei pazzi furiosi) è o non è un’azione criminale? Ma che cosa sono questi “crimini contro l’umanità” di cui non vengono mai accusati i “buoni” e i loro scendiletto?

La ‘missione’ di “informare”, di riportare i fatti, almeno, in tempi in cui non vi è più spazio, sui grandi “media”, per voci fuori dal coro, ha definitivamente mostrato la corda. In queste condizioni è letteralmente impossibile, perché chi non sta al gioco viene immediatamente rimpiazzato con qualcuno pronto ad essere ancor più ligio agli ordini.

A chi non ci sta, perché un giorno è sommerso dai conati di vomito, risvegliato da un sussulto di coscienza, non resta che porsi la domanda sul senso e le finalità del proprio operato al servizio di un meccanismo diabolico, e al limite cambiare mestiere per non doversi, un Giorno, pentire amaramente delle sofferenze immani che ha contribuito a causare.

Il generale Giáp e la “sortita fallita” dei francesi in Vietnam

Scritto da: Salvatore Santangelo
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/il-generale-giap-e-la-sortita-fallita-dei-francesi-in-vietnam/27396

Nel 1953 la Francia cercava il controllo sull’Indocina, sottovalutando però l’afficacia dell’esercito vietnamita e del suo generale, Võ Nguyên Giáp. La vittoria degli asiatici arrivò in meno di tre mesi. Una debole colonia per la prima volta sconfiggeva una grande potenza.

Non c’è accordo unanime sulla sua data di nascita (secondo la biografia ufficiale sarebbe il 25 agosto 1911, per altri il 1 settembre del 1910, anno del cane, secondo altri ancora sarebbe nato nel 1912), certo è che il centenario generale Võ Nguyên Giáp è una leggenda vivente. Un simbolo. Un’icona. Fondatore e capo di un esercito che ha sfidato e sconfitto, nell’ordine: i giapponesi, i francesi, gli americani, i sudvietnamiti, per non parlare dei cambogiani di Pol Pot e dei cinesi. Il suo nome evoca le giungle, gli altopiani montuosi dell’Asia sud-orientale.

Dien Bien Phu. Phu significa, in lingua annamita, capoluogo di provincia. Si tratta di un piccolo agglomerato situato in un avvallamento di circa quindici chilometri di lunghezza e sei di larghezza, circondato da montagne e colline boscose che talvolta rivelano sui loro pendii risaie disposte a piani digradanti. Questo è il luogo in cui si è consumata la sua più importante vittoria. Verso la fine del 1953, il comandante in capo delle forze francesi in Indocina, il generale Henri Navarre, decise di installare proprio qui (nel cuore del territorio vietminh, sull’altopiano del Tonchino, a ben 350 chilometri dal delta e quindi lontanissimo dalle più vicine basi francesi) un campo fortificato, rifornito unicamente da un ponte aereo.

Il campo avrebbe dovuto fungere da punto di appoggio per i gruppi di commando che operavano lungo il confine con il Laos (distante circa 20 chilometri) e da base di partenza per puntate offensive contro i “santuari” della guerriglia. Anche se ben presto l’ipotesi di lanciare qualsiasi operazione offensiva si rivelò assolutamente velleitaria, il presidio fu mantenuto e anzi progressivamente rinforzato. Lo Stato maggiore francese pensava di poterlo usare come “incudine” contro cui il “maglio” dell’aviazione e dell’artiglieria avrebbe potuto schiacciare le forze del nemico. Fatto sta che le implicazioni di questo nuovo ruolo non furono valutate con sufficiente lucidità.

Furono costantemente sottovalutate la capacità delle truppe di Giáp di muovere cannoni e munizioni per centinaia di chilometri, la loro straordinaria abilità nel mimetizzarsi, le dimensioni stesse della loro artiglieria. Inoltre, a causa della particolare morfologia della valle (stretta e lunga), la guarnigione avrebbe avuto serie difficoltà a mantenere il controllo delle colline circostanti. I materiali di costruzione erano palesemente insufficienti per proteggere l’area centrale e il perimetro difensivo da un attacco prolungato. Infine i francesi non sapevano che i vietminh si erano dotati di un reggimento regolare di contraerea.

La valle fu conquistata dai francesi fra il 20 e il 22 novembre del 1953 con il lancio di sei battaglioni di parà, tra i quali il 1er Bep della Legione straniera. Nella sua forma definitiva il campo trincerato di Dien Bien Phu consisteva in un perimetro discontinuo di centri di resistenza posti a difesa della vitale pista di atterraggio e del nucleo centrale, comprendente il quartier generale, i depositi, l’ospedale da campo e le postazioni d’artiglieria. La guarnigione giunse a comprendere più di 10 mila uomini (il massimo considerato rifornibile via aerea), solo in parte truppe di prima linea. Giap accettò la sfida. Fra il novembre del 1953 e il marzo del 1954 arrivò ad ammassare nelle colline circostanti circa 50 mila uomini, appoggiati da trecento pezzi d’artiglieria. Riuscì anche a schierare il suo reggimento di contraerea appositamente addestrato dai cinesi. In dicembre, le sortite tentate dalla guarnigione dimostrarono che i battaglioni di parà non riuscivano a uscire dalle proprie postazioni senza essere impegnati in pesanti scontri. Il 13 marzo del 1954 si abbatté sul campo uno sbarramento di artiglieria violento ed estremamente preciso.

Così ebbe inizio la battaglia vera e propria. Durante la prima notte fu travolta Beatrice, e il giorno seguente Gabrielle. La forza aerea francese si dimostrò incapace di individuare i cannoni nemici. Allo stesso tempo l’artiglieria del campo non solo non riusciva a mettere a tacere le armi dei vietminh, ma anzi veniva costantemente logorata nella lotta, senza la possibilità di essere sostituita o adeguatamente rinforzata. Il fuoco della contraerea raggiunse livelli elevatissimi, e la pista d’atterraggio fu colpita con micidiale precisione. L’ultimo Dakota, con a bordo un carico di feriti da evacuare, riuscì a decollare il 27 marzo.

Da quel momento in poi, rifornimenti e rinforzi dovettero essere paracadutati in un perimetro sempre più ridotto, per lo più di notte, da aerei che dovevano attraversare un micidiale tunnel di fuoco. La situazione della guarnigione si fece ancor più disperata dopo l’arrivo del monsone: sotto la pioggia e i bombardamenti ininterrotti, bunker e trincee si dissolsero in un mare di fango. Sotto il fuoco martellante dell’artiglieria vietminh, le unità del tenente colonnello Langlais e del maggiore Bigeard tennero, persero, ripresero e ripersero una serie di collinette e buche contro gli attacchi notturni delle maree umane del nemico.

Durante l’assedio, centinaia di volontari francesi, algerini e thai si paracadutarono in questo piccolo inferno e vi rimasero fino al crollo finale. In particolare, tra il 10 e il 12 aprile, il 2e Bep della Legione straniera fu lanciato proprio sulla linea del fuoco in tre ondate successive, in un’azione rimasta nella storia del paracadutismo militare. Il 23 aprile ebbe luogo uno degli ultimi, inutili, tentativi di ristabilire il perimetro originale, con un violento contrattacco francese su Huguette. Alle 17.30 del 7 maggio 1954 il generale de Castries, ufficiale comandante, dopo 56 giorni di estenuanti combattimenti, si arrese.

L’atto finale della battaglia si svolse qualche ora più tardi, quando la guarnigione di Isabelle tentò, senza fortuna, una disperata sortita. L’ultimo messaggio radio francese proveniente dalla valle fu intercettato da un aereo intorno alle 01.50: «Sortita fallita. Non possiamo più comunicare con voi. Fine». Dopo meno di tre mesi la Francia accettava il cessate il fuoco generale: tramontava così il suo sogno coloniale in Indocina. L’Oriente aveva battuto l’Occidente.

«Dien Bien Phu è stata una pietra miliare nella storia del Vietnam» ha recentemente ricordato il generale Giap. «Era la prima volta che una debole colonia sconfiggeva una potenza coloniale. Non è stata solo una vittoria per i vietnamiti, ma per tutti i popoli del mondo. Nei decenni successivi, altri paesi si sono ribellati per conquistare l’indipendenza».

Auto elettriche: parla italiano il progetto che ha conquistato Parigi

Scritto da: Isabella Berardi
Fonte: http://www.buonenotizie.it/ambiente/2011/10/04/auto-elettriche-parla-italiano-il-progetto-che-ha-conquistato-parigi/

Cambia il concetto di trasporto urbano a Parigi, grazie ad un’idea dal cuore anche italiano. Si tratta del progetto Autolib: una nutrita serie di  vetture elettriche, le BlueCar, disegnate da Pininfarina e realizzate dalla francese Bollorè, dal 2 ottobre sono a disposizion –  a noleggio – dei cittadini della Ville Lumière per inaugurare un nuovo modo, economico ed ecologico, di vivere la città.

Ispirato al fortunato esempio del noleggio delle biciclette, che nel giro di pochissimo tempo ha conquistato la città, il progetto Autolib è promosso dal Comune di Parigi: a regime saranno circa 3.000  le vetture elettriche che i cittadini potranno scegliere in oltre 250 stazioni ad oggi, con la previsione che diventino circa 1.000 a giugno 2012. Con la comodità in più di poter rilasciare la BlueCar in un parcheggio diverso da quello in cui la vettura è stata noleggiata.  L’idea è che possedere un’automobile, e doverla guidare in città, al giorno d’oggi, è fonte di una serie innumerevole di stress: il costo della benzina, l’inquinamento, le difficoltà nel trovare parcheggio. Autolib risolve tutto questo con, in più, un’attenzione particolare per l’ambiente e per le tasche dei cittadini. Sarà di soli 12,60 euro, infatti, il costo dell’abbonamento mensile, mentre per l’utilizzo di una sola giornata il prezzo è di 10 euro.

Molteplici i vantaggi delle BlueCar: possono essere ricaricate in poche ore, grazie ad una presa di corrente, hanno un’autonomia pari a 250 km, non richiedono particolari manutenzioni e sono molto sicure. Oltre a non emettere alcun gas dannoso per l’atmosfera e nessun odore, sono molto silenziose. In abbinamento all’energia elettrica, le BlueCar sfruttano anche quella del sole: le apposite celle sopra il cofano contribuiscono ad alimentare gli equipaggiamenti elettrici.

Questo mercato, che alla sicurezza del veicolo unisce anche l’attenzione all’ambiente, sembra essere in notevole espansione: alcuni studi indicano che nei prossimi anni saranno circa 1,5 – 2 milioni le autovetture elettriche che circoleranno in Europa.